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Una sconfitta annunciata (lettera ai compagni)



Abbiamo letto la lettera di Nando Sigona a proposito del convegno
sui rom e i sinti, tenutosi a Napoli il 23 e il 24 giugno.

Siamo venuti cosi' a sapere che in quella sede l'avvocato Luigi Lusi
ha raccolto una buona dose di applausi, anzi, ha addirittura
''suscitato scene di entusiasmo'' nella platea.
Una platea che immaginiamo composta da ricercatori
universitari, ''esperti del settore'', ma anche da operatori,
amministratori, cittadini sensibili alle esigenze dei rom e dei sinti.

Ebbene, l'episodio e' a dir poco raccapricciante.
Ma non ci stupisce affatto.

Questa incresciosa vicenda ci suggerisce piuttosto
alcune considerazioni, che rivolgiamo a tutti, e in particolare
ai compagni di Roma, con i quali ci siamo incontrati-scontrati
piu' volte, negli ultimi tempi, nel tentativo di elaborare
una strategia di intervento su quello che consideriamo
un nodo cruciale per chiunque si batta in difesa dei diritti:
la condizione dei rom e dei sinti - unita' di misura
del livello di civilta' e di maturazione politica, culturale,
o anche - semplicemente - umana della societa' in cui viviamo.

1) Le ''distrazioni'' del movimento. Ovvero:
come l'avvocato Lusi espugno' Napoli.
Partiamo dunque dal fatto denunciato da Nando.
La successione degli eventi e' di per se' eloquente:
giovedi' 22 giugno viene organizzato a Roma un sit-in in Campidoglio.
Obbiettivo: le dimissioni dell'avvocato Lusi,
''gauleiter'' investito di pieni poteri dal sindaco Rutelli,
artefice di sgomberi violenti e illegali e di deportazioni di massa
in zone di guerra, atti che giustifica immancabilmente
con argomentazioni razziste e insopportabili.

Ne' durante il sit-in, ne' altrove si fa cenno al fatto
che il giorno successivo l'avvocato sara' uno dei relatori
del convegno di Napoli - al quale molti degli organizzatori
della manifestazione si accingono a partecipare.
E cosi' il nostro eroe puo' calare a Napoli con la consueta tracotanza

(accompagnato da due segretarie e dalla guardia del corpo - a cui
il Comune di Roma avra' certamente pagato la trasferta)
e riuscire nell'intento di sfruttare l'occasione per promuovere
e affermare, assolutamente incontrastato, la propria 'linea'
nei confronti dei rom.

Disinformazione, superficialita', distrazione?

O forse tutto era stato tenuto talmente segreto che nessuno
di coloro che prendono parte, in qualche forma, alla rete
di solidarieta' che si sta formando attorno ai campi rom,
poteva aspettarsi la presenza dell'avvocato in quella sede?

Anche se le cose stessero cosi', un ''incidente'' di questa portata
non si puo' liquidare come se si trattasse di un errore veniale.
Siamo certi che il problema e' ben altro e il trionfo di Luigi Lusi
in quel di Napoli e' solo la goccia che fa traboccare il vaso:
l'ennesima dimostrazione dell'inadeguatezza dei parametri culturali
e dell'apparato metodologico con cui si pretenderebbe di affrontare
la guerra a bassa intensita' che e' stata scatenata contro i rom,
nelle nostre citta'.

2) Una ''gestalt'' diffusa a sinistra. Ovvero:
i rom devono essere come noi li vediamo - a nostra
immagine e somiglianza.
Per la verita', noi riteniamo che a Roma si sia fatto
qualche serio tentativo di ragionare con i rom a partire da basi nuove.

Muovendo cioe' dalla consapevolezza che la battaglia
non puo' essere condotta come se si trattasse
di affrontare un problema specifico, settoriale:
nei campi rom sono in gioco le sorti complessive
di una societa' civile spezzata, frammentata, confusa;
tratti universali, che non caratterizzano il panorama di una citta'
o di un paese, ma dell'intero pianeta - un pianeta globalizzato a forza.
Tratti universali, che nelle nostre citta' trovano nei campi rom
il terreno in cui la logica dell'esclusione, della precarizzazione,
dell'imposizione di regole avulse dal contesto e dalla cultura
cui pretenderebbero di applicarsi, viene dispiegata
con maggiore scientificita' e portata alle sue estreme conseguenze.
Anche grazie al fatto che i campi rom non li vede nessuno:
sono luoghi isolati, chiusi; una condizione perpetuata - e qui il discorso
ci riguarda da vicino - anche in nome della presunta non volonta'
dei rom di confrontarsi con l'altro.

