Lampedusa. Sul confine della vergogna



Lampedusa. Sul confine della vergogna

Mercoledì 30 marzo. Oggi a Lampedusa è arrivato anche Berlusconi. Camicia
nera, demagogia e promesse. Adesso che c’è lui tutto andrà a posto. Finora
“non aveva le idee chiare” ma ora sa cosa si deve fare e lo sta facendo.
Sgombero dell’isola, pulizia, rimpatri, agevolazioni fiscali e anche la
candidatura al Nobel per la Pace. Su questo scoglio di frontiera la
neolingua del premier chiama pace la guerra. Intanto la premiata ditta
gabbie e polizia è all’opera. Tendopoli miserabili, e la minaccia dei
rimpatri. Sempre che il governo di Tunisi sia in grado di mantenere gli
impegni presi con Maroni e Frattini e di incassare il premio pattuito.

Vale la pena leggere la cronaca e l’analisi dalla Sicilia di Taz,
laboratorio di comunicazione libertaria.

Alla fine ci sono riusciti. Con le rivolte del Nordafrica e con lo scoppio
della guerra dichiarata dalle potenze occidentali alla Libia, l'aumento
degli sbarchi di immigrati e profughi nell'isola siciliana di Lampedusa è
servito al governo italiano per non gestire una situazione che si è
trasformata, inesorabilmente, in una emergenza. Nel momento in cui
scriviamo, le presenze di immigrati a Lampedusa hanno superato le 6.000
unità. Davvero una quantità considerevole se si pensa che i lampedusani
residenti sono, abitualmente, cinquemila.
In realtà, il vero problema è un altro, e cioè le condizioni inumane nelle
quali il governo ha abbandonato al loro destino gli immigrati e, insieme a
loro, la popolazione autoctona. Per giorni e giorni il governo ha
indugiato nel predisporre un piano sostenibile per un'accoglienza decente
e per la progressiva evacuazione dell'isola, e così - a fronte di una
oggettiva intensificazione degli sbarchi - non si è provveduto a un
contestuale decongestionamento di Lampedusa.
Una volontà politica criminale che discende direttamente dalla generale
impostazione repressiva delle leggi in materia di immigrazione in Italia.
L'emergenza-Lampedusa rappresenta un quadro, grottesco e realistico nello
stesso tempo, della pericolosità sociale di chi sta governando il paese.

