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Silvana Barbieri, "Leyla Zana e situazione Turchia"



Silvana Barbieri, "Leyla Zana e situazione Turchia"

Il 17 luglio e' stato il primo anniversario della sentenza della Corte dei
Diritti dell'Uomo di Strasburgo che ha condannato la Turchia per i casi di
detenzione di Leyla Zana e degli altri parlamentari kurdi in carcere.
Dopo un anno la situazione non ha avuto nessun esito positivo, anzi, per
certi aspetti, è peggiorata.
Silvana Barbieri ha preparato l'articolo che segue (diffuso da
PuntoRosso), il quale fa un quadro della situazione assai preciso e
illustra anche il punto della campagna di lotta.



Il 17 luglio la Corte dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo ha emesso
all'unanimità - quindi con il voto anche del giudice turco - una sentenza
di condanna della Turchia per il processo a carico di Leyla Zana e degli
altri parlamentari kurdi in carcere con lei da quasi otto anni. La sentenza
della Corte contesta la legittimità di questo processo sotto ogni profilo e
chiede alla Turchia o la sua revisione  immediata o la scarcerazione dei
deputati kurdi.

Leyla Zana, lo ricordiamo, è stata la prima e anche l'ultima donna kurda
eletta al Parlamento turco, ed è in carcere in Turchia, come è per migliaia
di kurdi, per aver parlato in kurdo e chiesto il riconoscimento della sua
lingua e del suo popolo, cioè della lingua e dei diritti culturali di 20
milioni
di persone.

Dopo la sentenza del 17 luglio abbiamo tirato un sospiro di sollievo, per
un momento abbiamo pensato "ora il governo turco dovrà liberarli e dovrà
affrontare in modo diverso la realtà kurda",  e non siamo stati i soli in
questo: anche il marito di Leyla, i suoi avvocati, il partito kurdo Hadep, i
democratici turchi. Abbiamo sperato che la Turchia cogliesse questa
sentenza per iniziare le riforme che l'Unione Europea da tempo chiede. Ci
siamo sbagliati. Ancora una volta abbiamo sottovalutato l'arroganza e il
fascismo sostanziale del governo turco. Ci siamo dimenticati che è dal
1987 che la Turchia viene condannata dalla Corte di Strasburgo, alla
quale 5.000 persone si sono rivolte, che 157 volte è stata condannata e
solo 9 assolta, mentre in 400 casi è stato raggiunto un patteggiamento, e
che per gli indennizzi essa ha dovuto pagare 11 milioni di dollari.

Nei primi sei mesi di quest'anno il Consiglio d'Europa è intervenuto due
volte per sollecitare il governo turco ad applicare la sentenza della Corte
di Strasburgo. Quest'ultima inoltre nello stesso periodo ha emesso altre
due importanti sentenze: la prima di condanna della Turchia per la
messa al bando nel luglio del 1993 del partito kurdo Hep (predecessore
del Dep di Leyla Zana e dell'attuale Hadep), in quanto l'Hep "non usava
violenza né attentava all'integrità del paese". Sicché la Corte ha
condannato la Turchia a pagare ai ricorrenti una multa di 40.000 euro. La
seconda e significativa condanna della Corte stabilisce che la Turchia "ha
violato il diritto di libere elezioni nel caso della rielezione della
parlamentare kurda Leyla Zana e di altri deputati del passato partito Dep,
dissolto  dalla Corte Costituzionale turca il 16 giugno 1994", avendo infatti
violato "la vera essenza del diritto a presentarsi come candidati e avere
uffici parlamentari, e ha infranto la discrezionalità dell'elettorato che ha
eletto i candidati".

Ricordiamo che il partito Dep, fondato nel 1993, sosteneva i diritti politici e
culturali dei kurdi. I suoi parlamentari, tutti provenienti dalla regione
kurda,
prestarono giuramento in Parlamento in lingua kurda, e così alcuni furono
arrestati appena usciti dal Parlamento, mentre altri riuscirono a fuggire in
Europa. Nello stesso giorno venne  dissolto il  partito Dep.

