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Armi italiane senza controlli



Armi italiane senza controlli
Via libera definitivo alla riforma della legge 185 sull'esportazione di
armamenti, una conquista del movimento pacifista Addio ai controlli e alla
trasparenza Contrari Ds, Verdi e Prc. Ma la Margherita si astiene, lo Sdi e
Mattarella votano sì
ALESSANDRO MANTOVANI

Addio alla legge 185 del `90, addio ai controlli - sia pure sempre più
blandi - sulle esportazioni di armi dall'Italia. La camera dei deputati ha
approvato ieri in via definitiva la modifica la legge 185 del `90 e la
ratifica il trattato di Farnborough sulla riorganizzazione dell'industria
bellica, sottoscritto nel 2000 dall'Italia (governo D'Alema) insieme a
Francia, Germania, Gran Bretagna, Spagna e Svezia. E' la liberalizzazione
del commercio delle armi da guerra. Si allarga la platea dei paesi
acquirenti (le violazioni dei diritti umani devono d'ora in poi essere
«gravi» per far scattare il divieto), si elimina il certificato d'uso finale
che serve ad evitare le cosiddette «triangolazioni», si cancella perfino
l'obbligo del governo di presentare la relazione annuale sulle esportazioni
autorizzate. Se da tempo la polizia della Nigeria, per esempio, spara sugli
oppositori con pistole e fucili Beretta, ma almeno qui in Italia lo
sappiamo, in futuro non lo sapremo neppure. Non sapremo neppure quali e
quanti armi italiane finiranno ai regimi della Cina o dell'Algeria. Non lo
saprà neanche il parlamento, che di fatto non potrà intervenire contro
eventuali autorizzazioni illegali concesse dal governo. E comunque, per fare
arrivare armamenti made in Italy a paesi belligeranti o sotto embargo o
responsabili di «gravi violazioni dei diritti umani accertate dall'Onu,
dall'Ue o dal consiglio d'Europa» (così dice la legge), le aziende non
dovranno far altro che ricorrere alla «triangolazione», facendo passare il
carico per un paese destinatario legittimo della «merce». Con l'abolizione
del certificato d'uso finale sarà impossibile sanzionarle.

Anche per questo la legge voluta dalle destre va al di là della semplice
ratifica del già discutibile trattato di Farnborough, erodendo nel profondo
il sistema di controlli, garanzie e obblighi di trasparenza introdotto con
la legge 185/90, che era stata approvata sull'onda delle mbilitazioni
pacifiste degli anni ottanta. E anche per questo quasi tutte le opposizioni
hanno votato contro. Così i Ds, che a Farnborough erano rappresentati
dall'allora sottosegretario alla difesa Marco Minniti e ieri, prima di
decidere per il no, hanno cercato di ottenere lo stralcio della ratifica del
trattato dagli altri articoli della legge. Contro, naturalmente, hanno
votato Rifondazione comunista e i Verdi, che in parlamento hanno dato voce
alla campagna in difesa della 185 portata avanti in questi anni da
Peacelink, rete Lilliput, Missione oggi, Vita e dall'intero arcipelago
pacifista, più o meno radicale e più o meno cattolico. «Anche la ratifica
del trattato era da respingere - ha detto Elettra Deiana, in commissione
difesa per il Prc - E' il trattato infatti a stabilire che la licenza
globale di progetto consente alle aziende di evitare un sistema di controlli
successivi». Si sono invece astenuti i deputati della Margherita, che hanno
voluto così valorizzare alcuni obblighi di trasparenza delle attività
bancarie introdotti al senato. I socialisti dello Sdi hanno votato a favore
insieme alle destre e all'ex ministro della difesa Sergio Mattarella
(Margherita). Risultato, la legge è stata approvata con 222 sì, 115 no e 20
astenuti.

Ovvia e legittima la soddisfazione delle destre, che hanno fatto
all'industria delle armi un regalo senza precedenti dopo anni di lobbying e
di pressioni. Per tutti ha parlato Gustavo Selva, che presiede per conto di
An la commissione esteri di Montecitorio: «Quando si tratta di un punto così
qualificante come quello riguardante gli strumenti della sicurezza europea,
l'Ulivo si spacca come si è visto». Se l'ultima relazione sull'export
italiano di armi, presentata ad aprile dal governo per l'anno 2002,
registrava un aumento del 6 per cento in valore rispetto all'anno precedente
(v. Luciano Bertozzi sul manifesto del 9 aprile scorso), per un totale di
920 milioni di euro, probabilmente l'anno prossimo il dato sarà molto più
alto ma conoscerlo risulterà impossibile. Con la nuova normativa, infatti,
scompare anche la relazione annuale, che peraltro già oggi non consente, per
ragioni di riservatezza, di conoscere esattamente dove vanno a finire le
armi prodotte da ciascun esportatore (i dati forniti riguardano solo il
volume d'affari di ciascuna azienda e di ciascun paese destinatario, senza i
relativi «incroci»). E la relazione, come i controlli, comunque non riguarda
i progetti di armamento realizzati in coproduzione europea (in valore un
altro 50 per cento in più da aggiungere ai 920 milioni di euro), tra i quali
rientrano gran parte delle attività dirette al riarmo dei nuovi membri
est-europei della Nato. Da sempre sottratti ai controlli sono del resto gli
armamenti più leggeri.

«La Casa delle libertà ha approvato definitivamente una legge che ci riporta
indietro di 15 anni», ha commentato Piero Ruzzante per i Ds. Alfonso
Pecoraro Scanio, spiegando il no dei Verdi, ha chiesto a Berlusconi di far
propria la proposta presentata al G8 dal presidente brasiliano Lula, quella
di una tassa sul commercio d'armi per finanziare la lotta alla fame nel
mondo. Deiana (Prc) ha sottolineato che «i controlli previsti dalla legge
185 hanno già subito un progressivo logoramento anche per effetto di
circolari e regolamenti applicativi dei governi precedenti. Si tratta - ha
aggiunto - della connessione tra il mercato delle armi e la difesa europea,
ed è una mostruosità giuridica pensare che si possa discutere della difesa
dell'Europa a partire dagli interessi dei produttori di armi».

Il Manifesto del 4/6/2003