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La Repubblica del Congo fatta a pezzi dai suoi vicini
- Subject: La Repubblica del Congo fatta a pezzi dai suoi vicini
- From: "serv. informazioni Congosol" <congosol at neomedia.it>
- Date: Wed, 16 Feb 2000 19:23:31 +0100
============================================ source: http://www.ilmanifesto.it/MondeDiplo/LeMonde-archivio/Ottobre-1999/9910lm20.01.h tml ============================================ Tutela camuffata e spartizione di fatto La Repubblica democratica del Congo fatta a pezzi dai suoi vicini A due anni dalla guerra civile che ha portato Laurent-De' Kabila al potere, l'ex Zaire prosegue la sua discesa agli inferi. Dilettantismo del regime, violazioni dei diritti umani, presenza di rifugiati hutu coinvolti nel genocidio in Ruanda, fazioni ribelli dai vari interessi, generano una situazione caotica che coinvolge, in un campo o nell'altro, sei stati della regione. Intere province sono passate sotto controllo straniero mentre si moltiplicano le esazioni. Dietro gli argomenti validi, s'intravedono volonta' egemoniche e la cupidigia verso le ricchezze del gigante indebolito dell'Africa centrale. di Colette Braeckman* A Kisangani, citta' fantasma assopita sulle rive del fiume Congo, dove ogni attivita' economica si e' spenta da tempo, solo alcuni grandi alberghi testimoniano di una gloria tramontata. Molte illusioni sono svanite quando, il 14 agosto scorso, le granate ruandesi ridussero in polvere le camere dei vecchi alberghi rose dai tarli, costringendo una delle fazioni ribelli a ripiegare nella savana assieme con i militari ugandesi incaricati di proteggerla, dopo aver lasciato sul terreno oltre duecento morti. La ricerca di una soluzione alla guerra che, dal 2 agosto 1998, lacera la Repubblica democratica del Congo (Rdc) e che coinvolge almeno sei governi africani e' diventata ancora piu' difficile (1). I combattimenti di Kisangani hanno messo in luce l'impotenza e la passivita' dei congolesi, spettatori degli scontri fra i loro bellicosi padrini. Inoltre hanno rotto la pretesa unita' di vedute fra i responsabili ugandesi e ruandesi. L'evoluzione della situazione nella Rdc ha generato una controversia, assieme economica e politica, fra i dirigenti dei due paesi, Yoweri Museveni e Paul Kagame, cui si aggiunge la personale suscettibilita' di ex compagni d'armi (2). I dissensi fra i tre gruppi ribelli congolesi, che furono gli ultimi a firmare gli accordi di pace di Lusaka, conclusi il 10 luglio 1999, rispecchiano queste divergenze. Se e' vero che i due uomini condividono l'ostilita' nei confronti del presidente congolese Laurent-De' Kabila che, dopo averlo portato al potere nel 1997, cercarono di rovesciare nell'estate 1988 perche' tentava di affrancarsi dalla loro influenza e se e' vero che entrambi vedono nell'est del Congo un hinterland economico naturale, e' altrettanto vero che le loro ambizioni politiche divergono. Il presidente ugandese Museveni e' pragmatico: sa che la guerra gli costa cara e che la riluttanza dei finanziatori cresce mentre l'Uganda deve beneficiare dell'alleggerimento del debito deciso dal gruppo dei sette stati piu' industrializzati (G7) (3), e che si infittiscono anche le critiche della stampa e del parlamento. Egli ritiene inoltre che la ribellione contro Kabila debba essere condotta dai congolesi stessi e incontrare un minimo di ascolto presso un'opinione pubblica locale che va mobilitata e conquistata. Percio' ha scelto di appoggiare, se non di spingere, il Movimento per la liberazione del Congo (Mlc), diretto dall'uomo d'affari Jean-Pierre Bemba. Il Mlc si e' radicato nella regione dell'equatore, provincia natale del maresciallo Mobutu, ed e' finanziato dai generali dell'ex regime, che vogliono riprendere il