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La Legge-Delega "scippa" l'art. 18






Forse molti non conoscono fino in fondo le conseguenze delle leggi 
deleghe affidate al governo in materia di lavoro, derivanti dal 
cosiddetto "Libro bianco".

Sempre Michele Di Schiena (oggi Presidente Emerito di Cassazione, ha 
fatto per decenni il giudice del lavoro a Brindisi) offre, all'uso di 
chi ha la cortesia di volersi soffermare alla lettura di questo 
articolo, una sintesi sulle gravosissime conseguenze sul mondo del 
lavoro di tali modifiche (quando saranno approvate) che di fatto 
permetteranno alle aziende di qualsiasi dimensioni di eludere il 
limite dei quindici dipendenti e quindi non applicare già le garanzie 
dell'art. 18.

Questo rende ancora più necessario l'estensione di questo diritto 
attraverso il SI al referendum del 15 giugno per contrastare questo 
diabolico ed antidemocratico escamotage partorito dalle "menti" della 
Confindustria e dei cosiddetti riformisti che, ovviamente, invitano, 
all'astensione.

Utilizza e diffondi, se condividi.

Giancarlo CANUTO



(Nel rispetto della legge 675/96 e quindi nelle misure di sicurezza e 
riservatezza previste, secondo quanto previsto dall'art. 13, potete 
richiedere la cancellazione mandando un e-mail all' indirizzo 
<mailto:giancanuto@libero.it>giancanuto@libero.it  con oggetto 
CANCELLAZIONE.





IL REFERENDUM SULL'ART. 18
E LA LEGGE DELEGA SUL MERCATO DEL LAVORO



Per un malinconico patto "in frode" alla democrazia che lega menzogne 
e silenzi, c'è il rischio che possa sfuggire l'istanza di giustizia e 
la rilevanza sociale del referendum sull'art. 18 per l'estensione a 
tutti i lavoratori del diritto alla reintegra nel posto di lavoro nel 
caso di licenziamento arbitrario. Ed è anche probabile che non sia 
purtroppo colta la valenza che l'iniziativa referendaria ha assunto 
dopo quanto è accaduto qualche mese addietro con l'approvazione della 
legge 14 febbraio 2003 n° 30 che, in parziale ma significativa 
attuazione del progetto delineato dal Ministro Maroni nel famoso 
"Libro bianco", delega al Governo l'adozione di decreti legislativi 
in materia di occupazione e mercato del lavoro fissando i relativi 
principi e criteri direttivi.

Partendo dal rilievo che cultura costituzionale e sensibilità 
democratica avrebbero dovuto sconsigliare alla maggioranza il 
ricorso, in materia così delicata, allo strumento della delega per 
non sottrarre la riforma ad un vaglio del Parlamento approfondito e 
particolareggiato, è utile tratteggiare alcune delle più rilevanti 
modifiche messe in cantiere con la citata legge per coglierne la 
portata regressiva e le gravi implicanze che confermano la giustezza 
e la lungimiranza della proposta referendaria. Va detto allora che la 
legge delega punta ad una crescente privatizzazione del sistema del 
collocamento e progetta la redazione in materia di "testi unici" che, 
col pretesto dello "snellimento e semplificazione delle procedure 
d'incontro tra domanda e offerta di lavoro", appaiono destinati a 
ridurre le garanzie in favore dei lavoratori. La riforma prevede poi 
l'abrogazione della Legge n° 1369/60 che vieta l'interposizione di 
manodopera consentendo in tal modo l'appalto di mere prestazioni 
lavorative col ritorno alla grande del triste fenomeno del 
"caporalato". Operazione questa portata avanti dietro la cortina 
fumogena della ridefinizione dei casi di "interposizione illecita" 
riscontrabile solo "laddove manchi" una Š immancabile (per la 
genericità con la quale viene formulata) "ragione tecnica, 
organizzativa o produttiva".

Ed ancora, la legge in questione estende l'area del lavoro parziale 
addirittura fino a comprendere il lavoro "intermittente", con 
variazioni dell'orario lavorativo settimanale e giornaliero 
comunicabili al lavoratore giorno per giorno (se non ora per ora) con 
il conseguente suo totale assoggettamento, compensato da qualche 
misera maggiorazione retributiva, ai mutevoli interessi ed umori del 
datore di lavoro. E sulla stessa linea di attacco ai diritti ed alle 
tutele viene delineata la creazione di nuove forme di lavoro precario 
mentre non muta, se non a parole, la situazione delle collaborazioni 
coordinate e continuative per l'inadeguatezza e l'inefficacia delle 
misure fumosamente enunciate. E c'è infine, in esecuzione di un più 
ampio disegno rivolto a ridurre il controllo di legalità da parte 
della magistratura, la novità costituita dalla "certificazione" 
preventiva in materia di qualificazione del rapporto di lavoro da 
affidare ad un organo abilitato ad attribuire "piena forza legale" al 
contratto appunto "certificato" col chiaro intento di scoraggiare il 
ricorso al giudice nei casi di errata qualificazione giuridica del 
rapporto o di mancata corrispondenza tra tale definizione e lo 
svolgimento concreto del rapporto medesimo.

Ma c'è nella legge delega una "perla": una disposizione che svuota di 
qualsiasi efficacia l'art. 18 e tendenzialmente lo abroga estendendo 
di fatto - con una logica diametralmente opposta a quella del 
referendum - l'impossibilità della reintegra, oggi circoscritta 
nell'ambito delle imprese minori, a tutti i lavoratori delle imprese 
con più di 15 dipendenti. Ed è precisamente la norma dell'art. 1 
lettera p della citata legge che prevede la modifica dell'art 2112 
codice civile che attualmente consente il trasferimento dell'intera 
azienda o di una parte di essa solo se questa "parte" costituisce una 
"articolazione funzionalmente autonoma di un'attività economica 
organizzata Š preesistente come tale al trasferimento" e solo se 
"conserva nel trasferimento la propria identità". Oggi il 
trasferimento di un ramo di azienda è quindi possibile soltanto se 
esso, in quanto entità organizzata e dotata di autonomia funzionale, 
esisteva ed operava come tale prima del trasferimento e non quando 
questo ramo sia creato sulla carta in coincidenza del trasferimento 
medesimo per mascherare cessioni fraudolente rivolte a frazionare 
aziende di grandi o medie dimensioni in imprese minori per sottrarre 
ai lavoratori la garanzia dell'art. 18.

Ebbene, con la riforma della legge delega non sarà più così perché il 
requisito della "autonomia funzionale" non dovrà più preesistere al 
trasferimento del "ramo" di azienda ma sarà sufficiente che esso 
compaia "nel momento" della cessione, anche in favore di società 
all'uopo strumentalmente costituite, per sparire subito dopo. Tale 
requisito diviene insomma una "particella virtuale", destinata nel 
mondo delle imprese a fuggevoli comparizioni e scomparse, scoperta in 
foraggiati laboratori dagli "scienziati" di questa maggioranza ed 
offerta alla Confindustria di D'Amato e a chi vorrà servirsene per 
vanificare la garanzia dell'art. 18. Un progetto questo che può 
essere clamorosamente battuto dal successo dell'iniziativa 
referendaria.

Brindisi, 22 maggio 2003

Michele DI SCHIENA