La Repubblica del Congo fatta a pezzi dai suoi vicini




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source:
http://www.ilmanifesto.it/MondeDiplo/LeMonde-archivio/Ottobre-1999/9910lm20.01.h
tml
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Tutela camuffata e spartizione di fatto
La Repubblica democratica del Congo fatta a pezzi dai suoi vicini

A due anni dalla guerra civile che ha portato Laurent-De' Kabila al potere,
l'ex Zaire prosegue la sua discesa agli inferi.
Dilettantismo del regime, violazioni dei diritti umani, presenza di
rifugiati hutu coinvolti nel genocidio in Ruanda, fazioni ribelli dai vari
interessi, generano una situazione caotica che coinvolge, in un campo o
nell'altro, sei stati della regione.
Intere province sono passate sotto controllo straniero mentre si
moltiplicano le esazioni.
Dietro gli argomenti validi, s'intravedono volonta' egemoniche e la
cupidigia verso le ricchezze del gigante indebolito dell'Africa centrale.

di Colette Braeckman*


A Kisangani, citta' fantasma assopita sulle rive del fiume Congo, dove ogni
attivita' economica si e' spenta da tempo, solo alcuni grandi alberghi
testimoniano di una gloria tramontata.
Molte illusioni sono svanite quando, il 14 agosto scorso, le granate
ruandesi ridussero in polvere le camere dei vecchi alberghi rose dai tarli,
costringendo una delle fazioni ribelli a ripiegare nella savana assieme con
i militari ugandesi incaricati di proteggerla, dopo aver lasciato sul
terreno oltre duecento morti.
La ricerca di una soluzione alla guerra che, dal 2 agosto 1998, lacera la
Repubblica democratica del Congo (Rdc) e che coinvolge almeno sei governi
africani e' diventata ancora piu' difficile (1).
I combattimenti di Kisangani hanno messo in luce l'impotenza e la
passivita' dei congolesi, spettatori degli scontri fra i loro bellicosi
padrini.
Inoltre hanno rotto la pretesa unita' di vedute fra i responsabili ugandesi
e ruandesi.
L'evoluzione della situazione nella Rdc ha generato una controversia,
assieme economica e politica, fra i dirigenti dei due paesi, Yoweri
Museveni e Paul Kagame, cui si aggiunge la personale suscettibilita' di ex
compagni d'armi (2).
I dissensi fra i tre gruppi ribelli congolesi, che furono gli ultimi a
firmare gli accordi di pace di Lusaka, conclusi il 10 luglio 1999,
rispecchiano queste divergenze.
Se e' vero che i due uomini condividono l'ostilita' nei confronti del
presidente congolese Laurent-De' Kabila che, dopo averlo portato al potere
nel 1997, cercarono di rovesciare nell'estate 1988 perche' tentava di
affrancarsi dalla loro influenza e se e' vero che entrambi vedono nell'est
del Congo un hinterland economico naturale, e' altrettanto vero che le loro
ambizioni politiche divergono.
Il presidente ugandese Museveni e' pragmatico: sa che la guerra gli costa
cara e che la riluttanza dei finanziatori cresce mentre l'Uganda deve
beneficiare dell'alleggerimento del debito deciso dal gruppo dei sette
stati piu' industrializzati (G7) (3), e che si infittiscono anche le
critiche della stampa e del parlamento.
Egli ritiene inoltre che la ribellione contro Kabila debba essere condotta
dai congolesi stessi e incontrare un minimo di ascolto presso un'opinione
pubblica locale che va mobilitata e conquistata.
Percio' ha scelto di appoggiare, se non di spingere, il Movimento per la
liberazione del Congo (Mlc), diretto dall'uomo d'affari Jean-Pierre Bemba.
Il Mlc si e' radicato nella regione dell'equatore, provincia natale del
maresciallo Mobutu, ed e' finanziato dai generali dell'ex regime, che
vogliono riprendere il potere.
Tuttavia, sul piano operativo, Jean-Pierre Bemba, che ha piu' consuetudine
con i ristoranti di Bruxelles che con la savana del proprio paese, non ha
altre armi che un telefono satellitare e conta sull'esercito ugandese per
condurre le operazioni militari.
