[Date Prev][Date Next][Thread Prev][Thread Next][Date Index][Thread Index]

APOLOGIE DELLA TORTURA



il manifesto - 03 Luglio 2004
APOLOGIE DELLA TORTURA
La confessione del torturatore

Dai tempi dell'Inquisizione si sa che le confessioni sotto tortura sono
poco credibili. Al contrario, il potere confessa la sua identità attraverso
le torture che infligge

EDUARDO GALEANO

Non vale niente, o vale ben poco, la confessione del torturato. Dai tempi
della Santa Inquisizione si sa che non sono credibili, o sono ben poco
credibili, le informazioni e le confessioni strappate sotto tortura, per la
semplice ragione che il dolore fa di chiunque un grande romanziere. Al
contrario, il sistema del potere confessa la sua vera identità attraverso
le torture che infligge. Nelle camere del tormento, coloro che comandano si
tolgono la maschera.

Così accade in Iraq, ad esempio. Per impadronirsi dell'Iraq, nonostante gli
iracheni e contro gli iracheni, le truppe di occupazione agiscono con
realismo: predicano la democrazia e la libertà e praticano la tortura e il
crimine. Chi vuole il fine, vuole i mezzi, o forse qualcuno può credere che
esista un'altra maniera di rubare un paese?

Il resto è puro teatro: le cerimonie, le dichiarazioni, i discorsi, le
promesse e il trasferimento della sovranità, che passa dagli Stati uniti
agli Stati uniti.

Il fatto è che il potere non dice quello che dice. Per esempio: quando dice
«terrorismo in Iraq», in molti casi dovrebbe dire: «resistenza nazionale
contro l'occupazione straniera».

***

Quando furono pubblicate le foto e scoppiò lo scandalo, le alte sfere del
potere politico e militare cantarono in coro i salmi della loro
auto-assoluzione:

-Sono casi isolati.

-Sono casi patologici.

-Sono delle mele marce.

-Sono dei perversi che disonorano l'uniforme.

Come sempre, l'assassino ha dato la colpa al coltello. Ma quei soldati o
poliziotti che fanno impazzire il prigioniero sparandogli scariche di
elettricità, o immergendogli la testa nella merda, o spaccandogli il culo,
non sono altro che strumenti: funzionari che si guadagnano lo stipendio
facendo il loro lavoro in orario d'ufficio. Alcuni lavorano di malavoglia e
altri ci mettono zelo, come quelle signorine entusiaste che si sono fatte
fotografare mentre umiliavano i torturati iracheni e li mostravano come
trofei di caccia. Ma tutti, apatici ed entusiasti, sono burocrati del
dolore che agiscono al servizio di una gigantesca macchina che trita carne
umana. Pazzi? Perversi? Può darsi, ma l'alibi patologico non assolve il
potere imperiale che ha bisogno della tortura per assicurare e ampliare i
suoi domini, perché quel potere è molto più pazzo ed è molto più perverso
degli strumenti che utilizza. E non c'è nulla di strano nel fatto che un
potere atrocemente ingiusto utilizzi metodi atroci per perpetuarsi.

***

Non c'è nulla di strano nemmeno nel fatto che quei metodi atroci non
vengano chiamati con loro nome.

L'Europa sa che dove comanda suocera non comanda nuora. La dichiarazione
dell'Unione europea contro le torture in Iraq non ha menzionato la parola
tortura. Quella sgradevole espressione è stata sostituita dalla parola
«abusi». Bush e Blair hanno parlato di «errori». I giornalisti della Cnn e
di altri mezzi d'informazione non hanno potuto usare la parola proibita.

Anni prima, affinché i prigionieri palestinesi fossero legalmente
triturati, la Suprema corte di Israele aveva autorizzato «le pressioni
fisiche moderate». I corsi di torture che da molto tempo vengono impartiti
agli ufficiali latinoamericani nella Escuela de las Américas si chiamano
«tecniche di interrogatorio». Nel mio paese, l'Uruguay, che fu campione del
mondo in materia durante gli anni della dittatura militare, le torture si
chiamavano, e si chiamano ancora, «sanzioni illegali».

Secondo Amnesty International, la vendita di strumenti di tortura nel mondo
è un affare redditizio per diverse imprese private di Stati uniti,
Germania, Taiwan, Francia e altri paesi, ma quei prodotti industriali sono
«mezzi di autodifesa» o «materiale di controllo della delinquenza».