potere. Tuttavia, sul piano operativo, Jean-Pierre Bemba, che ha piu' consuetudine con i ristoranti di Bruxelles che con la savana del proprio paese, non ha altre armi che un telefono satellitare e conta sull'esercito ugandese per condurre le operazioni militari. D'altro canto, Museveni protegge e sostiene militarmente il presidente storico della ribellione, Ernest Wamba dia Wamba, un amico dell'ex-presidente tanzaniano Julius Nyerere. Wamba, che insegnava all'universita' di Dar es Salaam, era stato posto nell'agosto 1998 a capo del Raggruppamento congolese per la democrazia (Rcd), costituito tre settimane dopo che gli eserciti ruandese e ugandese, assecondati da rivoltosi congolesi, avevano tentato di rovesciare l'autoproclamatosi presidente Kabila. Ma, col passare del tempo, Wamba dia Wamba e alcuni suoi compagni usciti dalla cerchia di Kabila, che auspicavano essenzialmente una democratizzazione del regime di Kinshasa, hanno cominciato a prendere una certa distanza dai loro tutori ruandesi e dai loro alleati mobutisti. Alla fine, temendo per la propria vita, l'anziano professore si e' liberato dalle guardie del corpo ruandesi per rifugiarsi a Kisangani e porsi sotto la protezione dell'esercito ugandese! Il prezzo della guerra. Da allora, Wamba dia Wamba ribadisce di essere pronto a trattare direttamente con il presidente Kabila e ha persino incontrato a Harare il presidente dello Zimbabwe, Robert Mugabe, principale sostenitore di Kinshasa. Wamba, che puo' difficilmente contare su truppe da combattimento e che non sarebbe nulla senza la protezione ugandese, e' riuscito a seminare confusione a Lusaka esigendo di firmare l'accordo di pace insieme alla fazione di Goma che lo aveva destituito. Questo duplice appoggio dovrebbe assicurare a Yoweri Museveni due "rappresentanti" in seno alla commissione militare mista che dovrebbe esercitare una autorita' di fatto sul Congo in virtu' degli accordi di pace di Lusaka, conclusi nel luglio 1999 sotto l'egida dell'Organizzazione per l'unita' africana (Oua) e sotto l'impulso del diplomatico americano Howard Wolpe. Quanto al Ruanda, se sostiene con grande intransigenza la fazione ribelle di Goma, e' perche' questo gruppo, diretto dal dott. Ilunga (di origine katanghese) e nel quale i tutsi congolesi sono molto influenti (4), costituisce una cinghia di trasmissione politica, economica e militare, che dovrebbe consentire a Kigali di esercitare una specie di controllo a distanza, se non sull'intero Congo, per lo meno sull'est del paese. I ruandesi invocano legittimamente l'imperativo della sicurezza, ricordando che ex militari e miliziani hutu, responsabili del genocidio del 1994 dai 10.000 ai 40.000 uomini, secondo le stime si trovano tuttora nella Rdc e sarebbero persino stati reclutati in appoggio alle forze governative. Le autorita' di Kigali vogliono che questi uomini siano catturati e rimandati nel paese d'origine dove verrebbero accolti in campi di rieducazione prima di essere incarcerati o restituiti alla vita civile. C'e' voluto l'accordo di Lusaka perche' questo problema fosse finalmente affrontato, occultando altri aspetti della questione. Gli accordi prevedono l'invio in tempi brevi di osservatori militari, la costituzione di una commissione mista composta dagli stessi belligeranti e la messa in opera di una forza armata nella Rdc che, in virtu' del capitolo 7 della carta delle Nazioni unite, avra' finalmente il mandato di neutralizzare tutte le fazioni. Perche' non si tratta soltanto degli estremisti ruandesi: sono citate una decina di organizzazioni, fra cui i ribelli burundesi, i gruppi ugandesi e persino l'Unione per l'indipendenza totale dell'Angola (Unita) di Jonas Savimbi. Si tratterebbe dunque, almeno teoricamente, di ripulire l'ex Zaire di tutti i ribelli