D'altro canto, Museveni protegge e sostiene militarmente il presidente
storico della ribellione, Ernest Wamba dia Wamba, un amico
dell'ex-presidente tanzaniano Julius Nyerere.
Wamba, che insegnava all'universita' di Dar es Salaam, era stato posto
nell'agosto 1998 a capo del Raggruppamento congolese per la democrazia
(Rcd), costituito tre settimane dopo che gli eserciti ruandese e ugandese,
assecondati da rivoltosi congolesi, avevano tentato di rovesciare
l'autoproclamatosi presidente Kabila.
Ma, col passare del tempo, Wamba dia Wamba e alcuni suoi compagni usciti
dalla cerchia di Kabila, che auspicavano essenzialmente una
democratizzazione del regime di Kinshasa, hanno cominciato a prendere una
certa distanza dai loro tutori ruandesi e dai loro alleati mobutisti.
Alla fine, temendo per la propria vita, l'anziano professore si e' liberato
dalle guardie del corpo ruandesi per rifugiarsi a Kisangani e porsi sotto
la protezione dell'esercito ugandese! Il prezzo della guerra.
Da allora, Wamba dia Wamba ribadisce di essere pronto a trattare
direttamente con il presidente Kabila e ha persino incontrato a Harare il
presidente dello Zimbabwe, Robert Mugabe, principale sostenitore di
Kinshasa.
Wamba, che puo' difficilmente contare su truppe da combattimento e che non
sarebbe nulla senza la protezione ugandese, e' riuscito a seminare
confusione a Lusaka esigendo di firmare l'accordo di pace insieme alla
fazione di Goma che lo aveva destituito.
Questo duplice appoggio dovrebbe assicurare a Yoweri Museveni due
"rappresentanti" in seno alla commissione militare mista che dovrebbe
esercitare una autorita' di fatto sul Congo in virtu' degli accordi di pace
di Lusaka, conclusi nel luglio 1999 sotto l'egida dell'Organizzazione per
l'unita' africana (Oua) e sotto l'impulso del diplomatico americano Howard
Wolpe.
Quanto al Ruanda, se sostiene con grande intransigenza la fazione ribelle
di Goma, e' perche' questo gruppo, diretto dal dott. Ilunga (di origine
katanghese) e nel quale i tutsi congolesi sono molto influenti (4),
costituisce una cinghia di trasmissione politica, economica e militare, che
dovrebbe consentire a Kigali di esercitare una specie di controllo a
distanza, se non sull'intero Congo, per lo meno sull'est del paese.
I ruandesi invocano legittimamente l'imperativo della sicurezza, ricordando
che ex militari e miliziani hutu, responsabili del genocidio del 1994 dai
10.000 ai 40.000 uomini, secondo le stime si trovano tuttora nella Rdc e
sarebbero persino stati reclutati in appoggio alle forze governative.
Le autorita' di Kigali vogliono che questi uomini siano catturati e
rimandati nel paese d'origine dove verrebbero accolti in campi di
rieducazione prima di essere incarcerati o restituiti alla vita civile.
C'e' voluto l'accordo di Lusaka perche' questo problema fosse finalmente
affrontato, occultando altri aspetti della questione.
Gli accordi prevedono l'invio in tempi brevi di osservatori militari, la
costituzione di una commissione mista composta dagli stessi belligeranti e
la messa in opera di una forza armata nella Rdc che, in virtu' del capitolo
7 della carta delle Nazioni unite, avra' finalmente il mandato di
neutralizzare tutte le fazioni.
Perche' non si tratta soltanto degli estremisti ruandesi: sono citate una
decina di organizzazioni, fra cui i ribelli burundesi, i gruppi ugandesi e
persino l'Unione per l'indipendenza totale dell'Angola (Unita) di Jonas
Savimbi.
Si tratterebbe dunque, almeno teoricamente, di ripulire l'ex Zaire di tutti
i ribelli che si servono del suo territorio per attaccare i regimi della
regione.
Invece non e' stato previsto praticamente nulla per assicurare la
protezione delle stesse popolazioni congolesi, le quali hanno gia' pagato
un prezzo elevatissimo per la guerra condotta sul loro territorio: il
