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Cecenia: ONU ultima speranza



      "ONU, ULTIMA SPERANZA" 
      La rivista "Narcomafie", edita dal Gruppo Abele, nel numero di dicembre ospita un'intervista a Umar Khanbiev, rilasciata durante la permanenza di Khanbiev a Torino, lo scorso novembre:

      di Manuela Mareso

      In un rapporto reso pubblico lo scorso 7 novembre a Ginevra, il Comitato per i diritti dell'uomo delle Nazioni Unite si è detto «estremamente preoccupato» per le violazioni che continuano ad essere commesse in Cecenia. Il portavoce Nigel Rodley ha dichiarato che le spiegazioni date da Mosca in merito alle esecuzioni, le torture, i crimini e gli stupri commessi impunemente non sono bastati per far rientrare le preoccupazioni del Comitato. Quasi contemporaneamente Silvio Berlusconi, in occasione dell'ultimo vertice Ue-Russia, rilasciava sulla situazione cecena, a sostegno di Vladimir Putin, dichiarazioni che, il 20 novembre, avrebbero poi spinto l'Europarlamento a deplorarle con una risoluzione, in cui peraltro è stato affermato che «il conflitto non può essere considerato unicamente come un elemento della lotta al terrorismo».
      «Narcomafie» ne ha parlato con il ministro della Sanità ceceno in esilio Umar Khanbiev, che il mese scorso ha presentato in Italia il "Piano Akhmadov" per un'amministrazione controllata dall'Onu in Cecenia. Le sue parole risultano di ancor più tragica attualità dopo che il 5 dicembre - alla vigilia delle elezioni parlamentari russe che avrebbero visto Putin nuovamente vincente - un commando di kamikaze si è fatto esplodere su un treno di pendolari (oltre 40 i morti e 150 i feriti tra operai e studenti russi), e che, due giorni dopo il voto per il rinnovo del Parlamento, il 9 dicembre, un altro gruppo di terroristi si è fatto esplodere nei pressi della Duma.

      D) Nell'ultimo vertice Ue-Russia tenutosi a Roma, le dichiarazioni del premier italiano, che ha definito il genocidio in corso in Cecenia «una leggenda», sono state di supporto a Putin che, interpellato sulla questione, ha accusato la Comunità internazionale di non far nulla per risolvere il problema dei separatisti islamici ceceni. 

      Che tra Italia e Russia i rapporti siano privilegiati è assodato: negli ultimi dodici mesi Putin ha incontrato il vostro premier sei volte. Dal mio punto di vista, e le ultime dichiarazioni lo confermano, si tratta semplicemente di relazioni tra due regimi: quello di Putin sta prendendo sempre più un'impronta neofascista, e non esprime certo gli interessi dei russi. La connotazione esclusivamente islamica data al conflitto ceceno non è niente di nuovo, ormai fa parte a pieno titolo della propaganda russa. Guardo comunque i risvolti positivi di questa vicenda: si è parlato del conflitto nel mio Paese a tutti i livelli, incluso il Parlamento europeo. E credo che questa rinnovata attenzione al problema ceceno non potrà che giovare alle istituzioni democratiche dell'Europa stessa.

      D) Quanto ha pesato la strage del teatro Dubrovka dell'ottobre 2002 nella rilettura del conflitto? E cosa pensa delle recenti affermazioni di Putin secondo cui i 129 civili morti in quei giorni non sono stati uccisi dal gas, ma sono deceduti per altri motivi?

      Per la mancanza di accesso al luogo della strage, la manipolazione delle informazioni e l'impossibilità di risalire alla verità anche a distanza di tempo, l'episodio del teatro Dubrovka è stato una Cecenia in miniatura.
      Ma per la nostra causa si è trattato di una catastrofe: ha fatto regredire ulteriormente la situazione e ha allontanato ancor più la comprensione della vera natura del conflitto ceceno. Il mondo, anche alla luce dell'11 settembre, ci ha identificato con il terrorismo internazionale, da cui noi invece - Mashkadov non si stanca di ripeterlo - prendiamo chiaramente le distanze.
      Il modo in cui è stato affrontato il problema dal governo russo lascia tuttora molte perplessità: all'epoca noi avevamo proposto soluzioni alternative che avrebbero risparmiato molte vite umane e su cui peraltro erano d'accordo diversi dirigenti russi. La soluzione scelta non è stata casuale e ha senza dubbio visto il coinvolgimento del Kgb. Per quanto riguarda la causa di morte delle vittime, nessuno ovviamente vuole addossarsi la responsabilità, e la risposta data recentemente da Putin ai parenti delle vittime è logica: dal momento che nessuno, ad oggi, conosce la composizione del gas, chi potrebbe smentirlo? 