che si servono del suo territorio per attaccare i regimi della regione. Invece non e' stato previsto praticamente nulla per assicurare la protezione delle stesse popolazioni congolesi, le quali hanno gia' pagato un prezzo elevatissimo per la guerra condotta sul loro territorio: il coordinatore umanitario delle Nazioni unite ritiene che, nelle sole due province del Sud-Kivu e del Katanga, oltre 660.000 civili siano stati costretti a spostarsi mentre le truppe ruandesi e ugandesi conducevano a piu' riprese azioni di rappresaglia contro le popolazioni locali, causando la morte di migliaia di persone a Kassika, Makobola, Walungu, Masisi e Kamituga. Peraltro si segnalano numerosi casi di stupri commessi dai belligeranti che contano nei loro ranghi numerosi soldati sieropositivi. Inoltre l'attuazione degli accordi di pace incontra difficolta' pratiche. Mentre l'Onu valuta che sarebbero necessari da 25.000 a 50.000 uomini per la costituzione di una forza di pace, nessun paese si mostra disposto a finanziare tale sforzo e lo stesso Sudafrica ha ridotto il suo eventuale intervento a 270 uomini. A cio' si aggiunge il fatto che, per ragioni facilmente comprensibili, il vice presidente ruandese Kagame rifiuta la sua fiducia alle forze Onu, quale che sia il loro mandato, e preferisce garantire alle sue truppe il diritto di inseguire i nemici sul territorio congolese. L'applicazione di tale principio potrebbe avere gravi conseguenze nell'intera regione perche' i gruppi estremisti autori del genocidio non si trovano soltanto in Congo: ce ne sono molti anche in Tanzania, nella Repubblica Centrafricana, nei paesi dell'Africa francofona, per non parlare delle reti che si sono costituite in partenza dal Belgio, dalla Svizzera e dal Canada. In realta', il comportamento delle truppe ruandesi sul terreno indica che la sicurezza di Kigali e' diventata un pretesto che maschera motivazioni meno nobili. Il genocidio dei tutsi e' ormai invocato per colpevolizzare la comunita' internazionale e garantire la complicita' benevola degli Stati uniti in un'impresa di conquista e di controllo delle risorse del Congo. Le operazioni sono andate ben oltre la caccia ai rifugiati hutu: nell'agosto 1998, dopo il fallimento di stretta misura del tentativo di destituzione di Kabila, l'esercito ruandese, ben lontano dalla sue basi del Kivu, ha lanciato un'audace operazione via aerea nel sud del paese fino a occupare, con gli ugandesi, i porti sull'Atlantico e la diga di Inga. Per diverse settimane la capitale e' rimasta senza acqua e senza elettricita' mentre i ribelli s'infiltravano nella speranza di una insurrezione contro Laurent Kabila. Il presidente assediato faceva appello alla resistenza popolare che si accompagnava a scene di linciaggio e di supplizio del collare inflitto ai sospetti. E' stato l'intervento dello Zimbabwe e dell'Angola, all'ultimo momento, a bloccare l'offensiva dal Basso Congo e a salvare la capitale. In seguito, riprendendo l'avanzata dall'est del paese, le truppe ribelli dirette da ufficiali di origine ruandese, hanno superato rapidamente le regioni di confine del Kivu dove si trovavano gli Interahamwe, per dirigersi verso Mbuji Mayi, la capitale del Kasai orientale, dove lo sfruttamento del diamante fornisce a Kabila il grosso delle risorse. Per mesi le truppe ribelli sostenute da soldati e ufficiali ruandesi hanno dedicato piu' energie alla conquista e allo sfruttamento delle miniere che alla caccia agli attaccanti hutu che avrebbero offerto i loro servizi al presidente congolese. Mentre da mesi veniva annunciata come imminente la caduta di Mbuji Mayi, le truppe dello Zimbabwe e dell'Angola hanno difeso la citta' con determinazione, perche' non solo la perdita della capitale del diamante toglierebbe a Kinshasa il denaro