coordinatore umanitario delle Nazioni unite ritiene che, nelle sole due
province del Sud-Kivu e del Katanga, oltre 660.000 civili siano stati
costretti a spostarsi mentre le truppe ruandesi e ugandesi conducevano a
piu' riprese azioni di rappresaglia contro le popolazioni locali, causando
la morte di migliaia di persone a Kassika, Makobola, Walungu, Masisi e
Kamituga.
Peraltro si segnalano numerosi casi di stupri commessi dai belligeranti che
contano nei loro ranghi numerosi soldati sieropositivi.
Inoltre l'attuazione degli accordi di pace incontra difficolta' pratiche.
Mentre l'Onu valuta che sarebbero necessari da 25.000 a 50.000 uomini per
la costituzione di una forza di pace, nessun paese si mostra disposto a
finanziare tale sforzo e lo stesso Sudafrica ha ridotto il suo eventuale
intervento a 270 uomini.
A cio' si aggiunge il fatto che, per ragioni facilmente comprensibili, il
vice presidente ruandese Kagame rifiuta la sua fiducia alle forze Onu,
quale che sia il loro mandato, e preferisce garantire alle sue truppe il
diritto di inseguire i nemici sul territorio congolese.
L'applicazione di tale principio potrebbe avere gravi conseguenze
nell'intera regione perche' i gruppi estremisti autori del genocidio non si
trovano soltanto in Congo: ce ne sono molti anche in Tanzania, nella
Repubblica Centrafricana, nei paesi dell'Africa francofona, per non parlare
delle reti che si sono costituite in partenza dal Belgio, dalla Svizzera e
dal Canada.
In realta', il comportamento delle truppe ruandesi sul terreno indica che
la sicurezza di Kigali e' diventata un pretesto che maschera motivazioni
meno nobili.
Il genocidio dei tutsi e' ormai invocato per colpevolizzare la comunita'
internazionale e garantire la complicita' benevola degli Stati uniti in
un'impresa di conquista e di controllo delle risorse del Congo.
Le operazioni sono andate ben oltre la caccia ai rifugiati hutu:
nell'agosto 1998, dopo il fallimento di stretta misura del tentativo di
destituzione di Kabila, l'esercito ruandese, ben lontano dalla sue basi del
Kivu, ha lanciato un'audace operazione via aerea nel sud del paese fino a
occupare, con gli ugandesi, i porti sull'Atlantico e la diga di Inga.
Per diverse settimane la capitale e' rimasta senza acqua e senza
elettricita' mentre i ribelli s'infiltravano nella speranza di una
insurrezione contro Laurent Kabila.
Il presidente assediato faceva appello alla resistenza popolare che si
accompagnava a scene di linciaggio e di supplizio del collare inflitto ai
sospetti.
E' stato l'intervento dello Zimbabwe e dell'Angola, all'ultimo momento, a
bloccare l'offensiva dal Basso Congo e a salvare la capitale.
In seguito, riprendendo l'avanzata dall'est del paese, le truppe ribelli
dirette da ufficiali di origine ruandese, hanno superato rapidamente le
regioni di confine del Kivu dove si trovavano gli Interahamwe, per
dirigersi verso Mbuji Mayi, la capitale del Kasai orientale, dove lo
sfruttamento del diamante fornisce a Kabila il grosso delle risorse.
Per mesi le truppe ribelli sostenute da soldati e ufficiali ruandesi hanno
dedicato piu' energie alla conquista e allo sfruttamento delle miniere che
alla caccia agli attaccanti hutu che avrebbero offerto i loro servizi al
presidente congolese.
Mentre da mesi veniva annunciata come imminente la caduta di Mbuji Mayi, le
truppe dello Zimbabwe e dell'Angola hanno difeso la citta' con
determinazione, perche' non solo la perdita della capitale del diamante
toglierebbe a Kinshasa il denaro necessario alla guerra, ma consentirebbe
il ricongiungimento delle forze ribelli e delle truppe dell'Unita che si
trovano nelle vicine regioni angolane.
Alla fine, le pressioni americane sarebbero riuscite a convincere i
ruandesi a non sferrare l'offensiva.
Una vittoria militare non avrebbe fatto altro che ingarbugliare
ulteriormente la situazione politica.