Quante volte, da parte di qualche compagno che ha, a differenza di noi,

un'esperienza di anni di lavoro nei campi, ci e' toccato sentir dire
che ''i rom sono razzisti''?
Quante volte un risolino di commiserazione ha accolto
la proposta di stimolare un contatto e un'interazione attiva
non solo fra i rom e i compagni dell'universita', o i cittadini del quartiere,
ma anche nei confronti degli altri immigrati?
Quante volte ci e' stato ripetuto che per parlare con i rom
bisogna essere esperti del settore, altrimenti si finisce per fare dei danni?

Nel senso comune di molti operatori, da anni tenacemente ed efficacemente
impegnati nei campi, sembra essersi sedimentata la convinzione
che con un rom non si possa parlare come con qualsiasi altra persona.
Che per comunicare sia indispensabile detenere codici speciali.

3) Una singolare concezione antropologica. Ovvero:
ogni essere umano e' un animale politico - tranne il rom.
Una conseguenza evidente di questa visione capillarmente diffusa

fra gli specialisti e' la messa in atto di un vero e proprio boicottaggio
(magari inconsapevole, ma non per questo meno efficace) nei confronti
di chi cerca di dare un respiro politico (altro termine tabu',
quando si parla di rom) e una dimensione unitaria
alla lotta contro l'esclusione e l'emarginazione urbana.
Respiro politico e dimensione unitaria che invece, a nostro avviso,
avevano consentito di imprimere un'accelerazione positiva
alla lotta dei rom, portandola a livelli di incisivita' e visibilita'
qualitativamente diversi dal passato.
E cio' grazie all'emergere di un'unica fondamentale esigenza:
quella di aprire, creare ponti, mettere in comunicazione
i campi, le famiglie, le diverse comunita' - serbi e bosniaci,
rumeni e macedoni, korakane' e rudari.
Aprire, creare ponti, stimolare la comunicazione e il confronto
tra i rom e gli altri immigrati, anch'essi invisibilmente
presenti sul territorio urbano.
Di qui, poi, investire la citta', mettendo in crisi le certezze di chi

(sono in molti, a sinistra) non vede nei campi rom null'altro
che una ferita aperta, una trincea che riguarda il ''cittadino''
solo in quanto problema di ordine pubblico.

Certo, quando si affrontano argomenti del genere l'attenzione e' grande,
e tutti si dicono d'accordo, almeno in linea di principio.
Pare quasi di ragionare su ovvieta'.
Purtroppo, l'esperienza degli ultimi mesi mostra che cosi' non e':
i soggetti disponibili a impegnarsi concretamente in questa direzione
sono ancora pochi e i centri sociali, le associazioni,
i diversi spezzoni della ''societa' civile''
si rivelano cronicamente incapaci di raccogliere la sfida.
Piu' facile continuare ad avventarsi sulle poche briciole
che a tratti cadono dalle tasche dell'amministrazione di centro-sinistra,
quasi che un cordone ombelicale impedisse alla ''sinistra di base''
di contrapporsi frontalmente alla ''sinistra di governo''
e di chiamare, per una volta, le cose con il loro nome.

E cosi' si verifica puntualmente che la rete di solidarieta'
che si e' attivata in questi mesi risponde piuttosto bene, per fortuna,
nel pieno dell'emergenza (aver impedito lo sgombero del campo
di Arco di Travertino, a Roma, e' un risultato notevole) ma si sfilaccia
e si aggroviglia irreparabilmente non appena ci si accosta ai luoghi
nei quali viene amministrato, gestito, esibito il potere con la P maiuscola.
Tavoli di trattativa, incontri con il Comune, commissioni:
sono spesso questi gli scogli sui quali si sfarina un fronte che,
per una o due settimane, nei momenti caldi dello scontro,
prima di entrare nel campo d'azione della kryptonite istituzionale,
fornisce l'illusoria impressione di essere coeso e imbattibile.