necessario alla guerra, ma consentirebbe il ricongiungimento delle forze ribelli e delle truppe dell'Unita che si trovano nelle vicine regioni angolane. Alla fine, le pressioni americane sarebbero riuscite a convincere i ruandesi a non sferrare l'offensiva. Una vittoria militare non avrebbe fatto altro che ingarbugliare ulteriormente la situazione politica. Il saccheggio delle miniere. In effetti, tutte le testimonianze concordano nel rilevare la totale impopolarita' dei ribelli nelle regioni che occupano da oltre un anno. Non solo gli abitanti dell'est vedono l'Rcd come una forza di occupazione e i suoi capi come degli opportunisti, ma, pur rimproverando a Kabila le sue posizioni antidemocratiche e la sua incapacita' a governare, constatano che i ribelli fanno di peggio: i partiti politici non sono autorizzati a funzionare nelle regioni occupate, i difensori dei diritti umani sono perseguitati o imbavagliati, i funzionari delle regioni conquistate non ricevono lo stipendio mentre i profitti delle aziende pubbliche sono confiscati dalla ribellione per coprire le spese di funzionamento. Anche i militari congolesi arruolati dai ribelli lamentano il fatto che il soldo, irrisorio, e' pagato in moneta locale mentre i soldati ruandesi e ugandesi, ben equipaggiati, sono retribuiti in dollari. L'Uganda, e piu' ancora il Ruanda, trattano l'est del Congo come un retroterra di cui vanno sfruttate le risorse minerarie. Non solo i profitti che ne derivano garantiscono il finanziamento della guerra ma consentono alle al potere di mantenere un livello di vita privilegiato. Si sono cosi' aperte agenzie commerciali per l'oro e i diamanti a Kigali e il caffe' del nord Kivu viene esportato attraverso il Ruanda e l'Uganda. La cupidigia che questi giacimenti suscitano a Kisangani, Mongwalu e Kilo Moto spiega, almeno quanto le rivalita' politiche, gli scontri fra militari ruandesi e ugandesi. Nel nord dell'ex-Zaire e nella Provincia orientale, gli ugandesi si sono gia' sistemati cosi' bene che James Kazini, comandante militare del posto, si e' permesso di creare una nuova provincia, Kibale-Ituri, di cui ha personalmente nominato il governatore mentre e' stata aperta la frontiera con l'Uganda. Parimenti, la citta' di Kigali e' stata gemellata con la provincia del Sud-Kivu e la frontiera fra i due paesi e' ormai solo formale. Sembra anche che le ambizioni economiche del Ruanda non si limitino al saccheggio di ricchezze facilmente accessibili e commerciabili come l'oro e i diamanti. Il sottosuolo del Kivu possiede preziosi minerali usati nell'industria di punta (elettronica, aeronautica, medicina nucleare) come il niobio (il 15% delle riserve mondiali si trova in Africa, di cui l'80% nel Congo), il tantalio, associato al colombio, chiamato coltan nella regione (l'Africa possiede l'80% delle riserve mondiali di tantalio, l'80% delle quali si trova in Congo). Questi minerali rari hanno la caratteristica di presentare una eccezionale capacita' di resistenza al freddo e al caldo e possono essere utilizzati in leghe molto duttili e molto resistenti. Secondo numerose testimonianze provenienti dal Kivu, lo sfruttamento e la commercializzazione di questi minerali sono monopolio dei ruandesi, protetti dai militari, e diverse compagnie internazionali, fra cui la Kenrow International of Gaithersburg, originaria del Maryland, sono rappresentate a Kigali. Secondo il Daily Mail della Tanzania (14 gennaio 1999), il vice presidente Kagame e il comandante James Kabare che fu capo di stato maggiore ad interim presso il presidente Kabila prima di ribellarsi contro di lui avrebbe interessi in diverse compagnie minerarie (Littlerock Mining Ltd, Tenfields Holdings Limited, Collier Ventures Ltd, Sapora Mining Ltd) e in una compagnia d'import-export, Intermarket. Dallo