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Ostellino: Le buone ragioni dei ragazzi di Nizza



Corriere della Sera 09 dicembre 2000-12-10

Piero Ostellino

Le buone ragioni dei ragazzi di Nizza


Molti anni fa, avevo scritto su questo giornale che i palestinesi non erano dei
pazzi che, non sapendo cosa fare, andavano in giro per il mondo a far sal-tare
aerei come passatempo. Avevano le loro buone ragioni, anche se il modo con il
quale le sostenevano era crimi-nale. Israele, aveva diritto alla propria
esistenza, ma anche la “questione palestinese” meritava attenzione e rispetto.
Gli italiani, allora, erano schierati da una parte o dall’altra, sen-za
riserve. Così, qualcuno, al giornale, si era chiesto se fosse opportuno che sul
Corriere comparissero certe opi-nioni. Per qualche mio collega, più vecchio e
più autorevole di me, io ero (troppo) “di sinistra”. Ma il direttore (Piero
Ottone) mi aveva difeso, così come mi avrebbe difeso quando, da Mosca, qualche
tempo dopo, avrei raccontato le malefatte del comuni-smo sovietico e per
qualcun altro ero (troppo) “di destra”. Quel lontano episodio mi è tornato alla
mente, constatando con ramma-rico che pressoché tutti i giornali “bor-ghesi”,
compreso il mio e con la sola eccezione del Sole 240re, il giornale della
Confindustria (!), hanno parlato troppo poco delle ragioni della mag-gioranza
di quelli che hanno civilmen-te dimostrato a Nizza contro la globa-lizzazione.
Limitandosi, invece, come per i palestinesi di allora, a raccontare e
condannare (giustamente) le violen-ze della minoranza di oltranzisti. Scriveva
già Karl Marx nel Manife-sto dei comunisti del 1848, lamentan-done le
conseguenze negative per il proletariato: «Con lo sfruttamento del mercato
mondiale, la borghesia ha dato un’impronta cosmopolita alla produzione e al
consumo di tutti i Pae-si... Ai vecchi bisogni, soddisfatti con i prodotti del
Paese, subentrano nuovi, che per essere soddisfatti esigono i prodotti dei
Paesi e dei climi più lonta-ni. All’antica autosufficienza e all’anti-co
isolamento locali e nazionali subentrano uno scambio universale,
un’interdipendenza universale fra le nazioni». Sono un fautore
dell’internaziona-lizzazione economica, contro ogni forma di chiusura
nazionalistica e protezionistica. Ma riesco anche a vederne i più recenti
effetti negativi, a fronte delle grandi potenzialità positi-ve. Un forte
squilibrio fra economia finanziaria e economia reale, con la conseguente
moltiplicazione dei fenomeni di speculazione finanziaria; la riduzione degli
investimenti, a dan-no dello sviluppo; l’aumento della disoccupazione; la
crescita delle dise-guaglianze sociali a livello nazionale (fra ricchi sempre
più ricchi, ceti medi progressivamente impoveriti, e pove-ri sempre più poveri)
e a livello inter-nazionale (fra Paesi di capitalismo avanzato e Paesi in via
di sviluppo o sottosviluppati); la nascita di grandi concentrazioni
monopolistiche e di aggregazioni oligopolistiche mondia-li; la mortificazione
della concorrenza, a danno del consumatore. C’è bisogno di nuove istituzioni e
di nuove regole, perché il “turbo-capita-lismo” corre più velocemente delle
prime e non rispetta più le seconde. Esso, come ogni fenomeno “naturale”, non
conosce altre leggi che quelle del-la sua stessa natura (la schumpeteria-na
“distruzione creativa”), alla quale -sostengono alcuni liberali - sarebbe non
solo inutile, ma persino dannoso opporsi. Insomma: non ci si oppone al
turbo-capitalismo come non ci si oppone ai terremoti. Verò. Però, resta pur
sempre il fatto che l’uomo non ha rinunciato a innal-zare grattacieli o si è
rassegnato a vederli crollare alla prima scossa. Ha costruito, invece, nelle
zone sismiche, grattacieli “flessibili”, che oscillano senza spezzarsi. Perché
l’uomo non potrebbe e non dovrebbe fare altret-tanto di fronte ai terremoti
finanziari, valutari, economici, fino a ieri non previsti? E’ stato, poi, così
catastrofico per il capitalismo, come sostenevano certi liberali nel secolo
scorso, discipli-nare il mercato della manodopera, riducendo l’orario di
lavoro, evitando il lavoro minorile, parificando quello femminile a quello
maschile? Se i movimenti di sinistra, compresi quel-li marxisti, hanno avuto,
pur con tutti i loro errori, una incontrovertibile fun-zione politicamente e
socialmente positiva, perché negare che la possano avere anche i dimostranti di
Nizza, malgrado le riprovevoli violenze di pochi?

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