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L'IMMIGRAZIONE E IL CARDINAL BIFFI



Bologna, 14 settembre 2000
Invio per conoscenza (e per eventuali commenti e riflessioni) questo
capitolo III della Nota Pastorale del nostro cardinale Giacomao Biffi.
Vorrei poter non fare commenti, anche perché questa volta il nostro
ineffabile episcopo è riuscito "a far notizia" (ed a suscitare
considerazioni più o meno incredule e stupite) non solo sulle TV
regionali, ma anche nei TG nazionali di ieri 13 settembre 2000.
Chi ha visto e ascoltato quei servizi televisivi su Biffi ha potuto
constatare di persona come il nostro sempre ironico "sorvegliante" sia
stato
esplicito e duro  nell'affermare che lo Stato dovrebbe privilegiare
l'immigrazione dei "cattolici".  In questo testo che riporto qui
allegato, le parole episcopali sono invece molto più "sfumate", ma il
significato (ancorché espresso in forma - direi -più subdola e
melliflua) mi sembra
esattamente il medesimo.
Esasperata idolatria della cosiddetta "identità cristiana"?? Razzismo??
Non so. So soltanto che mi è venuto spontaneo un sorriso pensando al
buon samaritano che, accostandosi al povero cristo sdraiato per terra e
in cerca di aiuto, si china fino al suo oreccchio e gli chiede
sommessamente: "Ma tu, sei cattolico?..."  E solo dopo averne avuto
risposta affermativa lo aiuta nel generosissimo modo che tutti
conosciamo.
Forse più che un sorriso sarebbe doverosa una lacrima.... e una
preghiera al buon Dio, perché accolga il nostro "shalom" eppoi ci
perdoni tutti, abbia misericordia di tutti, ma proprio di tutti.   A
cominciare naturalmente dal sottoscritto.
Domenico Manaresi

Mittente: Domenico Manaresi - via P.Gubellini, 6 - 40141 Bologna -
Tel&Fax: 051-6233923 - e-mail: bon4084@iperbole.bologna.it
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Da "La città di San Petronio nel terzo millennio" (Pagine 21-26)
Nota Pastorale del card. Giacomo Biffi - Bologna, 12 Settembre 2000

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III
Le sfide del nostro tempo

36. Le "difficili sfide del nostro tempo" sono già in atto, e la città
di san Petronio deve commisurarsi con loro senza panico e senza
superficialità: i generici allarmismi non servono; ma tanto meno servono
le banalizzazioni ansiolitiche e le giulive minimizzazioni.
Riuscirà Bologna anche nel Terzo Millennio - e a che prezzo e con quali
efficaci accorgimenti - a conservare la propria identità, a svilupparsi
secondo la sua vocazione umana e cristiana, a irradiare ancora nel mondo
la sua civiltà?
"Il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà ancora la fede sotto le Due
Torri?" (cf. Lc 18,8): l'inquietante interrogativo, che Gesù ha lasciato
senza risposta, ci aiuterà - così attualizzato - a proseguire nella
riflessione con la necessaria serietà.
Le "sfide" che già ci sovrastano sono principalmente due: il crescente
afflusso di genti che vengono a noi da paesi lontani e diversi; il
diffondersi di una cultura non cristiana tra le popolazioni cristiane.
Ne trattiamo distintamente nella forma più chiara e succinta possibile.

1. La questione dell'immigrazione

Una sorpresa

37. Dobbiamo riconoscere che il fenomeno di una massiccia immigrazione
ci ha colti un po' tutti di sorpresa.
E' stato colto di sorpresa lo Stato, che dà tuttora l'impressione di
smarrimento e pare non abbia ancora recuperata la capacità di gestire
razionalmente la situazione, riconducendola entro le regole
irrinunciabili e gli ambiti propri di un'ordinata convivenza civile.
E sono state colte di sorpresa anche le comunità cristiane, ammirevoli
in molti casi nel prodigarsi ad alleviare disagi e pene, ma sprovviste
finora di una visione non astratta, non settoriale, abbastanza concorde.

Le generiche esaltazioni della solidarietà e del primato della carità
evangelica - che in sé e in linea di principio sono legittime e anzi
doverose - si dimostrano piuttosto bene intenzionate che utili quando
non si confrontano davvero con la complessità del problema e la
ruvidezza della realtà effettuale.