Il saccheggio delle miniere.
In effetti, tutte le testimonianze concordano nel rilevare la totale
impopolarita' dei ribelli nelle regioni che occupano da oltre un anno.
Non solo gli abitanti dell'est vedono l'Rcd come una forza di occupazione e
i suoi capi come degli opportunisti, ma, pur rimproverando a Kabila le sue
posizioni antidemocratiche e la sua incapacita' a governare, constatano che
i ribelli fanno di peggio: i partiti politici non sono autorizzati a
funzionare nelle regioni occupate, i difensori dei diritti umani sono
perseguitati o imbavagliati, i funzionari delle regioni conquistate non
ricevono lo stipendio mentre i profitti delle aziende pubbliche sono
confiscati dalla ribellione per coprire le spese di funzionamento.
Anche i militari congolesi arruolati dai ribelli lamentano il fatto che il
soldo, irrisorio, e' pagato in moneta locale mentre i soldati ruandesi e
ugandesi, ben equipaggiati, sono retribuiti in dollari.
L'Uganda, e piu' ancora il Ruanda, trattano l'est del Congo come un
retroterra di cui vanno sfruttate le risorse minerarie.
Non solo i profitti che ne derivano garantiscono il finanziamento della
guerra ma consentono alle al potere di mantenere un livello di vita
privilegiato.
Si sono cosi' aperte agenzie commerciali per l'oro e i diamanti a Kigali e
il caffe' del nord Kivu viene esportato attraverso il Ruanda e l'Uganda.
La cupidigia che questi giacimenti suscitano a Kisangani, Mongwalu e Kilo
Moto spiega, almeno quanto le rivalita' politiche, gli scontri fra militari
ruandesi e ugandesi.
Nel nord dell'ex-Zaire e nella Provincia orientale, gli ugandesi si sono
gia' sistemati cosi' bene che James Kazini, comandante militare del posto,
si e' permesso di creare una nuova provincia, Kibale-Ituri, di cui ha
personalmente nominato il governatore mentre e' stata aperta la frontiera
con l'Uganda.
Parimenti, la citta' di Kigali e' stata gemellata con la provincia del
Sud-Kivu e la frontiera fra i due paesi e' ormai solo formale.
Sembra anche che le ambizioni economiche del Ruanda non si limitino al
saccheggio di ricchezze facilmente accessibili e commerciabili come l'oro e
i diamanti.
Il sottosuolo del Kivu possiede preziosi minerali usati nell'industria di
punta (elettronica, aeronautica, medicina nucleare) come il niobio (il 15%
delle riserve mondiali si trova in Africa, di cui l'80% nel Congo), il
tantalio, associato al colombio, chiamato coltan nella regione (l'Africa
possiede l'80% delle riserve mondiali di tantalio, l'80% delle quali si
trova in Congo).
Questi minerali rari hanno la caratteristica di presentare una eccezionale
capacita' di resistenza al freddo e al caldo e possono essere utilizzati in
leghe molto duttili e molto resistenti.
Secondo numerose testimonianze provenienti dal Kivu, lo sfruttamento e la
commercializzazione di questi minerali sono monopolio dei ruandesi,
protetti dai militari, e diverse compagnie internazionali, fra cui la
Kenrow International of Gaithersburg, originaria del Maryland, sono
rappresentate a Kigali.
Secondo il Daily Mail della Tanzania (14 gennaio 1999), il vice presidente
Kagame e il comandante James Kabare che fu capo di stato maggiore ad
interim presso il presidente Kabila prima di ribellarsi contro di lui
avrebbe interessi in diverse compagnie minerarie (Littlerock Mining Ltd,
Tenfields Holdings Limited, Collier Ventures Ltd, Sapora Mining Ltd) e in
una compagnia d'import-export, Intermarket.
Dallo scoppio della prima guerra del Congo, che porto' al rovesciamento di
Mobutu, parecchie societa' minerarie sono state sospettate di aver
finanziato operazioni militari in cambio di vantaggiosi contratti nell'est
della Rdc: l'americana Barrick Gold Corporation (uno degli azionisti della
quale e' l'ex presidente George Bush), l'australiana Russel Ressources
diretta dall'ex generale israeliano David Agmon, l'austriaca Krall, la
canadese Banro American Ressources.
In un primo tempo, queste societa' avevano concluso accordi con la Comiex,
una societa' d'import-export di proprieta' di Laurent-De' Kabila, all'epoca
un semplice capo della resistenza, che poteva cosi' finanziare la sua
ribellione.
In seguito fu fondata un'altra societa' a Goma, la Sonex, incaricata di
commercializzare le risorse minerarie del Kivu.
Diverse banche ruandesi hanno, mediante la formula del revolving fund
(anticipo finanziario rimborsabile con materie prime), fornito i capitali
