Il gioco delle tre carte di Maroni



Il gioco delle tre carte di Maroni

Da settimane il governo italiano – in prima fila il ministro dell’Interno
Roberto Maroni – sta ballando tra Tunisi, Parigi e Bonn.
Alti funzionari dell’ENI viaggiano per la Cirenaica scossa dalla guerra
per convincere il Governo di transizione a mantenere i contratti firmati
con Gheddafi. Nel frattempo dalla Libia partono barconi pieni di profughi
dal corno d’Africa. I primi dopo lo stop imposto dal trattato di amicizia
italo-libica. Chi non ce la fa chiude la sua vita nella grande bara
azzurra del Mediterraneo.
Maroni, Berlusconi e Frattini hanno provato senza troppo successo a
comprarsi il governo tunisino. Dopo aver annunciato in pompa magna che
Tunisi si riprendeva in blocco i 22.000 ragazzi sbarcati negli ultimi mesi
in cambio di soldi e armi, il governo italiano è stato smentito da
Essebsi. Sono seguite trattative convulse. Tunisi, dopo aver incassato i
permessi temporanei per chi era già in Italia, non sta mantenendo
l’impegno di fermare nuove partenze.
Nel frattempo è arrivato il no dell’Unione Europea alla libera
circolazione dei tunisini provenienti dall’Italia.
La premiata ditta gabbie, respingimenti e deportazioni sta facendo acqua
da tutte le parti.
Maroni prova a fare il gioco delle tra carte tra Roma, Tunisi e Parigi. E
perde.

Vi proponiamo le principali tappe di questa vicenda nella ricostruzione di
TAZ laboratorio di comunicazione libertaria
“Il mare ne ha inghiottiti duecentocinquanta. Quella che si è consumata il
6 aprile è stata una delle peggiori tragedie – se mai fosse possibile
stilare una classifica dell’orrore – tra quelle conosciute nel Canale di
Sicilia. Il mare era agitatissimo, la presenza del barcone viene segnalata
in acque maltesi, ma le autorità della Valletta non intervengono perché
«impossibilitate». I soccorsi partono dunque dall’Italia: tre motovedette,
un aereo e un elicottero. C’è anche il peschereccio mazarese “Cartagine”
che riesce a recuperare tre persone. Il mare forza 6 e una falla nel
barcone rendono tutto complicatissimo. Gli immigrati cadono in acqua,
donne e bambini compresi, proprio durante i tentativi di trasbordo. Se ne
salveranno solo quarantotto, per la maggior parte eritrei e somali.
Nel frattempo, la politica ha messo in scena le sue miserie. È entrato in
vigore lo speciale decreto del presidente del consiglio con il quale viene
riconosciuto a tutti gli immigrati tunisini presenti in Italia da gennaio
uno speciale permesso di soggiorno della durata di tre mesi, concepito per
garantire la libera circolazione all’interno dell’area di Schengen. Il
provvedimento è stato varato partendo dal presupposto che la stragrande
maggioranza dei tunisini approdati nelle ultime settimane a Lampedusa ha
manifestato apertamente la volontà di andare in Francia o in Germania
considerando l’Italia una testa di ponte. E proprio da Francia e Germania
è arrivata la doccia fredda.
Parigi ha dapprima contestato la legittimità dei permessi di soggiorno
concessi dall’Italia, e poi è stata diramata una direttiva a tutte le
prefetture d’Oltralpe che stabilisce requisiti molto rigidi per consentire
l’apertura delle proprie frontiere ai tunisini. Stessa indisponibilità da
parte della Germania, mentre la stessa Unione Europea – per mezzo di
Cecilia Malmstrom, titolare del portafoglio interni della Commissione
europea – ha chiarito che i permessi temporanei italiani non possono
garantire la libertà di circolazione nell’area Schengen perché i tunisini
sono migranti economici, e quindi sempre passibili di espulsione.
Non si pensi che, in tutto questo, il governo italiano sia formato da
uomini giusti ma incompresi. L’accordo italo-tunisino voluto da Maroni
prevede, infatti, che gli immigrati che arrivano in Italia da questo
momento in poi vengano rimpatriati subito con procedure semplificate.
Ovvero, deportazioni sbrigative dall’aeroporto di Lampedusa. In cambio,
l’Italia donerà alle forze dell’ordine di Tunisi sei motovedette, quattro
pattugliatori e un centinaio di fuoristrada per controllare meglio le
coste e impedire nuove partenze. Un meccanismo che Maroni ha cinicamente
descritto come una “chiusura del rubinetto”. Intanto, Lampedusa è stata
evacuata dagli immigrati deportati nelle tendopoli allestite in Italia
(specialmente al Sud), ma tutto è durato davvero poco perché gli sbarchi
sono ripresi massicciamente.
Dalle tendopoli si riesce a scappare, specialmente a Manduria e
Caltanissetta. Più blindata la tendopoli di Kinisia, nelle campagne fra
Trapani e Marsala. Cinquecento immigrati vivono in un’area circondata da
un doppio perimetro di rete metallica sorvegliato a vista da un agente in
tenuta antisommossa ogni dieci metri, seduto su una sedia. Nonostante
tutto, dieci immigrati sono riusciti a fuggire, ma solo in sei hanno
effettivamente riconquistato la libertà.”

Info e approfondimenti:
http://senzafrontiere.noblogs.org/