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Retata colf a Trento - ricorsi accolti - testo provvedimento



In seguito alla mobilitazione per la "retata" di collaboratrici familiari
regolarizzabili dello scorso 25 marzo, comunichiamo che il Tribunale Civile
di Trento ha accolto il ricorso collettivo (5 ricorrenti - provvedimento
notificato il 22.4.2002) promosso dalle associazioni firmatarie del
comunicato unificato del 28 marzo scorso (v. allegato), presentato
attraverso il nostro Servizio di Consulenza Legale e l'avvocato Ottorino
Bressanini, che ringraziamo. Alleghiamo il testo della decisione e
ringraziamo tutti quanti hanno dato il loro sostegno a questa azione da più
parti, facendo sentire viva la coscienza sociale in Trentino.

In questo provvedimento il giudice ha annullato l'espulsione di tre delle
cinque ricorrenti e diminuito da cinque a tre anni il divieto di reingresso
in Italia per le altre due. Queste ultime infatti risultano essere entrate
in Italia da alcune settimane e le loro posizioni non sono state ritenute
regolarizzabili con il proposto provvedimento di sanatoria in corso di
approvazione al Parlamento. Notiamo che non è stato necessario documentare
la loro posizione lavorativa delle ricorrenti, così non esponendo alla
sanzione penale i loro datori di lavoro e non perdendo l'offerta di lavoro
che potrebbe sanare la loro posizione.

Queste, in sintesi, le motivazioni:

1. interpretazione della legge alla luce dell'articolo 2 della
Costituzione: le esigenze di presidio delle frontiere e di ordinata
regolamentazione del flusso migratorio possono cedere alle istanze di
solidarietà politica, economica e sociale sottese alla situazione di
positivo inserimento sociale e lavorativo, nonché di assenza di condotte
che violano l'ordine pubblico. L'espulsione non può perciò essere
automaticamente applicata in caso di mancanza del permesso di soggiorno;

2. è in fase avanzata l'iter di approvazione di un disegno di legge volto
proprio a regolarizzare le posizioni di lavoratori stranieri che svolgono
lavoro domestico, come nel caso delle ricorrenti, purché presenti in Italia
d aprima del 1° gennaio 2002. Sarebbe diseconomico e irragionevole
costringere le straniere all'abbandono del territorio italiano in presenza
delle circostanze sanabili;

3. alle stesse conclusioni non si può giungere per le due ricorrenti che
risultano essere entrate da poche settimane in Italia, non potendosi
ritenere che vi sia uno stabile inserimento socio-lavorativo sanabile da
tutelare. Peraltro si ritiene congruo ridurre da 5 a 3 anni il periodo di
divieto al reingresso in Italia conseguente all'espulsione.

Suggeriamo di chiedere al Questore di Trento o al Commissario del Governo
di revocare i decreti di espulsione emessi nelle stesse sircostanze,
qualora non siano stati annullati con ricorso temestivo al Tribunale Civile.

Cordiali saluti e buon lavoro,

Rita Bonzanin
Direzione
A.T.A.S. O.n.l.u.s.
via C. Madruzzo, 21
38100 TRENTO
tel. +39 0461 263330
fax +39 0461 263346
atasinfo@tin.it
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servizi di informazione e accoglienza per cittadini stranieri immigrati in
provincia di Trento, in convenzione con la Provincia Autonoma di Trento, ai
sensi dell'art. 17 della legge provinciale 2 maggio 1990, n. 13.








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C.C. 515/02/P
Cron. 668/02

TRIBUNALE DI TRENTO

P-  V-,nata  ---  nella  Repubblica  di  Moldova; C- T- ,nata a
----(Repubblica Moldova)il -----;S- S-, nata in Ucraina il ---------; N-
O-, nata in Ucraina il ----- e B- O-, nata in Ucraina il ---- proponevano
ricorso cumulativo avverso il decreto del 25.3.2002 con cui il Questore di
Trento le espelleva dallo Stato Italiano perché irregolarmente presenti sul
territorio nazionale in quanto prive del prescritto visto di ingresso e di
autorizzazione al soggiorno (S- S-, C- T-  e P- V-),in quanto priva di
documenti di identificazione e di autorizzazione al soggiorno e non in
grado di dare contezza di sé(B- O-)e in quanto, entrata nello spazio di
Schengen nel febbraio 2002 con visto rilasciato dall'ambasciata austriaca a
Kiev e valido lino al 27.2.2002,non richiedeva il permesso di soggiorno
entro i prescritti otto giorni lavorativi e alla scadenza del visto non
lasciava il territorio italiano(N- O-).
Raccontavano le ricorrenti di essere entrate nel territorio nazionale con
regolare visto di ingresso, così come si poteva ricavare dalla lettura dei
loro passaporti, nella prospettiva di un regolare inserimento nel mondo del
lavoro.