scoppio della prima guerra del Congo, che porto' al rovesciamento di Mobutu, parecchie societa' minerarie sono state sospettate di aver finanziato operazioni militari in cambio di vantaggiosi contratti nell'est della Rdc: l'americana Barrick Gold Corporation (uno degli azionisti della quale e' l'ex presidente George Bush), l'australiana Russel Ressources diretta dall'ex generale israeliano David Agmon, l'austriaca Krall, la canadese Banro American Ressources. In un primo tempo, queste societa' avevano concluso accordi con la Comiex, una societa' d'import-export di proprieta' di Laurent-De' Kabila, all'epoca un semplice capo della resistenza, che poteva cosi' finanziare la sua ribellione. In seguito fu fondata un'altra societa' a Goma, la Sonex, incaricata di commercializzare le risorse minerarie del Kivu. Diverse banche ruandesi hanno, mediante la formula del revolving fund (anticipo finanziario rimborsabile con materie prime), fornito i capitali di partenza e un primo anticipo di 10 milioni di dollari avrebbe rappresentato il capitale iniziale di una ribellione che si paga oggi sul terreno. Tale sfruttamento delle ricchezze economiche del Kivu ad opera degli stati vicini, sostenuti da alleati extra-africani, e' chiaramente incompatibile con la ricostruzione di uno stato centrale funzionale. In compenso, questa configurazione combacia perfettamente con la tesi, spesso ribadita in America del nord, secondo la quale il Congo, troppo grande e troppo diversificato, sarebbe ingovernabile e dovrebbe, o potrebbe, implodere per permettere o una federazione di province largamente autonome, o una costellazione di micro-stati. Questi coltiverebbero relazioni privilegiate non tanto con un potere centrale molto indebolito quanto con i paesi limitrofi. Il Ruanda, l'Uganda e, in minor grado, l'Angola, stabilirebbero in tal modo una specie di protettorato sul loro vicino congolese ed eserciterebbero un potere di controllo su alcune delle sue province. Questi progetti, evocati senza ritegno nella stampa statunitense come negli ambienti del potere a Kigali e a Kampala, non possono non scontrarsi con gli uomini al potere a Kinshasa. Le autorita' del Congo-Zaire, quali esse siano, sono costrette a tener conto di altre realta': le aspirazioni di una popolazione molto legata all'unita' del paese, un nazionalismo che s'ispira alla figura di Lumumba ma anche al retaggio mobutista e che si colora a volte di un certo sciovinismo, il sospetto nei confronti dei paesi vicini e, piu' in generale, degli stranieri, compreso l'Onu, di cui nessuno ha dimenticato il ruolo disastroso nei primi anni dell'indipendenza (5). Di fronte a queste esigenze e alla realta' del posto, Kabila e' stato praticamente costretto, fin dal suo arrivo a Kinshasa nel 1997, a prendere le distanze dai suoi precedenti alleati. Quando si lancio' nella ricostruzione dello stato (rinegoziazione dei contratti minerari, riscossione delle imposte, creazione di una moneta nazionale forte e abbandono delle valute estere per gli scambi quotidiani), gli fu rimproverata la sua ingratitudine dai vicini che l'avevano portato al potere e che contavano di poter continuare a intascare i dividendi del loro impegno militare. Il dilettantismo che contraddistinse i primi passi del regime, le difficolta' di governo, la mancanza di contatti con l'opposizione interna e la societa' civile (tenuti in sospetto da un potere venuto da fuori e da una diaspora che ignorava le forze locali), le violazioni dei diritti umani, la sospensione delle attivita' politiche, tutto cio' contribui' a minare la legittimita' di Kabila, cui fu anche imputata la responsabilita' dei massacri di profughi hutu, anche se questi erano opera delle truppe dirette da Kigali (6). Alcune scelte del