      D) Altri attentati terroristici di matrice islamica legati al vostro conflitto non sono mancati. La recente strage del 5 dicembre è solo l'ultima di una lunga serie da Dubrovka a oggi: quasi una decina in poco più di un anno...

      Sì, ma ripeto, sono frange, noi indipendentisti li deploriamo. Ed è difficile farlo perché da ogni parte si cerca di affibbiarci questa etichetta. Durante la guerra in Afghanistan si era parlato di una milizia di cento guerriglieri ceceni: alla fine della guerra non se ne è trovato uno solo, né vivo, né morto. Stessa cosa si sta dicendo per l'Iraq, anche in questo caso senza fondamento. La situazione cecena è stata analizzata al microscopio, si sono cercati in tutti i modi legami con Al Qaeda, ma non ne è risultato nulla di concreto. Non si tiene conto che la nostra è storia di 400 anni.
      Vorrei però portare una riflessione legata a un episodio che mi è capitato durante i bombardamenti russi che hanno fatto seguito alla strage del teatro Dubrovka.
      Mi trovai a fuggire, assieme a 18 medici e 70 infermieri, dall'ospedale bombardato, ma presto ci accorgemmo di essere circondati da un campo minato. Eravamo in trappola: era notte e non potevamo vedere le mine, ma se avessimo aspettato la mattina i russi ci avrebbero catturati e uccisi.
      Eravamo pronti ad aspettare la morte, quando un gruppo di ribelli venne a soccorrerci. Quattro di loro ci aprirono un varco camminando davanti a noi e facendosi saltare sulle mine. Se esistono uomini pronti a un tale sacrificio per salvare il proprio popolo, non è assurdo ipotizzare che potessero essere stati convinti, magari dal Kgb, a fare quello che è stato fatto al Dubrovka pensando sinceramente di non fare un'opera di violenza e di uccidere, ma di salvare e ristabilire la pace in Cecenia.

      D) Delle elezioni presidenziali dello scorso 5 ottobre - a differenza delle parlamentari russe del 7 dicembre - in Italia non sono arrivate che eco debolissime. Kadyrov è stato eletto presidente della Cecenia con oltre l'80% dei voti...

      Si è trattato di una presa in giro. Da parte cecena le elezioni sono state ignorate. La popolazione praticamente non ha votato; lo hanno fatto le truppe di occupazione e quei ceceni che lavorano per le organizzazioni russe. Del resto le elezioni erano destinate a fallire fin dall'inizio: come si può parlare di elezioni democratiche durante una guerra, oltretutto lasciando un solo candidato? Ovvio che le organizzazioni internazionali si siano rifiutate di partecipare come osservatori. 
      Queste elezioni, che non rispettano la nostra costituzione né il diritto internazionale, sono uno schiaffo a noi e alla Comunità internazionale. 

      D) Esclude del tutto che Kadyrov possa gestire una fase di transizione?

      Assolutamente, perché il popolo non lo sostiene e non lo sosterrà mai. È un residente di Mosca, non un eletto dal popolo ceceno, un fantoccio che il governo di occupazione ha piazzato creando una parodia di governo. Dirò di più: la sua elezione preclude la possibilità di un processo di pace. Se Mosca avesse intrapreso anche un solo vero passo verso questa direzione lo avremmo sostenuto; il regime sembra invece far di tutto per alimentare la situazione di guerra. Attualmente non vediamo alcuna via di uscita.

      D) È dunque facile aspettarsi un ulteriore inasprimento della situazione. Ma quanto potrà ancora resistere il popolo ceceno? 