Il caso dei membri kurdi del Parlamento turco è d'altronde solo l'ultimo di
una lunga serie di censure della Turchia da parte della Corte di
Strasburgo per aver dissolto partiti politici. Al tempo stesso questo caso è
unico, in quanto per la prima volta la  Corte ha dichiarato che la Turchia
ha violato il diritto di libere elezioni (secondo l'art. 3 del protocollo 1
) della
Convenzione europea  dei diritti umani: mentre in precedenza i casi si
focalizzavano sul diritto dei partiti stessi di esistere, la sentenza in questo
caso si incentra sia sul diritto dell'elettorato di scegliere i propri
rappresentanti sia sul diritto individuale di candidarsi  al Parlamento.

Anche il Parlamento Europeo nella sua seduta del 13 dicembre 2001 ha
votato all'unanimità una durissima risoluzione di condanna per il
prolungarsi della detenzione di Leyla Zana e dei suoi colleghi.

Sul versante interno della Turchia la situazione rimane sempre pesante. Il
governo turco, per cercare di andare incontro alle richieste dell'Unione
Europea, ha proceduto a modifiche costituzionali (l'attuale Costituzione, lo
ricordiamo, è stata varata nel 1982 da un regime militare, e contiene
infinite limitazioni nei diritti e nelle libertà democratiche). Il Parlamento
turco nell'ottobre 2001 ha quindi adottato emendamenti a 34 articoli della
Costituzione. A seguito di questi emendamenti costituzionali è stato
ridotto a 24 o 48 ore, a secondo del tipo di reato, il periodo di detenzione
preventiva, che è poi la fase in cui si verifica la maggioranza dei casi di
tortura, e che arrivava a ben 10 giorni nelle zone kurde, sottoposte a
regime militare. Un altro emendamento riguarda l'abolizione della pena
di morte per i reati comuni: va però detto che nel codice penale turco solo
uno dei 13 articoli che comportano la pena di morte si riferisce a reati
comuni, gli altri 12 si riferiscono a "reati contro lo stato", e  quello
qui più
usato è l'art. 125 per gli atti di "separatismo". L'introduzione poi del
diritto
ad un giusto processo e la sospensione  della messa al bando per le
espressioni e le pubblicazioni in kurdo fanno parte esse pure degli
emendamenti alla Costituzione.

Tuttavia tutto ciò è quasi solo sulla carta. Dato che l'abolizione del divieto
di potersi esprimere in kurdo ha portato migliaia di studenti a richiederne
l'insegnamento nelle scuole e nelle università, la risposta violenta dello
stato non si è fatta attendere: migliaia di studenti sono stati perciò fermati
e anche arrestati, e dalla sola Università Mustafa Kemal sono stati 325 gli
studenti espulsi, con l'accusa di aver posto "richieste fuorvianti dettate da
organizzazioni terroristiche come il PKK che abbandonando la lotta
armata ha adottato una strategia tesa a mettere in difficoltà la Turchia".  Si
è arrivati inoltre al ridicolo di una circolare del Ministero dell'Interno
a tutti i
governatori, secondo la quale essi dovranno costituire commissioni con i
direttori provinciali per le politiche educative  per studiare il senso dei
nomi kurdi onde poter impedire che le famiglie kurde diano ai propri figli
nomi legati alla propria cultura. Queste commissioni dovranno anche
controllare  che questi nomi non si pongano in violazione con la norma
che prevede l'indivisibilità dello stato. Dopo questa circolare il
governatorato di Antalya ha messo sotto processo 23 genitori di bambini
kurdi con l'accusa di aver dato nomi kurdi ai propri figli. Inoltre la
repressione continua su ogni versante, e per dirla con Amnesty
International la tortura continua a essere una pratica incessante in
Turchia. Essa viene praticata principalmente durante la detenzione di
polizia,  prima cioè che i detenuti siano portati davanti al giudice. Amnesty
International riferisce anche di episodi di persone ricondotte sotto la
custodia della polizia per quattro e più giorni dopo essere stati visti dal
giudice e da esso condannati e quindi mandati in prigione oppure assolti
e quindi lasciati liberi. Riportate nei commissariati di polizia queste
persone sono state torturate fino ad estorcere loro delle confessioni di
comodo. In occasione della giornata mondiale contro la tortura un cartello
di numerose associazioni per la difesa dei diritti umani e per la
prevenzione della tortura ha perciò presentato un documento dove si
ricorda che la Turchia è uno di quei paesi  nei quali  le persone muoiono
ancora oggi a causa delle violenze subite nelle carceri. Oggi la tortura è
impedita dalla nuova legge di modifica costituzionale, ma l'associazione
per i diritti umani Hid denuncia che nei primi mesi dell'anno  2002, 95
persone si sono rivolte ad essa per aver subito torture, e che questi casi
non vengono studiati dalla polizia né alcun referto sulle condizioni di chi è
stato torturato viene stilato dai medici.

