"Il velo è un modo per discriminare le donne", ci dice Lakhdar



Un filosofo tunisino, colpito da una fatwa per aver criticato l’islam radicale,  spiega che “l’abito settario” è una forma di schiavitù

“Il velo è un modo per discriminare le donne”, ci dice Lakhdar
dal FOGLIO

Tunisi. “Accettare il velo significa credere nell’inferiorità della donna”, dice al Foglio
Lafif Lakhdar, giornalista e filosofo tunisino, al telefono dalla sua casa a Parigi.
Lakhdar, uno degli intellettuali più progressisti del mondo arabo, è stato definito dal
quotidiano israeliano Haaretz lo “Spinoza del medio oriente”, e gli scrittori tunisini lo
considerano la “voce liberale del mondo arabo”. Nel 2002, il quotidiano saudita con
base a Londra al Hayat lo licenziò per avere pubblicamente condannato su al Jazeera le
“barbarie” dei regimi arabi, tra cui le mutilazioni e le punizioni corporali. Nel 2004,
Lakhdar ha attirato l’attenzione dei mass media internazionali per aver inoltrato una
petizione alle Nazioni Unite chiedendo un tribunale non soltanto per i terroristi, ma
anche per le figure religiose che istigano alla violenza e all’odio.
Per Lakhdar, anche se alcune ragazze musulmane scelgono liberamente di indossare
“l’abito settario”, il velo rimane un accessorio da bandire: “In passato, alcuni
schiavi accettavano il proprio status, ma ciò non significa che la schiavitù non dovesse
essere abolita – sostiene Lakhdar – Allo stesso modo, non posso permettere che una
donna copra il proprio volto, accettando di essere un essere inferiore all’uomo”. Lakhdar
ricorda anche che in Tunisia esiste il decreto 108 del 1981, che vieta di indossare
il velo nei luoghi pubblici. “La legge è fatta per essere rispettata e non per essere infranta
da persone che sostengono di potersi eccitare sessualmente se i capelli di una
donna non sono coperti”, dice Lakhdar, che non risparmia dure parole neppure per
l’Europa, che non sa difendere i dissidenti del mondo musulmano.
Per le sue opinioni infatti il giornalista tunisino vive con la certezza di poter essere
ucciso in qualsiasi momento. Rachid Ghannouchi, leader del movimento islamista al
Nahda, lo ha condannato a morte con una fatwa, accusandolo di avere offeso in un libro
– che Lakhdar non ha mai scritto – il Profeta Maometto. In un articolo apparso sul
portale saudita Elaph.com, si richiedeva l’impiccagione pubblica dell’intellettuale tunisino.
“Quando Ghannouchi prenderà il potere in Tunisia, instaurerà l’obbligo del velo
e della barba e la leicità della poligamia – scriveva l’articolo – Ghannouchi, poi, farà
prelevare da Parigi Lakhdar e anche la scrittrice eretica, Raja Ben Slama, per impiccarli
nella piazza centrale di Tunisi”. Ben Slama, autrice e docente, come Lakhdar, si
è espressa più volte contro il velo – dichiarando che la “questione femminile è inscindibile
da quella islamica” – e ha anche criticato pubblicamente i “deliri” del leader di
al Nahda, che vive a Londra e lavora assieme me al popolarissimo sceicco al Qaradawi.
In questi ultimi anni, Lakhdar ha cercato di intentare una causa contro Ghannouchi al governo britannico,
ma senza alcun successo.
“Secondo le leggi inglesi, una persona che incita alla violenza non è colpevole fino a
quando non uccide qualcuno – commenta Lakhdar – La giurisprudenza europea deve
essere modernizzata, perché oggi giorno non protegge il cittadino, ma incoraggia il terrorismo”.
La lotta contro il velo s’inserisce secondo il giornalista tunisino in questo contesto
di dissidenza. “Qualche anno fa, Ghannouchi aveva una trasmissione televisiva, in
cui obbligava le musulmane ad adottare il velo – racconta Lakhdar – Gli islamisti credono,
infatti, che il corpo femminile debba essere completamente coperto, perché, in
quanto impuro, può provocare turbamenti sessuali nell’uomo”. Un altro modo per condannare
le donne all’inferiorità.