L'annuncio del Vangelo

38. Deve essere ben chiaro che non è di per sé compito della Chiesa come

tale risolvere ogni problema sociale che la storia di volta in volta ci
presenta. Le nostre comunità e i nostri fedeli non devono perciò nutrire
complessi di colpa a causa delle emergenze imperiose che essi con loro
forze non riescono ad affrontare. Sarebbe un implicito, ma comunque
grave e intollerabile "integralismo" il credere che le aggregazioni
ecclesiali possano essere responsabilizzate di tutto. Compito nostro
inderogabile è invece l'annuncio del Vangelo e l'osservanza del comando
dell'amore.
39. Prima di tutto l'annuncio del Vangelo. Dovere statutario della
Chiesa Cattolica, e in essa di ogni battezzato, è di far conoscere a
tutti esplicitamente Gesù di Nazaret, il Figlio di Dio morto per noi e
risorto, oggi vivo e Signore dell'universo, unico Salvatore dell'umanità
intera.
Tale missione può essere efficacemente coadiuvata, ma non può essere in
alcun modo surrogata da qualsivoglia attività assistenziale. Essa
suppone la nostra attitudine al dialogo sincero, aperto, rispettoso con
tutti, ma non può mai risolversi nel solo dialogo. Può essere favorita
dalla nostra conoscenza oggettiva delle posizioni altrui, ma si avvera
soltanto quando noi riusciamo a portare all'esplicita conoscenza di
Cristo quei nostri fratelli, che sventuratamente ancora non ne sono
beneficiati.
Non bisogna poi dimenticare che l'azione evangelizzatrice è di sua
natura universale e non tollera deliberate esclusioni di destinatari:
"Predicate il Vangelo a ogni creatura" (cf. Me 16,15), ci ha detto il
Risorto. E non è mai giustificata una rassegnata rinuncia a questo
proposito, nemmeno quando, umanamente parlando, sembri poco prevedibile
il conseguimento di qualche risultato positivo: chi crede nella forza
sovrumana dello Spirito Santo, non desiste mai dall'annunciare la strada
della salvezza.
40. E' molto importante infine che tutti i cattolici si rendano conto di
questa loro indeclinabile responsabilità, che essi hanno nei confronti
di tutti i nuovi arrivati (musulmani compresi).
Per essere però buoni evangelizzatori essi devono crescere sempre più
nella gioiosa intelligenza degli immensi tesori di verità, di sapienza,
di consolante speranza che hanno la fortuna di possedere: è un'effusione
di luce divina, assolutamente inconfrontabile con i pur preziosi barlumi
offerti dalle varie religioni e dall'Islam; e noi siamo chiamati a
renderne partecipi appassionatamente e instancabilmente tutti i figli di
Adamo.
41. Senza dubbio dovere nostro è anche l'esercizio della carità
fraterna. Di fronte a un uomo in difficoltà - quale che sia la sua
razza, la sua cultura, la sua religione, la legalità della sua presenza
- i discepoli di Gesù hanno l'obbligo di amarlo operosamente e di
aiutarlo a misura delle loro concrete possibilità. Di questa
responsabilità noi siamo tenuti a rendere conto al Signore; ma solo a
lui, e a nessun altro.

Approccio realistico

42. Nel variegato panorama dell'immigrazione, le comunità cristiane non
possono non valutare attentamente i singoli e i diversi gruppi, in modo
da assumere poi realisticamente gli atteggiamenti più pertinenti e
opportuni.
Agli immigrati cattolici - quale che sia la loro lingua e il colore
della loro pelle - bisogna far sentire nella maniera più efficace che
all'interno della Chiesa non ci sono "stranieri": essi a pieno titolo
entrano a far parte della nostra famiglia di credenti e vanno accolti
con schietto spirito di fraternità. Quando sono presenti in numero
rilevante e in aggregazioni omogenee consistenti, andranno sinceramente
incoraggiati a conservare la loro tipica tradizione cattolica, che sarà
oggetto di affettuosa attenzione da parte di tutti.
Ai cristiani delle antiche Chiese orientali, che non sono ancora nella
piena comunione con la sede di Pietro, esprimeremo simpatia e rispetto.
E, in conformità agli accordi generali e secondo l'opportunità, potremo
favorirli anche dell'uso di qualche nostra chiesa per le celebrazioni.
Gli appartenenti alle religioni non cristiane vanno amati e, quanto è
possibile, aiutati nelle loro necessità. Non va però in nessun modo
disatteso quanto è detto nella Nota CEI del 1993: "Le comunità
cristiane, per evitare inutili fraintendimenti e confusioni pericolose,
non devono mettere a disposizione, per incontri religiosi di fedi non
cristiane, chiese, cappelle e locali riservati al culto cattolico, come
pure ambienti destinati alle attività parrocchiali" (Ero forestiero e mi
avete visitato 34).