Va infine aggiunto che alla Turchia tutto questo è pure consentito dal
modo contraddittorio del rapporto con essa da parte dell'Unione Europea
e degli stati membri. Da un lato, infatti, vengono da essi poste alla
Turchia richieste di democratizzazione perché possa davvero accedere
all'Unione Europea; ma dall'altro si chiudono tutti e due gli occhi su ciò
che realmente accade tutti i giorni in Turchia, dietro alla facciata delle
riforme. Dominano cioè l'Unione Europea considerazioni politicanti e
affariste. D'altronde in Italia lo si vide benissimo già quando Ocalan,
presidente del PKK, ci chiese asilo e fu cacciato via. E si vede oggi nel
fatto che, paradossalmente, il PKK, che da tre anni ha cessato ogni
attività militare e recentemente si è pure sciolto, aprendo la strada a un
nuovo partito kurdo di orientamento pacifista e che rivendica i diritti dei
kurdi accettando al tempo stesso gli attuali confini della Turchia,  è stato
inserito nei mesi scorsi dall'Unione Europea nell'elenco delle
organizzazioni "terroriste" da controllare e da reprimere!

Nel messaggio che Leyla Zana inviò al Congresso della Federazione
Internazionale delle Donne Democratiche del 1998 a Parigi si diceva che
la guerra civile tra PKK e lo stato turco era "una situazione che colpisce
profondamente entrambi i popoli". Ma, aggiungeva Leyla Zana, "io credo
che sia la donna kurda colei che soffre più intimamente e dolorosamente
le ripercussioni devastanti di questa guerra. Perché a differenza delle
donne turche a noi kurde è negata la nostra stessa identità culturale, e a
questo si aggiunge la violenza fisica che viola in modo tremendo
l'integrità dei nostri corpi".

Ma è ancora di questi mesi, purtroppo, la brutale campagna contro
l'avvocatessa Eren Keskin militante dell'associazione per i diritti umani
Hid, impegnata nella lotta contro le violenze sessuali sulle donne da
parte delle forze di sicurezza dello stato. Eren Keskin ha descritto una
serie di casi di violenza durante un soggiorno in Germania effettuato per
raccogliere fondi destinati a dare assistenza legale alle donne che hanno
subito abusi sessuali da parte delle forze di sicurezza dello stato: e
terribile è stata la reazione contro di lei da parte di giornali e radio
turche.
"Se io non stuprassi Eren Keskin la prossima volta che la vedo, non sarei
un uomo", ha detto un commentatore di "Radio D"; il giornale "Ikinci", a
sua volta, ha scritto che "quando Eren Keskin ritorna, sarà lei  a buscarsi
la sua violenza sessuale"; "c'è solo una parola per questo: tradimento",
ha scritto infine il quotidiano di massa "Hurriyet".

Così il Comitato contro la tortura del Consiglio d'Europa in un suo
comunicato del 24 aprile chiede alla Turchia "una maggiore attività per
cancellare, definitivamente, le pratiche violente che ancora si registrano
nelle prigioni turche". Gli esperti recatisi in Turchia a settembre hanno
definito, è vero, la situazione in "graduale miglioramento": però esso è
pure ritenuto assai insufficiente. "Pratiche quali applicazione elettrodi, e
altri simili, sono meno frequenti che in passato ma le violenze sono
ancora numerose anche se non è stato possibile registrarle tutte",
afferma infatti il Comitato. A Van, inoltre, esso ha denunciato che  la
stanza degli interrogatori della sezione femminile della prigione è un
tunnel nero, stretto e completamente insonorizzato: ovvero che "tali
strutture sono assolutamente inconcepibili per un moderno servizio di
polizia". I locali, poi, sono infestati da insetti di diverso tipo e, secondo
sempre il Comitato, un interrogatorio in questo luogo già di per sé è da
considerarsi una forma di tortura psicologica. Il Comitato la ha anche
registrato le denunce delle prigioniere che, durante gli interrogatori, sono
bendate per impedire loro di riconoscere i torturatori. Il Comitato ha,
infine, denunciato il fatto che in Turchia le madri imprigionate coi loro
bambini sono costrette a vivere  in condizioni terribili, in stanze
piccolissime, senza alcuna forma d'igiene o di assistenza  .