presidente avrebbero peggiorato la sua reputazione presso gli occidentali e i suoi padrini: rimettendo in questione i privilegi inizialmente concessi a uomini d'affari ruandesi e ugandesi, egli non esito' a concludere importanti contratti con l'industria della difesa dello Zimbabwe, a cedere il controllo della Gecamines a una societa' diretta da un bianco dello Zimbabwe, Billy Rautenbach, a mettere in competizione imprese forestali della Malesia con uomini d'affari ugandesi (fra cui il fratellastro del presidente Museveni). Peggio ancora, coinvolse la Compagnia cinese di metalli non ferrosi nello sfruttamento del cobalto e, nel 1999, invito' la Corea del nord a fornirgli 350 istruttori militari in cambio di una partecipazione allo sfruttamento dell'uranio del Katanga. La prospettiva di vedere le ricchezze del Congo sfruttate da stati che gli occidentali considerano dei paria, o essere oggetto di accordi sud-sud con lo Zimbabwe, la Namibia (sfruttamento del cobalto), la Malesia e persino Cuba, ha accresciuto la diffidenza degli Stati uniti verso un presidente che avevano aiutato nella sua conquista del potere e che ritengono ormai incontrollabile. Nell'agosto 1988, l'intervento dello Zimbabwe, dell'Angola e della Namibia a fianco di Kabila ha colto di sorpresa i ruandesi e gli ugandesi e ha sconcertato Washington, che aveva approvato il tentativo di destituzione dell'importuno. Prendendosi gioco della risoluzione 1234 delle Nazioni unite che riconosce che la Rdc e' stata vittima di un'aggressione, gli accordi di pace conclusi a Lusaka con un presidente congolese militarmente indebolito e alleati scoraggiati, rappresentano in realta' il perseguimento, per altre vie, degli obiettivi di guerra: indebolire il potere centrale, instaurare una tutela camuffata sull'ex-Zaire, e ratificare una partizione di fatto. Gli accordi prevedono, in effetti, che il ritiro delle forze armate straniere avra' luogo soltanto sei mesi dopo la conclusione di un dialogo intercongolese e non si vede bene come si potra' ristabilire l'autorita' del potere centrale nella regione (il 40% del territorio) in cui i ribelli controllano le amministrazioni locali, forniscono documenti amministrativi e si permettono persino di procedere a una nuova suddivisione delle province. Gli accordi prevedono anche la divisione del potere fra le autorita' di Kinshasa e i ribelli che la popolazione considera spesso come agenti dell'occupazione straniera, mentre le truppe pudicamente chiamate "non invitate" (vale a dire di aggressione) faranno parte di una commissione militare mista incaricata di rispettare un cessate-il-fuoco molto fragile. In effetti, se lo stesso esercito congolese e' ancora in formazione e si mostra riluttante al combattimento, altre forze appaiono, non prese in considerazione dagli accordi di Lusaka, che potrebbero rimettere in causa il faticoso compromesso: diversi gruppi etnici del Kivu (gli hunde, i bashi) mandano ormai giovani reclute a raggiungere i Mayi Mayi, milizie tribali che lottano contro l'occupazione straniera e che sempre di piu' sono viste dalla popolazione come dei patrioti, malgrado la loro indisciplina e i saccheggi che commettono. Pur rispondendo ampiamente alle esigenze dei ruandesi, gli accordi di Lusaka sono stati accettati con riluttanza dalle fazioni ribelli sempre piu' divise da conflitti personali e da divergenze d'interesse e di strategia. Nessuno crede seriamente che un documento firmato da una cinquantina d'individui rappresenti un impegno destinato a durare. L'applicazione della seconda parte degli accordi potrebbe consentire al presidente Kabila di allargare il suo margine di manovra. Questa parte piu' politica dell'accordo prevede l'apertura di un dibattito nazionale, al quale parteciperebbero l'opposizione