      La guerra non ha potuto avere che un influsso negativo sulla nostra cultura e psicologia, ma d'altra parte ci siamo abituati: abbiamo 400 anni di storia di lotta contro il colonialismo russo. Ci sono stati periodi in cui la popolazione cecena è stata ridotta a 200mila abitanti e rischiava di estinguersi del tutto, ma ha sempre reagito. Nei campi di concentramento, dove ho visto e vissuto le torture più terribili, quello che dà la forza di resistere è il nostro orgoglio e la consapevolezza del nostro forte bagaglio culturale. 
      Non che vogliamo la lotta a tutti i costi, ma ormai - e non lo dico per orgoglio - è stato raggiunto un punto di non ritorno che la rende indispensabile. Ma sappiamo perfettamente che la questione può essere risolta solo con metodi politici. Ed è per questo che Ilyas Akhmadov, ministro degli esteri in esilio del governo Maskhadov, sta cercando di promuovere un piano di pace che prevede la smilitarizzazione da entrambe le parti e per alcuni anni un governo delle Nazioni Unite che aiuti a ricostruire gradatamente istituzioni democratiche cecene.

      D) Nonostante i deludenti atteggiamenti rinunciatari del passato, tornate allora a credere nella possibilità di un aiuto da parte della Comunità internazionale?

      Questa proposta è il frutto di un arduo e lungo lavoro che ha tenuto conto delle radici profonde del conflitto e della situazione attuale, che non può che prevedere un intervento da parte di terzi per la sua soluzione. Noi avremmo da tempo voluto appoggiarci a istituzioni forti, ma, come è stato dimostrato anche dal conflitto in Iraq, sia l'Onu, sia l'Osce non sempre hanno la forza necessaria per far rispettare le proprie decisioni; d'altra parte sono le uniche organizzazioni veramente in grado di aiutare e sostenere istituzioni democratiche nel rispetto dei diritti dell'uomo. 
      L'Europa e gli Stati Uniti devono capire l'importanza dell'Onu nel nostro caso: è l'unica via per la pace e si tratterebbe di un'occasione per la Russia stessa, che potrebbe così rientrare nel novero dei Paesi europei che rispettano i diritti dell'uomo e diventare una vera democrazia. Tutto ciò permetterebbe inoltre alla Cecenia di entrare a far parte del mondo democratico, cosa che avrebbe influssi estremamente positivi, tenuto conto della instabile situazione geopolitica del Caucaso.

      D) Cosa significa essere ministro della Sanità in Cecenia?

      Si tratta di un ruolo estremamente difficile, perché implica una lotta quotidiana per risolvere problemi a volte insuperabili. In tutti questi anni mi sono trovato ad effettuare oltre 5mila interventi chirurgici, di ogni tipo. Al di là della frontiera cecena sono molti i feriti che devono essere curati e lo si deve fare in circostanze molto difficili. C'è poi il problema dei profughi e dei rifugiati, che sono migliaia. E poi il recupero di chi esce dai campi di concentramento russi: c'è un'assoluta necessità di cure psichiatriche, che io cerco di procurare, ma sempre con difficoltà enormi.
      Ma ancor più complicata è la mia funzione politica: non posso circolare liberamente, perché sotto pressione della Russia molti Paesi non mi danno il visto. E questo mi crea problemi anche quando cerco borse di studio all'estero per quei ragazzi che sono in esilio, o che non sono già impegnati nel combattimento con le nostre truppe.

      D) A proposito delle giovani generazioni cecene, alcuni osservatori hanno rilevato un deciso aumento del consumo di sostanze stupefacenti .

      Il narcotraffico in quanto tale non è mai stato più sviluppato in Cecenia che altrove. Quello che è certo è che, come il Caucaso, proprio a causa della situazione di guerra e instabilità il mio Paese è diventato una via privilegiata per il narcotraffico internazionale. Per quanto riguarda il consumo, invece, basti sapere che in Cecenia gli stupefacenti sono venduti al prezzo più basso di tutti i Paesi dell'ex Unione Sovietica. Non può essere un caso: è verosimile che questo sia stato fatto intenzionalmente, per distruggere la nostra giovane generazione.
      Ecco perché cerchiamo di risolvere questi problemi con urgenza, ma finché non ci sarà cooperazione da parte di altri Paesi, quelli europei in primis, non ne usciremo. E se cresce una generazione di terroristi, la responsabilità non sarà solo nostra. 

      L'appello internazionale a sostegno del Piano Akhmadov può essere sottoscritto sul sito www.radicalparty.org. 
      Tra gli altri hanno aderito: 
      André Glucksmann, Barbara Spinelli, Adriano Sofri, Vladimir Bukovsky, Bernard Kouchner, Ismail Kadaré, Walter Veltroni.