di partenza e un primo anticipo di 10 milioni di dollari avrebbe
rappresentato il capitale iniziale di una ribellione che si paga oggi sul
terreno.
Tale sfruttamento delle ricchezze economiche del Kivu ad opera degli stati
vicini, sostenuti da alleati extra-africani, e' chiaramente incompatibile
con la ricostruzione di uno stato centrale funzionale.
In compenso, questa configurazione combacia perfettamente con la tesi,
spesso ribadita in America del nord, secondo la quale il Congo, troppo
grande e troppo diversificato, sarebbe ingovernabile e dovrebbe, o
potrebbe, implodere per permettere o una federazione di province largamente
autonome, o una costellazione di micro-stati.
Questi coltiverebbero relazioni privilegiate non tanto con un potere
centrale molto indebolito quanto con i paesi limitrofi.
Il Ruanda, l'Uganda e, in minor grado, l'Angola, stabilirebbero in tal modo
una specie di protettorato sul loro vicino congolese ed eserciterebbero un
potere di controllo su alcune delle sue province.
Questi progetti, evocati senza ritegno nella stampa statunitense come negli
ambienti del potere a Kigali e a Kampala, non possono non scontrarsi con
gli uomini al potere a Kinshasa.
Le autorita' del Congo-Zaire, quali esse siano, sono costrette a tener
conto di altre realta': le aspirazioni di una popolazione molto legata
all'unita' del paese, un nazionalismo che s'ispira alla figura di Lumumba
ma anche al retaggio mobutista e che si colora a volte di un certo
sciovinismo, il sospetto nei confronti dei paesi vicini e, piu' in
generale, degli stranieri, compreso l'Onu, di cui nessuno ha dimenticato il
ruolo disastroso nei primi anni dell'indipendenza (5).
Di fronte a queste esigenze e alla realta' del posto, Kabila e' stato
praticamente costretto, fin dal suo arrivo a Kinshasa nel 1997, a prendere
le distanze dai suoi precedenti alleati.
Quando si lancio' nella ricostruzione dello stato (rinegoziazione dei
contratti minerari, riscossione delle imposte, creazione di una moneta
nazionale forte e abbandono delle valute estere per gli scambi quotidiani),
gli fu rimproverata la sua ingratitudine dai vicini che l'avevano portato
al potere e che contavano di poter continuare a intascare i dividendi del
loro impegno militare.
Il dilettantismo che contraddistinse i primi passi del regime, le
difficolta' di governo, la mancanza di contatti con l'opposizione interna e
la societa' civile (tenuti in sospetto da un potere venuto da fuori e da
una diaspora che ignorava le forze locali), le violazioni dei diritti
umani, la sospensione delle attivita' politiche, tutto cio' contribui' a
minare la legittimita' di Kabila, cui fu anche imputata la responsabilita'
dei massacri di profughi hutu, anche se questi erano opera delle truppe
dirette da Kigali (6).
Alcune scelte del presidente avrebbero peggiorato la sua reputazione presso
gli occidentali e i suoi padrini: rimettendo in questione i privilegi
inizialmente concessi a uomini d'affari ruandesi e ugandesi, egli non
esito' a concludere importanti contratti con l'industria della difesa dello
Zimbabwe, a cedere il controllo della Gecamines a una societa' diretta da
un bianco dello Zimbabwe, Billy Rautenbach, a mettere in competizione
imprese forestali della Malesia con uomini d'affari ugandesi (fra cui il
fratellastro del presidente Museveni).
Peggio ancora, coinvolse la Compagnia cinese di metalli non ferrosi nello
sfruttamento del cobalto e, nel 1999, invito' la Corea del nord a fornirgli
350 istruttori militari in cambio di una partecipazione allo sfruttamento
dell'uranio del Katanga.
La prospettiva di vedere le ricchezze del Congo sfruttate da stati che gli
occidentali considerano dei paria, o essere oggetto di accordi sud-sud con
lo Zimbabwe, la Namibia (sfruttamento del cobalto), la Malesia e persino
Cuba, ha accresciuto la diffidenza degli Stati uniti verso un presidente
che avevano aiutato nella sua conquista del potere e che ritengono ormai
incontrollabile.
Nell'agosto 1988, l'intervento dello Zimbabwe, dell'Angola e della Namibia
a fianco di Kabila ha colto di sorpresa i ruandesi e gli ugandesi e ha
sconcertato Washington, che aveva approvato il tentativo di destituzione
dell'importuno.
Prendendosi gioco della risoluzione 1234 delle Nazioni unite che riconosce
che la Rdc e' stata vittima di un'aggressione, gli accordi di pace conclusi