A Lampedusa gli immigrati sono stati dapprima stipati nel Centro di prima
accoglienza, pieno fino all'inverosimile (1.500 persone), altri 450 nella
ex base Loran, 420 nelle strutture ecclesiastiche, e ben 4.000 nella
stazione marittima, nell'area del porto e sulla "collina della vergogna"
dove essi stessi hanno improvvisato un accampamento. Si tenga presente,
giusto per fare un esempio, che a Lampedusa per alcuni giorni 2.000
immigrati non hanno mangiato perché la cooperativa che gestisce il Centro
è abilitata a fornire un massimo di 4.000 pasti. Inevitabili le proteste
dei migranti, e altrettanto inevitabile la reazione rabbiosa dei
lampedusani: dapprima i blocchi del porto con la volontà di non fare
attraccare più alcun barcone, e poi l'occupazione dell'aula consiliare del
Comune in segno di protesta. A fare da sfondo a tutto questo, il radicato
sentimento di frustrazione della popolazione isolana, di fatto costretta a
subire le scelte dissennate del governo centrale. Il conflitto si sta
consumando, pur nella sua fisiologica ritualità, anche a livello
istituzionale, con la Regione siciliana - presieduta dal governatore
Lombardo - che ha denunciato le mancate promesse da parte del Ministro
dell'Interno Maroni in direzione di una distribuzione degli immigrati su
tutto il territorio nazionale. D'altra parte, quel galantuomo di Umberto
Bossi ha sbrigativamente liquidato l'argomento auspicando che gli
immigrati se ne vadano «fuori dalle palle» il prima possibile.
Infatti, dopo che l'emergenza è stata creata ad arte, il governo ha
giocato un'altra, incredibile, carta: le tendopoli. Tredici siti di
proprietà demaniale (per lo più di origine militare) sarebbero stati
individuati in tutta Italia per allestire accampamenti destinati alla
"sistemazione" dei migranti (il governo ci ha già abituati a questo genere
di provvedimenti sull'onda delle "emergenze"). Ancora una volta però,
sembra che siano solo la Sicilia e il Sud a dover sostenere il peso di
questa strategia terroristica del governo. Le tendopoli in fase di
allestimento potrebbero contenere 800 persone ciascuna, e si trovano a
Manduria (in provincia di Taranto), a Caltanissetta (vicino al Centro di
identificazione ed espulsione) e a Kinisia, vicino Trapani. In
quest'ultimo caso, si tratta dell'area dell'ex aeroporto militare, a
pochissima distanza dall'attuale base militare di Birgi (da dove partono i
Tornado italiani che fanno la guerra in Libia). L'ex aeroporto di Kinisia
si trova in aperta campagna, è un edificio diroccato e abbandonato, e la
tendopoli sarà montata sulla pista e in tutta la vasta area circostante.
Anche qui, la popolazione locale ha già dato segni di pericolosa
insofferenza bloccando i mezzi dei vigili del fuoco per impedire la
realizzazione dell'accampamento. I trapanesi che vivono nella tranquilla
periferia rurale della città non vogliono gli immigrati "per non fare la
fine di Lampedusa", "perché abbiamo paura", "perché temiamo per i nostri
bambini". Reazioni scomposte e irrazionali che si aggiungono alla rabbia
per il danno economico derivato dalla forzata (prima totale poi parziale)
chiusura dell'aeroporto civile a seguito dell'inizio delle operazioni di
guerra. Al di là di questa brutta piega che stanno prendendo gli eventi,
non si può ignorare come la Sicilia occidentale si confermi un terreno di
inaudita sperimentazione repressiva sulla pelle degli immigrati. A Trapani
ci sono già un Centro d'Identificazione ed espulsione (Cie) e un Centro
richiedenti asilo, entrambi colmi. E poi c'è il nuovo Cie di contrada
Milo, in fase di ultimazione.
Dall'altra parte dell'isola, c'è il "Villaggio della solidarietà" (ex
residenza dei militari Usa di Sigonella) a Mineo, in provincia di Catania.
Anche in questo caso, l'approssimazione si è accompagnata a un
innalzamento ingiustificato della tensione e dell'ingestibilità. Adesso
quello di Mineo è ufficialmente un Centro per richiedenti asilo (CARA),
era stato concepito per trasferirvi i rifugiati già presenti in tutti i
Centri italiani, ma poi - con l'emergenza - ha finito con l'ospitare anche
alcuni immigrati subsahariani appena arrivati a Lampedusa.
Ed è qui che - mentre scriviamo - si aspetta l'arrivo di sei navi (una
militare, la San Marco, e altri cinque traghetti) per l'immediata
evacuazione dell'isola, dopo settimane di incuria e lassismo. Ma è davvero
concreta la sensazione che, in tutta questa vicenda, gli immigrati siano
trattati come pacchi postali da ri muovere, deportare e parcheggiare senza
alcun criterio di umanità.
All'origine di questo scempio ci sono molti fattori. Le leggi razziste,
innanzitutto, che rendono materialmente impossibile la vita degli
immigrati marchiati come "irregolari". Se ci si potesse spostare
liberamente, la maggior parte di questi problemi non ci sarebbero. Le
persone non sarebbero considerate "extracomunitarie", né si creerebbero
pretestuose distinzioni tra "clandestini", "profughi" e "richiedenti
asilo" con tutta la burocrazia assassina che ne deriva. E poi c'è la
situazione internazionale. Non è possibile pretendere che le persone non
cerchino di fuggire dalle situazioni di pericolo o di precarietà. Le
rivolte nel Maghreb e l'instabilità sociale e politica in Tunisia ed
Egitto sono tutti motivi più che comprensibili per emigrare. Infine, non
bisogna dimenticare che siamo in guerra. I paesi occidentali hanno
scatenato l'intervento militare in Libia, l'Italia si è accodata
volentieri in questa impresa scellerata, e adesso si pretende di non avere
a che fare con le sue conseguenze disastrose.
Agli anarchici spetta un compito epocale, quello di fare fronte a questa
deriva infame. In questa fase la lotta antirazzista non può prescindere da
un rilancio dell'attività antimilitarista. In entrambi i casi occorre
lavorare nel corpo sociale per arginare gli effetti nefasti del terrorismo
mediatico con cui il governo dipinge gli immigrati come pericolosi
invasori, descrive l'intervento in Libia come un provvedimento umanitario,
impaurisce e distrae l'opinione pubblica costruendo a tavolino le
situazioni emergenziali per poi giustificare strette repressive e
discriminatorie assolutamente devastanti.

Per info:
http://senzafrontiere.noblogs.org/