armata e quella non armata, vale a dire i partiti politici che sono nuovamente autorizzati. Tuttavia questi ultimi non si sono certo precipitati a chiedere il loro accreditamento perche' non si fidano di Kabila e alcuni di essi avevano puntato sulla vittoria militare dei ribelli. Anche la societa' civile parteciperebbe al dibattito, agevolato dalla comunita' religiosa di Sant'Egidio e da un rappresentante della francofonia. Due visioni si fronteggeranno in questo dibattito, essendo la sovranita' del paesi, anche qui, la posta in gioco. Il presidente Kabila e la sua cerchia intendono organizzare elezioni il piu' rapidamente possibile. E' chiaro che sperano di uscirne vincitori e, per preparare il terreno, stanno predisponendo comitati popolari incaricati a livello locale di compiti pratici, come il rifacimento delle strade, ma che fanno anche da anello di congiunzione con il potere. Gli accordi di Lusaka, che tengono conto delle aspirazioni dei ribelli, prevedono un periodo di transizione, gestito da un governo detto di unita' nazionale, nel quale Kabila e i suoi alleati sarebbero soltanto una delle componenti, accanto ad ex mobutisti e a uomini fedeli a Kigali e a Kampala. Questa sceneggiatura, che si iscrive nella linea della transizione politica inaugurata nel 1990 dal maresciallo Mobutu, respingerebbe ancora il diritto della popolazione a scegliere liberamente i propri dirigenti. Tutto indica gia' che le travagliate disposizioni di Lusaka non saranno rispettate e che l'imprevedibile Congo rischia di sorprendere, ancora una volta, gli apprendisti stregoni che tentavano di porlo sotto tutela, ricordandoci, a un secolo dalla spartizione coloniale, che questo vasto bacino non e' solo un territorio da conquistare e da sfruttare, ma ospita un popolo costituitosi in nazione, nonostante la diversita' delle sue componenti. A lungo termine, puo' darsi che il Ruanda sia costretto a capire che solo un potere congolese democratico potra' garantire confini sicuri, molto meglio di forze d'occupazione che, con la loro sola presenza e con il loro comportamento, generano nuove resistenze e nuovi odi. * Giornalista, autrice di L'Enjeu congolais, Fayard, Parigi, 1999. ---------------------------------------------------------------------------- NOTE (1) Si legga Mwayila Tshiyembe', "Interessi in conflitto nell'Africa dei Grandi Laghi" e Catherine Coquery-Vidrovitch, "Congo dalla ribellione all'insurrezione?", Le Monde diplomatique/il manifesto, gennaio 1999. (2) E' dall'Uganda che nel 1990 il Fronte patriottico ruandese aveva lanciato i primi attacchi contro il regime di Juv Habyarimana; i suoi soldati provenivano dall'esercito ugandese, dove avevano aiutato Museveni a prendere il potere nel 1986. (3) Leggere Toussaint, "Il debito, una spirale perversa da spezzare", Le Monde diplomatique/il manifesto, settembre 1999. (4) Bizima Karaha, ex ministro degli esteri di Kabila, e' incaricato della sicurezza. Moise Nyarubago e' vice presidente del Raggruppamento congolese per la democrazia. (5) Nel gennaio 1961, la presenza di truppe dell'Onu a Kinshasa non impedi' l'uccisione del primo ministro eletto Patrice Lumumba, ne' la secessione del Katanga e del Kasai, appoggiata da interessi minerari. (6) Human Rights Watch, "Ce que cache Kabila", Bruxelles, luglio 1998. (Traduzione di M.G.G.) ============================================ Servizio informazioni Congosol Il materiale contenuto in questa comunicazione puo' non rispecchiare sempre il punto di vista del Servizio. Di fronte alla necessita' di offrirvi queste informazioni rapidamente, il Servizio sceglie di non essere sempre in grado di verificarle, e non puo' essere ritenuto responsabile della precisione delle fonti originali. 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