Considerazione generale

43. Possiamo aggiungere un'annotazione, che riguarda da vicino
soprattutto il comportamento auspicabile dello Stato e di tutte le varie

autorità civili.
I criteri per ammettere gli immigrati non possono essere solamente
economici e previdenziali (che pure hanno il loro peso).Occorre che ci
si preoccupi seriamente di salvare l'identità propria della nazione.
L'Italia non è una landa deserta o semidisabitata, senza storia, senza
tradizioni vive e vitali, senza un'inconfondibile fisionomia culturale e
spirituale, da popolare indiscriminatamente, come se non ci fosse un
patrimonio tipico di umanesimo e di civiltà che non deve andare perduto.

In vista di una pacifica e fruttuosa convivenza, se non di una possibile
e auspicabile integrazione, le condizioni di partenza dei nuovi arrivati
non sono ugualmente propizie. E le autorità civili non dovrebbero
trascurare questo dato della questione.
In ogni caso, occorre che chi intende risiedere stabilmente da noi sia
facilitato e concretamente sollecitato a conoscere al meglio le
tradizioni e l'identità della peculiare umanità della quale egli chiede
di far parte.
44. Sotto questo profilo, il caso dei musulmani va trattato con una
particolare attenzione. Essi hanno una forma di alimentazione diversa (e
fin qui poco male), un diverso giorno festivo, un diritto di famiglia
incompatibile col nostro, una concezione della donna lontanissima dalla
nostra (fino ad ammettere e praticare la poligamia). Soprattutto hanno
una visione rigorosamente integralista della vita pubblica, sicché la
perfetta immedesimazione tra religione e politica fa parte della loro
fede indubitabile e irrinunciabile, anche se di solito a proclamarla e
farla valere aspettano prudentemente di essere diventati preponderanti.
Mentre spetta a noi evangelizzare, qui è lo Stato - ogni moderno Stato
occidentale - a dover far bene i suoi conti.

Cattolicesimo "religione nazionale storica"

45. Da ultimo, sarà bene che nessuno ignori o dimentichi che il
cattolicesimo - che non è più la "religione ufficiale dello Stato" -
rimane nondimeno la "religione storica" della nazione italiana, oltre
che la fonte precipua della sua identità e l'ispirazione determinante
delle nostre più autentiche grandezze.
Perciò è del tutto incongruo assimilarlo alle altre forme religiose o
culturali, alle quali dovrà sì essere assicurata piena libertà di
esistere e di operare, senza però che questo comporti o provochi un
livellamento innaturale o addirittura un annichilimento dei più alti
valori della nostra civiltà.
Va anche detto che è una singolare concezione della democrazia il far
coincidere il rispetto delle minoranze con il non rispetto delle
maggioranze, così che si arriva di fatto all'eliminazione di ciò che è
acquisito e tradizionale in una comunitàumana. Si attua un'"intolleranza
sostanziale", per esempio, quando nelle scuole si aboliscono i segni e
gli usi cattolici, cari alla stragrande maggioranza, per la presenza di
alcuni alunni di altre religioni.

2. Il diffondersi di una cultura non cristiana

46. Più dell'immigrazione, ci interpella e ci sollecita a una risposta
il diffondersi tra le popolazioni di antica fede cristiana, come la
nostra, di una "cultura non cristiana". Il fenomeno - è evidente - non
riguarda solo Bologna: ha dimensioni continentali e addirittura
planetarie.

