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Sull'aggressione fascista al giornalista della Stampa
Una risposta che tarda
di Marcello Sorgi
L'aggressione a Guido Ruotolo, un cronista che fin dai primi mesi di
collaborazione alla «Stampa» ha saputo dimostrare grande serietà e
impegno professionale, in linea con la migliore tradizione di questo
giornale, crea certamente preoccupazione e aggiunge tensione al clima
già strano di questa fine anno.
C’è un problema di sicurezza e di libero esercizio della professione
giornalistica, in un Paese che ha fatto della libertà di stampa uno dei
segni riconoscibili del proprio livello di civiltà, e ha scritto a
chiare lettere nella sua Costituzione che tutti, ma proprio tutti, hanno
diritto di manifestare il loro pensiero. Ci confortano, su questo
terreno (anche se non ci rassicurano del tutto), sia la grande ondata di
solidarietà giunta ieri in redazione, sia le assicurazioni ricevute, al
più alto livello, dal governo, dalle istituzioni e dalle forze
dell’ordine.
Poi c’è un problema politico. Anche se i pugni a Ruotolo, e prima ancora
la bomba al «manifesto», si stagliano su uno scenario di confusa ripresa
terroristica, è difficile credere al ritorno di una stagione ormai
chiusa, al rilancio, per dirla alla vecchia maniera, di una strategia di
tensione. Per uno straccio di strategia, ci vogliono personaggi diversi
da un bombarolo come Insabato o da un aggressore tipo quello di ieri.
La violenza di estrema destra, in realtà, punta sui giornali per
amplificare una domanda rivolta alla destra di governo. Vuol sapere se
adesso che la vittoria politica e il ritorno al governo sembrano più a
portata di mano, la porta della «Casa delle libertà» è aperta a tutti
oppure no. Se i «reietti» di Forza Nuova possono sentirsi alleati, sia
pur scomodi, del centrodestra, o devono considerarsi isolati. Berlusconi
è il primo che può e deve dare questa risposta. Prima lo fa, meglio è.
IL GIORNALISTA AGGREDITO: TANTE TELEFONATE MA QUALCHE COLLEGA MI HA
DELUSO
«Preso a cazzotti perché ho parlato»
«Poi mi hanno messo alla porta: sei un provocatore»
ROMA
CHE è successo? «Nulla di particolarmente sconvolgente». Come? Mi prendi
in giro? «Va bene - rispondo a una delle tantissime e ininterrotte
telefonate di solidarietà -, a una mia domanda "provocatoria", immagino
sgradita, mi è stato risposto con con tre cazzotti ben piazzati alla
mandibola». Ma forse l’aggressore ha sbagliato giornalista? «Mi ricorda
tanto la barzelletta: "Ma che mi chiamo Pasquale......". No, quello ha
risposto con un cazzotto alla domanda di un giornalista. Ce l’aveva con
i giornalisti? Con qualche giornalista? E qual è il problema? Si può mai
teorizzare (e praticare) la violenza per rispondere a una ingiustizia?
Ho saputo che lui si è giustificato definendo la mia domanda
provocatoria? Sono contento, anche se dolorante, se questa è la ragione
dei cazzotti: vuol dire che so fare bene il mio mestiere di
giornalista».
Mercoledì mattina, ore 12, piazza Montecitorio, Hotel Nazionale,
conferenza stampa di Forza Nuova sull’attentato a "il manifesto". Noi
siamo già usciti ieri con l’intervista di Grignetti a uno dei leader di
questo movimento. Il giornale decide comunque di seguire la conferenza
stampa e io ci vado volentieri. Piazza Montecitorio è deserta. C’è il
senatore radicale Pietro Milio intervistato non so da quale televisione.
La sala della conferenza stampa: tre, quattro giornalisti e nessun
relatore. Dicono che Fiore, il leader di Forza Nuova, deve arrivare da
Milano. C’è uno del movimento che intrattiene la sala. L’attenzione è
per quel suo bel berretto di lana, color rosso sangue. Dice che loro si
vogliono presentare alle elezioni e che tirarli dentro all’attentato al
"manifesto " è una provocazione.
Passa il tempo e la conferenza stampa non inizia, vado fuori, in piazza.
Un grappolo di telecamere e giornalisti intervistano qualcuno. C’è anche
un carabiniere che ascolta. Mi avvicino. Capto quello che dice
l’intervistato: «...Perché noi se frequentiamo gli ex Nar siamo
terroristi... quelli del "manifesto "... le Br...». Lo interrompo:
«Guardi che se per questo al "manifesto" lavorano due ex terroristi
delle Br in semilibertà...». Arriva il primo, poi il secondo, forse il
terzo. Ho quasi imbarazzo a parlare di cazzotti (confesso: è la prima
volta in vita mia che ne ricevo). Non capisco più nulla. Mi ritrovo una
mandibola dolorante e tanta rabbia dentro. Lui, l’aggressore, è
rientrato nella hall dell’albergo. Chiedo al carabiniere e poi ai
funzionari di polizia di identificarlo immediamente.
Vengo a sapere così che il mio aggressore è tal «Bianco Francesco»,
responsabile organizzativo di Forza Nuova. Di lui ho scritto nei giorni
scorsi, quando ho ricordato che Andrea Insabato, il terrorista della
bomba al "manifesto", lo andò a trovare il giorno dell’attentato alla
sua edicola, a Testaccio. Ma non sapevo che fosse lui, quello che stava
rispondendo alla mia domanda con tre cazzotti. I leader di Forza Nuova,
nel frattempo, sono arrivati e si avviano verso la sala della conferenza
stampa. Penso: ci vado anch’io, per sentire che dicono. Confesso: ci
voglio andare anche perché ho lasciato il mio giaccone nella sala, in
prima fila. Un energumeno, uno del servizio d’ordine, mi blocca: "Tu no,
che sei un provocatore". Ci sono altri colleghi (sicuramente colleghi di
Telemontecarlo, Italia Uno, Canale 5). Se non entro io - immagino -
anche gli altri colleghi non entreranno, è una regola elementare della
solidarietà di casta, di corporazione. Sbaglio, e confesso che è una
ferita che mi lascia amareggiato. Qualcuno che era presente, che ha
assistito alla aggressione, che ha visto sbarrarmi l’ingresso alla
conferenza stampa, poi mi ha chiamato, in pomeriggio: «Io non volevo
entrare... poi sono entrato per convincere gli altri a uscire..». E poi
sono rimasti tutti dentro.
Vado al pronto soccorso: contusione della mandibola. Vado al Primo
Distretto di Polizia, - non è un film o uno sceneggiato - in piazza del
Collegio Romano. Sporgo querela: penso che un dovere civico sia quello
di chiedere sempre e comunque giustizia a chi amministra giustizia.
La Stampa (28 dicembre 2000)