[Date Prev][Date Next][Thread Prev][Thread Next][Date Index][Thread Index]
Carceri private: Fassino scopre lAmerica
<bold><color><param>0100,0100,0100</param><FontFamily><param>Times New Roman</param><smaller>Da Liberazione di oggi 18/7
------------------------------------------------
Carceri. La clemenza scompare dal dibattito e si fa avanti un’idea made in Usa<bigger>
<bigger>Fassino scopre l’America
<smaller>
La Lega chiede di privatizzarle. Ministro possibilista</bold>
<flushboth>P<smaller>rivatizzare tutto, privatizzare subito. Le carceri non possono tirarsi fuori dal vento neoliberista
che soffia nella società, altro che clemenza. Lo dice la Lega Nord trovando un Fassino
“possibilista” - con “ma e se” - ma per nulla infastidito dalla proposta. «Che cosa c’è di strano
in tutto ciò?» dice il leghista Pagliarini. Ieri, il capo dei senatori padani era a Milano per
partecipare ad un convegno sulla finanza locale e, parlando degli alti costi di gestione dei
penitenziari, ha proposto: «Si può dare ai privati anche la gestione delle carceri, così come le
ferrovie: basta approvare dei principi e dei regolamenti sui quali far muovere gli enti locali e i
privati che avrebbero gli appalti. Questi dovrebbero essere controllati e, in caso di
inadempienza, la Regione potrebbe rivolgersi altrove». Fin qui non c’è davvero nulla di strano,
nel senso che i leghisti ci hanno abituato a tutto, purché sia bizzarro, razzista e discriminatorio:
impronte dei piedi, bracciali elettronici, concorsi riservati a chi parla dialetti padani, evasione
fiscale, ronde di giustizieri e, ora, anche le carceri in mano ai privati. Piero Fassino, guardasigilli
e “inventore” del pacchetto su carceri e giustizia - nuove prigioni e più agenti in arrivo - che sta
per essere varato da Palazzo Chigi, accetta di buon grado l’idea: «È possibile che una serie di
servizi che oggi vengono gestiti nelle carceri siano improntati a criteri di maggiore
professionalità e managerialità», dice il ministro della Giustizia. Mense, lavanderie e servizi
erogati a chi vive in carcere, per Fassino potrebbero già essere privatizzabili, al contrario
dell’esecuzione della pena, la quale è affidata allo Stato dalla Costituzione. A questo punto,
però, non si capisce bene quale servizio diventerebbe la merce in oggetto visto che le mense, gli
spacci e le lavanderie già da un pezzo, sono appaltate ai privati. Forse è solo per saggiare il
terreno (“per vedere l’effetto che fa” come cantava Jannacci), forse è solo il riflesso
condizionato, vivissimo nel governo, di annuire sempre e comunque a proposito della parola
magica: “privatizzazione”. Non commenta Luigi Pagano, direttore di S. Vittore, carcere milanese:
«Cercate di capire, non posso parlare, c’è il mio capo - ha detto - e poi, dove li troverebbero gli
imprenditori?». «Tutto si può fare - aggiunge Caselli, direttore del Dap, il dipartimento
dell’amministrazione penitenziaria - ma non considerare il carcere come un ipotetico business
anziché come un male a volte necessario». Inevitabilmente, il pensiero corre oltreoceano per
capire la ghiotta opportunità che le aziende potrebbero cogliere nel caso di un regime carcerario
privatizzato. Dagli Usa, giungono spesso al Dap, i depliant di penitenziari privati. Le prigioni
rappresentano un bacino per drenare finanziamenti pubblici, come tutto il terzo settore, ma sono
anche un bel serbatoio di forza-lavoro a basso prezzo che potrebbe fare la differenza. Chiedetelo
ai detenuti statunitensi che assemblano telefonini cellulari a tariffe che stracciano la
concorrenza taiwanese: da dieci anni, in California, un referendum ha introdotto la possibilità di
utilizzare il lavoro dei detenuti a scopo di profitto. Così, operai senza più la tuta blu, ma col
“pigiama a strisce” devono lavorare per forza (per pagarsi il “soggiorno”) ma sono retribuiti con
un quinto del salario minimo. Si deve a Ronald Reagan, negli anni 80, la spinta decisiva per
privatizzare le prigioni dello zio Sam. L’introduzione della legge sulla “pena minima obbligatoria”
ebbe l’effetto di triplicare la popolazione carceraria di fronte ad una pur modesta diminuzione
dei crimini. Nelle comunità rurali degli Usa, inoltre, l’edificazione di un nuovo carcere
rappresenta una chance in più per la collettività. Così le due aziende che gestiscono da sole più
della metà delle operazioni hanno dato vita ad una vera e propria “lobby delle prigioni” che
pilotano il dibattito nella società su stanziamenti pubblici per la detenzione, misure per la libertà
provvisoria e altre procedure giudiziarie che potrebbero condizionare i loro affari. “Rieducare”,
per loro, è davvero una parola grossa, significherebbe eliminare “clienti” per il futuro. </flushboth>
<flushright><bold>Checchino Antonini</bold></flushright>
==============================================
<bold>Parla Giuseppe Di Lello<bigger>
<flushboth><bigger>«A caccia di grandi affari in barba a diritti e garanzie»<smaller>
</bold>
«Anche sulle carceri sono tutti alla rincorsa del “grande affare americano”! Ma
come, già non ci sono garanzie in una struttura pubblica, figuriamoci in un’azienda
privata». Giuseppe Di Lello, magistrato, eurodeputato e responsabile nazionale
giustizia per Rifondazione comunista non crede che la privatizzazione possa servire a
dare una risposta al disagio che si vive nelle carceri italiane dove gli istituti sono
sovraffollati e c’è una cronica carenza di personale per la rieducazione e il
reinserimento. un dato che fa il paio con un sistema giudiziario intasato dalle cause. Il
Prc propone l’amnistia condizionata e l’indulto revocabile: «L’esempio americano -
spiega Di Lello - mostra come nelle strutture in mano ai privati ci sia solo un
aumento esponenziale della violenza e della repressione. Va a finire che accadrà
come per gli orfanotrofi che, per evitare di svuotarsi e perdere finanziamenti, tentano
di far adottare il numero più basso possibile di bambini».</flushboth>
--------------------------------------- end<FontFamily><param>Arial</param>