E se queste sono le pratiche illegali che vengono adottate nei fermi di
polizia o nelle carceri, ha solo pochi giorni la nuova legge che vieta ai
dirigenti scolastici di verificare la verginità delle studentesse, come riporta
The International Tribune del 20 giugno 2002. "Una nuova legge
approvata in primavera non consente più ai dirigenti scolastici turchi di
verificare la verginità delle studentesse. Negli ultimi anni la Turchia ha
fatto dei passi avanti verso la parità tra uomo e donna, ma la situazione
attuale mostra quanto lungo sia ancora il percorso da compiere. La
questione della castità delle studentesse venne alla ribalta lo scorso
anno, quando il Ministro della salute annunciò che le studentesse dei
corsi per educatrici, se riconosciute sessualmente attive, avrebbero
dovute essere espulse. In molte regioni del paese, specialmente nell'est
e nel sud-est, persiste ancora una certa percentuale di poligamia, di
matrimoni a seguito di rapimenti e di uccisioni di donne sospettate di
aver avuto rapporti da nubili. La battaglia per la parità è condotta
soprattutto da gruppi di donne che si scontrano con l'inerzia dello stato,
che non si rende protagonista di un'efficace azione nei confronti dei
governi locali. Quello che ancora manca è un vero e proprio programma
di alfabetizzazione femminile, che potrebbe aiutare la lotta  per
l'emancipazione più che mille leggi  parziali".

E per concludere alcuni cenni sulla situazione politica in Turchia in
questo momento.

La grave crisi economica che colpisce la Turchia, e che ha ridotto il paese
alla fame (il 40% del Pil va nella spesa militare) l'aveva messa tra i paesi
ai quali il Fondo Monetario Internazionale era intenzionato a chiudere
qualsiasi tipo di sostegno. Cosa che si è verificata per l'Argentina, mentre
il traballante potere turco ha potuto salvarsi, per i tamponamenti che il
Fondo  Monetario gli ha portato, su richiesta degli Stati Uniti, in quanto la
Turchia è l'alleato oggi per essi più importante in seno alla Nato. Ma la
crisi politica ed economica della Turchia è di una tale gravità che
nemmeno i dollari che ogni giorno vengono pompati in essa riescono a
fermarla. Così è di questi giorni la scissione del partito del capo del
governo Ecevit, da parte della fazione più prossima all'Unione Europea,
per estromettere Ecevit e i Lupi Grigi dal governo.

Infine, tornando alla carcerazione di Leyla Zana, anche noi non siamo
stati fermi in questi primi sei mesi dell'anno. Abbiamo lavorato per
formare una delegazione parlamentare rappresentativa sia
dell'opposizione che della maggioranza di governo, come ci aveva
chiesto l'avvocato di Leyla Zana nello scorso novembre; essa che
avrebbe dovuto incontrare  rappresentanti del Parlamento e del Governo
turchi. Per ben due volte siamo stati sul punto di partire, e per ben due
volte abbiamo incontrato difficoltà che non siamo riusciti a superare.

Nel frattempo però ci siamo pure mossi nelle istituzioni periferiche: e
decine di consigli comunali, provinciali e regionali hanno votato mozioni,
in genere all'unanimità, per la scarcerazione di Leyla Zana e dei suoi
colleghi in carcere. Questo risultato lo dobbiamo soprattutto alle
compagne e ai compagni di Rifondazione Comunista, che si sono
impegnati a proporre le mozioni e a farle  passare. A tutti loro va il nostro
ringraziamento. Ma facciamo ancora un appello a quelle situazioni in cui
la mozione è rimasta in sospeso affinché venga approvata al più presto e
anche a quelle situazioni dove è stata approvata ma non ci è pervenuta.
Ricordiamo che le mozioni si possono inviare  a Silvana Barbieri Vinci,
Via R. Sanzio, 21 - 20149 Milano, oppure per  fax  a 02-4980071, oppure
per e-mail a silbarbieri@virgilio.it

Pensiamo infine di arrivare ad una iniziativa in autunno che coinvolga i
consigli comunali, provinciali e regionali  dove le mozioni sono state
votate.