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Garage Olimpo, versione cecena



Garage Olimpo, versione cecena



L’odissea di Arbi, giovane benzinaio ceceno sequestrato dalla
famigerata polizia speciale del regime filo-russo di Kadyrov.
Picchiato e torturato per giorni, e rilasciato solo dopo il pagamento
di un riscatto. Tra i suoi aguzzini, nei sotterranei della tristemente
nota prigione di Hosi Yurt, lo stesso figlio del presidente ceceno,
capo delle milizie private che da ottobre fanno il ‘lavoro sporco’ che
prima facevano i russi



14 gennaio 2004 – Arbi, 27 anni, gestisce una pompa di benzina alla
periferia di Grozny. Un pomeriggio di circa due mesi fa gli agenti
della polizia speciale del regime filo-russo di Kadyrov hanno fatto
irruzione nel suo ufficio-baracca. Gli hanno preso il passaporto e poi
lo hanno portato via e caricato su un’auto che aspettava fuori.
“Appena salito in macchina uno di loro mi ha detto che secondo le
informazioni in loro possesso io ero un ribelle, che combattevo contro
il presidente Kadyrov”.

Dopo un breve viaggio, l’auto si è fermata davanti a una casa
abbandonata, nel villaggio di Gil Gen. “Mi hanno portato dentro e
hanno iniziato a picchiarmi con una spranga, ordinandomi di parlare,
di confessare le mie colpe. Io ho detto che avevo combattuto la prima
guerra d’indipendenza (quella del 1994-1996, n.d.r.), ma che adesso me
ne stavo a casa. Allora i sei poliziotti hanno preso i loro
Kalashnikov, hanno smontato i caricatori e, usando i fucili come
mazze, mi hanno colpito ai reni, con forza, senza sosta, per almeno un
quarto d’ora, ordinandomi di confessare e di fare i nomi di altri
ribelli se non volevo rimanere storpio. Alla fine, mezzo morto, mi
hanno ricaricato in macchina e portato all’ospedale, dove i medici mi
hanno detto che i miei reni avevano subito gravi danni”.

Arbi è rimasto in ospedale per vari giorni. Ogni tanto i poliziotti
tornavano per interrogarlo. Ma lui non aveva niente da dire. Così, un
giorno, gli agenti sono arrivati e, senza proferire parola, lo hanno
portato via di nuovo. “Ero terrorizzato: avevo paura che mi volessero
consegnare ai russi. Ma loro mi hanno detto che mi stavano portando
nel villaggio di Hosi Yurt, il che non mi ha tranquillizzato affatto”.

Per Arbi, come per tutti i ceceni, questo nome fa rabbrividire. Hosi
Yurt, a pochi chilometri da Tsentaroi, la roccaforte del presidente
Kadyrov, è un covo di suoi fedelissimi, sede di un centro di
detenzione dove chiunque sia sospettato di sostenere gli
indipendentisti viene interrogato e torturato per giorni. Se
sopravvive, viene rilasciato dietro riscatto. “Conoscevo storie
tremende su quel posto: persone picchiate con le spranghe per quaranta
giorni di fila, costrette a tenere le mani su un tavolo mentre gli
aguzzini gli schiacciavano le dita con un martello”.

Nei giorni successivi Arbi ha avuto modo di verificare la fondatezza
di queste voci e di conoscere di persona il terrore di tutti i ceceni:
il capitano Ramzan, figlio del presidente Kadyrov nonché capo della
polizia speciale, la famigerata milizia privata di 4 mila ceceni
‘collaborazionisti’ (o ‘traditori’ come li chiamano i ceceni) creata
lo scorso ottobre dopo l’elezione-farsa organizzata da Mosca che ha
portato al potere Akhmad Kadyrov. Il loro compito è fare quel ‘lavoro
sporco’ che il presidente russo Vladimir Putin non vuole più far fare
ai militari russi: rastrellamenti, torture, esecuzioni
extragiudiziali, insomma tutto quello che il Cremlino chiama
‘operazioni di pulizia’ o ‘operazioni antiterrorismo’ volte a
‘stabilizzare’ la Cecenia. La chiamano “cecenizzazione del conflitto”,
nel senso che non ci sono più russi contro ceceni, ma ceceni
filo-russi contro ceceni indipendentisti.

Arbi è stato portato nei sotterranei di un edificio di cemento. “Mi
hanno chiuso in una cella assieme ad altri tre uomini. Ci hanno
ordinato di metterci in fila lungo il muro, sull’attenti. Dopo un po’
è entrato lui, Ramzan. Ci ha chiesto se sapevamo chi fosse lui. Gli
altri sono rimasti in silenzio, terrorizzati. Io, con il massimo
rispetto, ho risposto che sì, lo sapevo. A quel punto lui mi ha
colpito alla testa per poi sferrarmi un violento calcio all’inguine.
Sono caduto a terra. Le guardie che lo accompagnavano si sono
avventate su di me e hanno iniziato a picchiarmi e a prendermi a
calci. Mi hanno rotto il naso”. Per tre giorni Arbi è stato malmenato
e torturato. Ramzan non si è più fatto vedere. Il suo inferno è finito
quando i suoi familiari sono riusciti a pagare il riscatto chiesto per
la sua liberazione: tre fucili Kalashnikov, recuperati tramite
conoscenze in polizia.

Arbi, che oggi, seppur malconcio, è tornato a gestire la sua pompa di
benzina a Grozny, è stato tra le prime vittime dell’ondata di violenza
repressiva scatenata da Kadyrov. Una violenza che colpisce
indiscriminatamente i civili ceceni di orientamento indipendentista
(praticamente tutti), anche se non hanno nulla a che fare con la lotta
armata dei ‘terroristi’ della guerriglia islamica separatista guidata
dall’ex presidente Aslan Mashkadov e dal comandante Shamil Basayev.
Per il regime filo-russo di Kadyrov tutti i ceceni sono potenziali
‘ribelli’. “Non è sempre stato così – dice Arbi –. La guerra non è una
novità ma la violenza indiscriminata contro la popolazione non ha mai
raggiunto i livelli di oggi. Questo è il periodo più brutto degli
ultimi anni. Le cose sono peggiorate dopo l’elezione di Kadyrov. Il
suo brutale regime è solo l’ultima versione dell’occupazione russa,
alla quale i ceceni non smetteranno mai di resistere. Penso che un
giorno il nostro Paese sarà libero: fino ad allora nessuno si
rassegnerà”.

Enrico Piovesana

Fonte: PeaceReporter