In effetti, avevano svolto attività di assistenza a cittadini italiani
anziani e disabili, sia pure con rapporti di lavoro non formalizzato.
Eccepivano l'automaticità dei decreti di espulsione, non preceduti dalla
motivata valutazione circa la ritenuta prevalenza del diritto alla
regolamentazione del flusso migratorio su quello, di cui la legge
sull'immigrazione pure si fa carico, della solidarietà economica e sociale.
Chiedevano l'annullamento degli impugnati decreti di espulsione e, ìn
subordine, la sospensione della loro esecutorietà e, in ulteriore
subordine, della riduzione della durata del periodo di divieto di ingresso
sul territorio italiano.
All'udienza camerale, in cui erano presenti funzionari della Questura, il
difensore delle ricorrenti insisteva per l'accoglimento de ricorso e delle
istanze subordinate.
A scioglimento della riserva, si osserva quanto segue.
La giurisprudenza prevalente è nel senso che l'esegesi costituzionalmente
orientata della normativa sulla disciplina dell'immigrazione evidenzia le
istanze di solidarietà che il legislatore del 1998 ha manifestamente inteso
privilegiare, in aderenza alle indicazioni precettive dell'art 2 della
Costituzione.
Istanze, queste ultime, che possono naturalmente cedere alle contrapposte
esigenze di presidio delle frontiere e di ordinata regolamentazione del
flusso migratorio; ma solamente quando quest'ultime abbiano ragioni di
porsi e di imporsi.
La qualcosa non pare prospettabile nel caso in questione, in cui la
ricorrente B- O- è presente in Italia quanto meno dal 16.0.2000, C- T- è
presente in Italia quantomeno dal 15.7.2001 e P- V- è presente in Italia
quantomeno dal 14.08.2001 (così come risulta dal visto Schengen apposto sul
loro passaporto), legate da rapporti di lavoro subordinato per il servizio
di assistenza domiciliare, sia pure necessariamente non formalizzato.
Sul punto va osservato che le straniere non hanno indicato i loro datori di
lavoro ma, in ragione del fatto che la legge sanziona penalmente colui che
assume alle proprie dipendenze il lavoratore straniero privo di permesso di
soggiorno, è ragionevole ritenere che si sia trattato di un'omissione
dettata dall'impulso di non pregiudicare tale posizioni soggettive.
Si versa, insomma, in un caso in cui le esigenze pubblicistiche di
regolamentazione del flusso migratorio debbono all'evidenza cedere a fronte
di quelle solidaristiche volute dal legislatore in favore dello straniero.
Più propriamente, il principio di diritto è nel senso che l'espulsione
delle straniere non poteva esser automatica, ma doveva conseguire solo
all'avvenuta comparazione tra la necessità della tutela del flusso
migratorio e le istanze di tutela del loro diritto a non essere allontanate
dallo Stato ospitante.
E' evidente, peraltro, che tale eventuale motivato provvedimento avrebbe
finito per essere in contrasto insanabile - sotto il profilo della
contraddittorietà - con la storia personale delle ricorrenti, presenti in
Italia da un considerevole lasso di tempo e fattivamente impegnate in
un'attività lavorativa idonea a sostenerla.
A parere del giudicante non è condivisibile l'orientamento
giurisprudenziale della Corte di Cassazione, secondo cui "il decreto di
espulsione dello straniero che non sia in possesso del permesso di
soggiorno o non ne abbia chiesto il rinnovo è atto vincolato ai sensi
dell'art. 13, secondo comma, del D. Lvo nr 286/1998, mentre le valutazioni