La cultura estranea al cristianesimo

47. C'è prima di tutto una cultura che, pur non essendo nativamente e
programmaticamente ostile alla visione cristiana, prescinde da essa ed è
ad essa estranea.
C'è, per esempio l'affermarsi di una razionalità
scientifico-tecnologica, intesa a elaborare un pensiero funzionale e
operativo, che implicitamente censura ogni approccio alla verità in se
stessa.
C'è in campo economico-sociale l'emergenza di una "globalizzazione" la
quale non può non preoccupare per le sue possibili conseguenze sul mondo
del lavoro che di fronte agli anonimi potentati finanziari rischia di
incorrere in un invincibile stato di alienazione.
C'è lo sviluppo sempre più sofisticato dei mezzi di comunicazione: esso
porta con sé il predominio di una cultura visiva e intuitiva che è
prigioniera della percezione e dell'attualità, a scapito della
riflessione personale, della memoria storica e della capacità di
progettare il futuro.
C'è la ricerca di una "libertà senza verità", che finisce col
mortificare la dimensione etica della vita. In conseguenza di questa
libertà incondizionata e vuota di valori, l'uomo è insidiato nella sua
stessa dignità e perfino nella sua sopravvivenza: le fantasie genetiche,
il crollo della natalità, il disprezzo della vita umana (soprattutto con
la vergognosa legalizzazione dell'aborto), la glorificazione delle
devianze sessuali, la corrosione dell'istituto della famiglia e il
permissivismo dilagante ne sono i segni più manifesti.
48. Si comprende agevolmente che in questa multiforme tendenza
culturale, che per larga parte appare incontrastabile, molti aspetti non
sono accettabili; però non tutto è perverso e non tutto è irredimibile.
Occorre dunque un'abitudine alla valutazione e al discernimento, che ci
dica di volta in volta che cosa si possa accogliere, che cosa si debba
apertamente contrastare e che cosa sia plausibile orientare
cristianamente; valutazione e discernimento che dovranno obbedire non a
criteri "politici" (come la determinazione a cercare accordi e
consonanze a ogni costo), ma all'assoluta fedeltà nei confronti
dell'immutabile verità rivelata e della nostra identità di credenti.

L'attacco esplicito al fatto cristiano

49. Oggi è in atto una delle più gravi e ampie aggressioni al
cristianesimo (e quindi alla realtà di Cristo) che la storia ricordi.
Tutta l'eredità del Vangelo viene progressivamente ripudiata dalle
legislazioni, irrisa dai "signori dell'opinione", scalzata dalle
coscienze specialmente giovanili.
Di tale ostilità, a volte violenta a volte subdola, non abbiamo ragione
di stupirci né di aver troppa paura, dal momento che il Signore e i suoi
apostoli ce l'hanno ripetutamente preannunziata: "Non meravigliatevi se
il mondo vi odia" (lGv 1,26).
Ci si può meravigliare invece degli uomini di Chiesa che non sanno o non
vogliono prenderne atto: in realtà, la sola cosa, di cui può temere chi
è ben deciso a operare nella fede, è l'insipienza dei "figli della luce"
i quali talvolta non si accontentano di "rallegrarsi con chi è allegro e
di piangere con chi piange" (cf. Rm 12,15), ma finiscono anche a
smarrirsi con chi si smarrisce.

In conclusione

50. In un'intervista di una decina d'anni fa mi è stato chiesto con
invidiabile candore: "Ritiene anche Lei che l'Europa sarà cristiana o
non sarà?". La risposta di allora può aiutarmi a chiarire il mio
pensiero di oggi.
"Io penso - dicevo - che l'Europa o ridiventerà cristiana o diventerà
musulmana. Ciò che mi pare senza avvenire è la "cultura del niente",
della libertà senza limiti e senza contenuti, dello scetticismo vantato
come conquista intellettuale, che sembra essere l'atteggiamento
dominante nei popoli europei, più 0 meno tutti ricchi di mezzi e poveri
di verità.
Questa "cultura del niente" (sorretta dall'edonismo e dalla
insaziabilità libertaria) non sarà in grado di reggere all'assalto
ideologico dell'Islam che non mancherà: solo la riscoperta
dell"'avvenimento cristiano" come unica salvezza per l'uomo e quindi
solo una decisa risurrezione dell'antica anima dell'Europa -potrà
offrire un esito diverso a questo inevitabile confronto".

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