a Lusaka con un presidente congolese militarmente indebolito e alleati
scoraggiati, rappresentano in realta' il perseguimento, per altre vie,
degli obiettivi di guerra: indebolire il potere centrale, instaurare una
tutela camuffata sull'ex-Zaire, e ratificare una partizione di fatto.
Gli accordi prevedono, in effetti, che il ritiro delle forze armate
straniere avra' luogo soltanto sei mesi dopo la conclusione di un dialogo
intercongolese e non si vede bene come si potra' ristabilire l'autorita'
del potere centrale nella regione (il 40% del territorio) in cui i ribelli
controllano le amministrazioni locali, forniscono documenti amministrativi
e si permettono persino di procedere a una nuova suddivisione delle
province.
Gli accordi prevedono anche la divisione del potere fra le autorita' di
Kinshasa e i ribelli che la popolazione considera spesso come agenti
dell'occupazione straniera, mentre le truppe pudicamente chiamate "non
invitate" (vale a dire di aggressione) faranno parte di una commissione
militare mista incaricata di rispettare un cessate-il-fuoco molto fragile.
In effetti, se lo stesso esercito congolese e' ancora in formazione e si
mostra riluttante al combattimento, altre forze appaiono, non prese in
considerazione dagli accordi di Lusaka, che potrebbero rimettere in causa
il faticoso compromesso: diversi gruppi etnici del Kivu (gli hunde, i
bashi) mandano ormai giovani reclute a raggiungere i Mayi Mayi, milizie
tribali che lottano contro l'occupazione straniera e che sempre di piu'
sono viste dalla popolazione come dei patrioti, malgrado la loro
indisciplina e i saccheggi che commettono.
Pur rispondendo ampiamente alle esigenze dei ruandesi, gli accordi di
Lusaka sono stati accettati con riluttanza dalle fazioni ribelli sempre
piu' divise da conflitti personali e da divergenze d'interesse e di
strategia.
Nessuno crede seriamente che un documento firmato da una cinquantina
d'individui rappresenti un impegno destinato a durare.
L'applicazione della seconda parte degli accordi potrebbe consentire al
presidente Kabila di allargare il suo margine di manovra.
Questa parte piu' politica dell'accordo prevede l'apertura di un dibattito
nazionale, al quale parteciperebbero l'opposizione armata e quella non
armata, vale a dire i partiti politici che sono nuovamente autorizzati.
Tuttavia questi ultimi non si sono certo precipitati a chiedere il loro
accreditamento perche' non si fidano di Kabila e alcuni di essi avevano
puntato sulla vittoria militare dei ribelli.
Anche la societa' civile parteciperebbe al dibattito, agevolato dalla
comunita' religiosa di Sant'Egidio e da un rappresentante della francofonia.
Due visioni si fronteggeranno in questo dibattito, essendo la sovranita'
del paesi, anche qui, la posta in gioco.
Il presidente Kabila e la sua cerchia intendono organizzare elezioni il
piu' rapidamente possibile.
E' chiaro che sperano di uscirne vincitori e, per preparare il terreno,
stanno predisponendo comitati popolari incaricati a livello locale di
compiti pratici, come il rifacimento delle strade, ma che fanno anche da
anello di congiunzione con il potere.
Gli accordi di Lusaka, che tengono conto delle aspirazioni dei ribelli,
prevedono un periodo di transizione, gestito da un governo detto di unita'
nazionale, nel quale Kabila e i suoi alleati sarebbero soltanto una delle
componenti, accanto ad ex mobutisti e a uomini fedeli a Kigali e a Kampala.
Questa sceneggiatura, che si iscrive nella linea della transizione politica
inaugurata nel 1990 dal maresciallo Mobutu, respingerebbe ancora il diritto
della popolazione a scegliere liberamente i propri dirigenti.
Tutto indica gia' che le travagliate disposizioni di Lusaka non saranno
rispettate e che l'imprevedibile Congo rischia di sorprendere, ancora una
volta, gli apprendisti stregoni che tentavano di porlo sotto tutela,
ricordandoci, a un secolo dalla spartizione coloniale, che questo vasto
bacino non e' solo un territorio da conquistare e da sfruttare, ma ospita
un popolo costituitosi in nazione, nonostante la diversita' delle sue
componenti.
A lungo termine, puo' darsi che il Ruanda sia costretto a capire che solo
un potere congolese democratico potra' garantire confini sicuri, molto
meglio di forze d'occupazione che, con la loro sola presenza e con il loro
comportamento, generano nuove resistenze e nuovi odi.