relative all'ordine pubblico, alla integrazione sociale e alle possibilità
di lavoro dello straniero attengono al procedimento di concessione o
rinnovo del permesso, il cui controllo è demandato esclusivamente al
giudice amministrativo, dinanzi al quale sia stato impugnato il diniego
(Cass. 5/12/2001 nr 15414).
L'art 13 del Dlvo l998/286, infatti, stabilisce che avverso il decreto di
espulsione può essere presentato ricorso al Tribunale, senza che vengano in
nessun modo circoscritti o limitati i motivi a sostegno di tale gravame.
Aggiungasi che la giurisdizione ordinaria è, per definizione, la
giurisdizione dei diritti e non solamente degli interessi legittimi,
cosicchè lo straniero espulso può far valere, in sede di opposizione al
decreto di espulsione, oltre che ragioni di stretta censura dell'atto
amministrativo in quanto tale, anche pretese fondative del suo sostanziale
e non affievolito diritto a non essere allontanato dal territorio italiano
pur in difetto del mai richiesto permesso di soggiorno.
Tra queste pretese giudizialmente azionabili possono rientrare certamente
il lavoro svolto pregressamente sia pure all interno di un quadro fattuale
e preternormativo, l'inserimento sociale già perfezionatosi, la durata
della permanenza sul territorio italiano, l'assenza di condotte violatrici
dell'ordine pubblico e della sicurezza dei cittadini italiani, ecc.
La ritenuta automaticità della risposta espulsiva nei confronti dello
straniero privo di permesso di soggiorno, che non tenga conto di queste
istanze neppure al limitato fine di motivatamente disattenderle così come
in sede di opposizione all'atto amministrativo l'opinata limitazione delle
censure ad aspetti afferenti solamente all'esistenza o meno ditale permesso
di soggiorno, oltre che violare l'art 2 della Costituzione e le sue istanze
di solidarietà politica, economica e sociale, finirebbe con il violare
anche il  diritto a vedere tutelate, in modo congruo ed esaustivo, davanti
all'organo giurisdizionale ordinario al quale per legge  si deve ricorrere,
le ragioni che si ritengano essere a fondamento della pretesa di rimanere
sul territorio nazionale.
La cognizione del giudizio, specularmente, non può che estendersi a tutti
gli aspetti sostanziali che possano far ritenere consolidato il diritto
delle opponenti al decreto di espulsione alla permanenza sul territorio
italiano.
Non può non aggiungersi che è in fase avanzata un disegno di legge in
materia di immigrazione che prevede la regolarizzazione del lavoro
irregolare  degli stranieri occupati in lavori di assistenza familiare e
presenti in Italia prima del 1° gennaio 2002.
Poiché le ricorrenti rientrano astrattamente in tale procedura
regolarizzativa, ancor più ingiustificato appaiono i decreti di espulsione
emessi nei loro confronti che, nel pregiudicarle irreparabilmente in tale
legittima aspettativa, opererebbero un irragionevole ed ingiustificato
trattamento in favore(art 3 Cost) di chi, pur presente irregolarmente sul
territorio italiano e per le più svariate ragioni non colto da decreto di
espulsione, sarebbe in grado di regolarizzare la propria posizione
lavorativa e di residenza.
Da ultimo, sarebbe diseconomico, sul piano della congruità ed adeguatezza
dell'interpretazione della norma, costringere le straniere all'abbandono
del territorio italiano in presenza di presupposti che, già allo stato dei
fatti, consentirebbero loro l'instaurazione formale di un contratto di
lavoro.