E l'avvocato Lusi, vecchia volpe senza scrupoli, sa come prendere
in contropiede un movimento che rinuncia a tenere alto il profilo dello scontro
e a portare avanti con coerenza, intransigenza, determinazione e lucidita'
la battaglia per i diritti dei rom, condizione necessaria
per la liberta' e la dignita' di ogni cittadino.

4) Una strategia infallibile. Ovvero:
come perdere tutte le battaglie - scaricando la colpa sui rom.
A Roma i danni causati da questa situazione di immaturita'
e confusione politica e metodologica sono gravi, difficilmente sanabili.
A partire dalla completa assenza dei rom dalla manifestazione
del 18 giugno per i permessi di soggiorno. In quell'occasione
non si e' mosso un dito per costruire un momento di incontro,
di solidarieta' reale fra i rom e i sinti e gli altri immigrati.
Coerentemente con la visione del problema diffusa fra molti operatori
(alla quale facevamo cenno poco fa) c'era chi teorizzava
che non si potevano indicare ai rom due appuntamenti a cosi' breve distanza
(la manifestazione del 18 e, quattro giorni dopo, il sit-in in Campidoglio).
Si sarebbero confusi.

Dopo la frustrante esperienza del 18 giugno, che ha segnato
un drastico passo indietro rispetto alla manifestazione del 19 dicembre '99,
alla quale avevano partecipato diverse centinaia di rom
insieme agli altri immigrati, ci siamo trascinati stancamente
fino al ridicolo sit-in di giovedi' 22.

Era partito come un esperimento forte, nato sull'onda della reazione
contro l'ultima bravata dell'avvocato (quattro sgomberi in simultanea,

dei quali uno sventato grazie a un presidio di 300 persone
che si sono mobilitate tempestivamente e hanno resistito tutta la notte,
fino al ripiegamento dei carabinieri) e poteva contare
su una rete estesa, dalle Comunita' di Capodarco e di S. Egidio
fino ai centri sociali, con la partecipazione dei rom di parecchi campi.
Con il passare del tempo (quattro settimane di gestazione!) la proposta

si e' ridimensionata e stemperata fino ad assumere il carattere
di un appuntamento locale, limitato, silenzioso - inevitabilmente perdente.

Unico risultato della fiacca presenza sul colle, quel pomeriggio,
di un centinaio di persone, un'altrettanto fiacca e platonica dissociazione
di alcuni consiglieri comunali DS dalle modalita'
con cui sono stati condotti gli sgomberi - senza peraltro perdere l'occasione
di sottolineare la priorita' assoluta, in tutta la faccenda,
del problema della ''sicurezza dei cittadini''.
Per contro, la politica di Rutelli nei confronti dei rom
non e' stata minimamente scalfita e il suo proconsole rimane saldamente

in sella, rinvigorito dagli applausi della platea napoletana.

E come poteva essere diversamente, se si e' rinunciato a priori
al tentativo di coinvolgere la citta' (nessun manifesto, nessuna manchette
sui giornali) e gli immigrati in lotta
(neanche un volantino informativo alla manifestazione del 18)?
Come poteva essere diversamente, se la preparazione della manifestazione
nei campi e' stata concepita come un problema di competenza esclusiva
delle associazioni che garantiscono la scolarizzazione
(e infatti i rom non si sono presentati in Campidoglio)?


Stiamo entrando nel pieno dell'estate.
La citta' si svuota.
I giornali a ferragosto sono piuttosto distratti
(se lo ricorderanno i compagni del Leoncavallo).
Ci sembra lo scenario ideale per una nuova grande esibizione di muscoli

da parte dei fautori della pulizia etnica ''made in Italy''.
Magari (speriamo di sbagliarci) aggredendo il problema alla radice.
Il Casilino 700, ottocento disperati dimenticati da Dio e dagli uomini,

che affrontano un'altra tremenda estate in una bidonville
senz'acqua ne' servizi.
Questa volta l'efficentismo ''umanitario'' e giubilare del Comune di Roma
potrebbe accanirsi su di loro, privandoli perfino del misero riparo
delle baracche.
Come e' accaduto un mese fa, a Vasca Navale e alla Muratella.



Cinzia e Roberto del ''Coordinamento contro le guerre-Universita' di Rom''