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Galimberti: Darwin: chi ha paura di quest'uomo?




Le tesi evoluzioniste del grande scienziato sono da anni 
bersaglio delle pesanti accuse dei creazionisti
Darwin: chi ha paura
di quest'uomo?
Anche nel nostro Paese il dibattito ha toccato toni da crociata
e minacciato il futuro dell'insegnamento
di UMBERTO GALIMBERTI

In una lettera del 1872 indirizzata al paleontologo scozzese Hugh Falconer, Charles Darwin scriveva che "la sua teoria dell'evoluzione sarebbe stata rifiutata in blocco dai creazionisti che l'avrebbero considerata pura spazzatura, robaccia (rubbish)". Centocinquant'anni dopo, la profezia, almeno qui da noi, si è avverata, e la teoria darwiniana dell'evoluzione, che oggi neppure il magistero ecclesiastico contesta, ha rischiato di essere eliminata dai testi scolastici che, alla spiegazione scientifica dell'evoluzione, avrebbero dovuto preferire la narrazione mitico-simbolica della creazione. 

Di questo si è discusso ampiamente in questi giorni sui nostri giornali, per cui non vale qui la pena di ritornare, se non per rimarcare l'enorme fatica che fa la scienza a prendere piede nella nostra cultura, per una sorta di malinteso "umanismo" che, sotto la falsa apparenza di nobilitare l'uomo, nasconde almeno due truci intenzioni che qui vorremmo evidenziare. 

La teoria creazionista, concependo l'uomo a immagine di Dio, gli conferisce il privilegio del dominio incontrastato sull'intera natura. Leggiamo infatti nel primo libro della Bibbia: "Poi Iddio disse: facciamo l'uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza; domini sopra i pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sugli animali domestici, su tutte le fiere della terra e sopra tutti i rettili che strisciano sopra la sua superficie" (Genesi 1,26). 

Per la mentalità greca antica questa concezione sarebbe stata considerata la più alta espressione di Hybris, di tracotanza, di inaudito oltrepassamento del limite. E questo perché, per il greco antico, la natura "che nessun uomo e nessun Dio fece" (Eraclito) rappresentava quello sfondo immutabile le cui leggi, regolate dal vincolo della necessità (ananke), costituivano il punto di riferimento da cui trarre indicazioni per il governo della città e per la buona conduzione di sé. Qui Platone è stato chiarissimo: "Anche quel piccolo frammento che tu rappresenti, o uomo meschino, ha sempre il suo intimo rapporto col cosmo e un orientamento a esso, anche se non sembra che tu ti accorga che ogni vita sorge per il Tutto e per la felice condizione dell'universa armonia. Non per te infatti questa vita si svolge, ma tu piuttosto vieni generato per la vita cosmica" (Leggi 903 c). 

All'opposto della mentalità greca, la tradizione giudaico-cristiana concepisce la natura non come lo sfondo immutabile su cui l'uomo deve regolarsi, ma come il prodotto della "volontà" di Dio che l'ha creata a disposizione della "volontà" dell'uomo, a cui è concesso l'incontrastato dominio. 

Questa concezione del "dominio", che non è greca ma giudaico-cristiana, se un tempo era compatibile con le dimensioni della terra e la scarsa densità della popolazione umana, oggi, a rapporto invertito, non è più praticabile. E sulla base della tradizione giudaico-cristiana, che ha sempre concepito la morale come una regolatrice dei rapporti fra gli uomini, non disponiamo di una morale che si faccia carico degli enti di natura, come la salvaguardia dell'aria, dell'acqua, della vegetazione, del clima, del mondo animale, con particolare riferimento alle specie in via di estinzione non per selezione naturale, ma ad opera dell'uomo. 

E allora a me viene il dubbio che la teoria evoluzionista darwiniana, che, al pari del pensiero greco, colloca l'uomo nella grande catena dell'essere senza accordargli alcun privilegio rispetto alle altre specie viventi, sia messa a tacere a favore della teoria creazionista non tanto per salvaguardare la dignità dell'uomo fin dalla sua origine divina, quanto per garantirsi, in nome di Dio, il dominio incontrastato sulla terra come vuole l'insensibilità del profitto, del denaro e del mercato oggi globalizzato. 

A fianco di questa prima malcelata intenzione, che vuole legittimarsi su base religiosa, ce n'è una seconda, ancora più truce, che utilizza impropriamente la teoria evoluzionista di Darwin per giustificare gli stessi risultati a cui è approdata, probabilmente suo malgrado, la teoria creazionista. 

Volendo riassumere in una formula la teoria di Darwin potremmo dire: "L'ambiente propone e la selezione dispone". Ciò significa che l'ambiente (che comprende tanto l'ambiente fisico quanto gli altri viventi) agisce sull'organismo che, per conseguire il successo riproduttivo, si adatta a cambiamenti evolutivi o, in caso di insuccesso, si estingue. Per Darwin c'è dunque un'unica causa dell'evoluzione, il cui meccanismo, per dirla in modo un po' truculento, è quello del carnefice o del boia che rimuove gli individui inadatti una volta emersi quelli adatti, seguendo processi che pazientemente si possono identificare. 

Questa teoria, che Darwin aveva limitato all'ambito biologico, è stata impropriamente estesa all'ambito sociale e, sotto la denominazione di "darwinismo", si è fatta passare per "legge naturale", per cui anche nella società il pesce grosso può mangiare il pesce piccolo. 

Equiparare l'evoluzione sociale all'evoluzione naturale significa riconoscere libertà illimitata a chi è più forte, accettazione indiscussa della disuguaglianza, nessun intervento dello Stato per aiutare i più svantaggiati, con tutto ciò che ne consegue praticamente in ordine all'assistenza agli anziani, lo sfruttamento delle donne e dei minori, le cure mediche a chi non dispone di risorse, l'istruzione a chi non può permetterselo, fino alla malattia, la fame e la morte per chi non ha denaro. E' evidente che qui a garantire la "sopravvivenza del più adatto" non sono più le risorse biologiche come prevede la teoria di Darwin, ma le risorse economiche, ossia la ricchezza e la potenza che la ricchezza garantisce. 

Il capitalismo non controllato, il mercato non regolato, la mancata distribuzione della ricchezza attraverso la tassazione che garantisce lo stato sociale sono le espressioni più evidenti della teoria biologica darwiniana impropriamente applicata alla società. Marx (che proprio a Darwin intendeva dedicare Il Capitale) propose di correggere il darwinismo sociale con il progetto comunista che, naufragato nella sua versione integrale in Russia e in Cina, ha consentito in Europa la creazione di uno stato sociale che oggi vediamo sottoposto a una continua limatura nei paesi capitalisti, e del tutto assente nel resto del mondo. 

A questo punto risulta a tutti evidente che gli esiti finali della teoria creazionista, che prevede il dominio incontrastato dell'uomo sulla terra, e l'impropria applicazione alla società della teoria evoluzionista di Darwin vanno perfettamente d'accordo, perché l'astuzia della ragione, coniugata alla malafede, fa sotterraneamente camminare in perfetta armonia gli esiti pratici di teorie che in superficie vengono presentate come opposte e inconciliabili. 

L'assenza di cultura, di pensiero e di riflessione critica del nostro tempo, mescolata all'egoismo individuale completano il quadro desolante di un'umanità che all'uso della terra ha sostituito l'usura, e al rispetto dell'uomo il diritto della forza. La storia a questo punto ribolle, come sempre accade quando il suo artefice, l'uomo, regola la sua vita sul registro animale. 


(1 maggio 2004)