Sotto il profilo della necessità di non pregiudicare, nelle more
dell'approvazione della normativa sulla sanatoria in materia di lavori di
assistenza familiare, in modo irreparabile il diritto delle ricorrenti ad
ottenere la regolarizzazione dei loro rapporti di lavoro in corso, si
imporrebbe comunque la sospensiva dei decreti impugnati, la norma di cui
all'art 700 cpc essendo di carattere generale.
Alle conclusioni di cui sopra non si può giungere per quanto concerne le
posizioni di N-O- e S- S-, presenti sul territorio italiano,
rispettivamente, al più presto dal 27 febbraio 2002 e dal 15 marzo 2002 e,
al più tardi, dal 17.2.2002 e dal 15.2.2002.
E' evidente, che dato il brevissimo lasso di tempo a decorrere dal quale
esse dimorano in ltalia, non è dato presumere un loro stabile - sia pure
non formalizzato - inserimento lavorativo.
Aggiungasi che la sanatoria legislativa non si applicherebbe nei loro
confronti cosìcchè, anche sotto questo aspetto, non vi è ragione di
tutelarne la permanenza sul territorio italiano.

PQM

Definitivamente pronunciando sul ricorso avanzato da P- V-, C- T-, S-S-, N-
O- e B- O- avverso il decreto di espulsione del Questore di Trento

Accoglie
Il ricorso di P- V-, C- T- e B- O-.
Respinge
il ricorso presentato da S- S- e N- O-. Riduce nei loro confronti a tre
anni il divieto di fare ritorno sul territorio nazionale.
Si notifichi alle interessate e si comunichi alla Questura.

Tn 17 aprile 2002
Il Giudice
Corrado Pascucci



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- A.C.L.I. del Trentino
- A.N.O.L.F. del Trentino
- A.T.A.S. O.n.l.u.s.
- CARITAS DIOCESANA
- CENTRO INTERCULTURALE DELLE DONNE UJAMAÀ
- C.G.I.L. del Trentino - Coordinamento Lavoratori Immigrati
- C.I.S.L. del Trentino
- COMUNITÀ ISLAMICA DEL TRENTINO-ALTO ADIGE
- COOPERATIVA PUNTO D'INCONTRO
- FONDAZIONE MIGRANTES

RETATA DI COLF STRANIERE A TRENTO - ASPETTANDO LA SANATORIAŠ

Trento, 28.03.2002
COMUNICATO


Le associazioni suddette esprimono perplessità e sconcerto per gli
interventi di questi giorni dell'Autorità di Pubblica Sicurezza volti a
espellere dal territorio italiano lavoratrici immigrate e a interdire il
loro reingresso per cinque anni (dieci anni, secondo la proposta al voto
del Parlamento in questi giorni). Gli scriventi si interrogano in
particolare sulle motivazioni che inducono l'Autorità ad adottare
provvedimenti con questi effetti proprio nel momento in cui è
all'approvazione del Parlamento una legge regolarizzatrice che ha già
incontrato il parere favorevole della maggior parte dei rappresentanti
politici e di governo.

Risulta incomprensibile l'intervento dell'Autorità di Pubblica Sicurezza
che contraddice la già espressa volontà del Governo e del Parlamento di
regolarizzazione della posizione delle stesse lavoratrici, prevista entro
un mese circa. L'espulsione renderà infatti inammissibile la loro istanza
di sanatoria, mentre la denuncia dei datori di lavoro porta alla pesante
punizione degli stessi che la legge sulla sanatoria vuole invece fare
emergere e regolarizzare tra qualche settimana.  Ricordiamo che la legge in
corso di approvazione intende sanare anche le posizioni dei datori di
lavoro, ma solo se le lavoratrici che intendono regolarizzare non siano
state espulse o abbiano ottenuto l'annullamento o la revoca del
provvedimento di espulsione.

Perciò è necessario proporre ricorso, affinché i giudici valutino la
ragionevolezza, legittimità e opportunità di questi provvedimenti, entro il
termine previsto dalla legge di soli cinque giorni. L'automaticità
dell'applicazione dell'espulsione si pone infatti in contrasto con principi
di civiltà giuridica già espressi dalle più alte corti, che hanno inteso
privilegiare istanze di solidarietà sociale in aderenza all'art. 2 della
Costituzione rispetto alle quali possono cedere, nel bilanciamento dei
valori in gioco, quelle contrapposte del presidio delle frontiere e
dell'ordinata regolamentazione del flusso migratorio (Corte Costituzionale,
sent. 13-21.11.1997 n. 353; Consiglio di Stato IV sez., 30.3/20.5.1999;
Corte di Cassazione I sez. Civ., sent. 6374/99, v. anche Tribunale di
Trento, decreto 04.10.2001 n. 1581/01/C). Nell'ambito di tali protette
istanze di solidarietà sociale va certamente ricompresa la positiva
valutazione di coloro che, sebbene entrati clandestinamente nel territorio
nazionale o qui rimaste dopo la scadenza del permesso di soggiorno
temporaneo o del visto, abbiano trovato idonea e positiva collocazione nel
mercato del lavoro e nel tessuto della comunità locale. Per di più se si
consideri che a) si tratta nella maggior parte di casi di famiglie gravate
da necessità di cura ad anziani o malati che non trovano adeguata risposta
da parte dei servizi pubblici e b) la legge prevede procedure di assunzione
tali da non permettere il preventivo incontro tra domanda e offerta di
lavoro, fondamentale soprattutto nei contesti di lavoro domiciliare. Non
potendo ottenere in via ordinaria un permesso di soggiorno lo/a straniero/a
che, arrivata in Italia con visto turistico, trovi un impiego, questa
possibilità è prevista solo tramite leggi eccezionali di sanatoria.