* Giornalista, autrice di L'Enjeu congolais, Fayard, Parigi, 1999.

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NOTE

(1) Si legga Mwayila Tshiyembe', "Interessi in conflitto nell'Africa dei
Grandi Laghi" e Catherine Coquery-Vidrovitch, "Congo dalla ribellione
all'insurrezione?", Le Monde diplomatique/il manifesto, gennaio 1999.


(2) E' dall'Uganda che nel 1990 il Fronte patriottico ruandese aveva
lanciato i primi attacchi contro il regime di Juv Habyarimana; i suoi
soldati provenivano dall'esercito ugandese, dove avevano aiutato Museveni a
prendere il potere nel 1986.

(3) Leggere Toussaint, "Il debito, una spirale perversa da spezzare", Le
Monde diplomatique/il manifesto, settembre 1999.

(4) Bizima Karaha, ex ministro degli esteri di Kabila, e' incaricato della
sicurezza.
Moise Nyarubago e' vice presidente del Raggruppamento congolese per la
democrazia.

(5) Nel gennaio 1961, la presenza di truppe dell'Onu a Kinshasa non impedi'
l'uccisione del primo ministro eletto Patrice Lumumba, ne' la secessione
del Katanga e del Kasai, appoggiata da interessi minerari.

(6) Human Rights Watch, "Ce que cache Kabila", Bruxelles, luglio 1998.

(Traduzione di M.G.G.)




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