***

Menzionarono invece la parola tortura, a chiare lettere, gli intervistatori
che interrogarono la popolazione degli Stati uniti nell'anno 2001, poco
dopo il crollo delle torri di New York, e quasi metà della popolazione, il
45 per cento, rispose che la tortura non gli sembrava sbagliata «se
applicata ai terroristi che si rifiutano di dire quello che sanno».

Sei anni prima, tuttavia, a nessuno sarebbe venuto in mente di torturare il
terrorista Timothy McVeigh quando si rifiutò di dare i nomi dei suoi
complici. La bomba che McVeigh mise in Oklahoma uccise 168 persone,
comprese molte donne e bambini, ma lui era bianco, non era musulmano ed era
stato insignito nella prima guerra del Golfo, dove imparò a fare marmellata
di gente.

***

Contro il terrorismo vale tutto. Lo ha proclamato il presidente Bush, in
mille occasioni, e lo ha ripetuto quell'eco di Blair. Entrambi continuano a
brindare per il successo delle loro crociate. Continuano a dire: «Il mondo
adesso è un luogo molto più sicuro», mentre il mondo esplode e ogni giorno
la violenza genera ancora altra violenza e ancora e ancora.

***

Guantanamo è il simbolo del mondo che ci attende. Seicento sospetti, alcuni
minorenni, languono in quel campo di concentramento. Non hanno nessun
diritto. Nessuna legge li protegge. Non hanno avvocati, né processi, né
condanne. Nessuno sa niente di loro, loro non sanno niente di nessuno.
Sopravvivono in una base navale che gli Stati uniti usurparono a Cuba. Si
presume che siano terroristi. Che lo siano o no è un dettaglio privo
d'importanza.

È là che il generale Ricardo Sánchez ha sperimentato trentadue metodi di
tortura, chiamati «tattiche di pressione e intimidazione», che poi ha
impiantato nelle prigioni dell'Iraq.

***

Dal crollo delle torri gemelle, la tortura è diventata oggetto di numerosi
elogi. È stato messo in atto un bombardamento di opinioni giuridiche e
giornalistiche apertamente o velatamente favorevoli a questo metodo
istituzionale di violenza, sebbene mai, o quasi mai, lo chiamino col suo
nome. Queste apologie dell'infamia, che provengono dal potere, o da fonti
vicine, sostengono che la tortura è legittima per difendere la popolazione
inerme di fronte ai pericoli che la minacciano, perché ci sono mezzi di
lotta di dubbia moralità che risultano inevitabili contro gli assassini
senza scrupoli che praticano il terrorismo e lo promuovono e che non dicono
mai la verità.

Ma se fosse così, chi bisognerebbe torturare? Chi sono gli uomini che hanno
mentito di più in questo XXI secolo? Chi sono coloro che, senza scrupoli,
hanno ucciso più innocenti nelle loro guerre terroriste in Afganistan e in
Iraq? Chi sono coloro che hanno contribuito di più alla moltiplicazione del
terrorismo nel mondo?

***

Adesso abbondano i sorpresi e gli indignati, ma la tortura non è stata
utilizzata per errore o per caso contro la popolazione irachena. Le truppe
di occupazione l'hanno impiegata come sempre, per ordini superiori, sapendo
quello che facevano e perché lo facevano.

Perché? Non c'è alcuna prova che la tortura sia mai servita per evitare un
solo attentato terroristico. Nel caso dell'Iraq, non è servita neppure per
catturare qualcuno degli importanti fuggiaschi. Il più importante, Saddam
Hussein, non è caduto grazie alla tortura, bensì grazie al denaro che ha
comprato una spia.

La tortura strappa informazioni di scarsa utilità e confessioni di
improbabile veracità, e tuttavia è efficace. Per questo è stata impiegata e
continua ad essere impiegata: ciò che è efficace è buono, secondo i valori
che reggono il mondo. La tortura è efficace per castigare eresie e umiliare
dignità e soprattutto è efficace per diffondere la paura. Lo sapevano bene
i monaci della Santa Inquisizione e lo sanno bene i capi guerrieri delle
avventure imperialiste del nostro tempo: il potere non impiega la tortura
per proteggere la popolazione, bensì per terrorizzarla.

Sarà davvero così efficace come il potere crede che sia?

(Trad. Marcella Trambaioli -© Ips/il manifesto)