al voto al voto





Domanda frequente: cosa farai al referendum? ci vai  o non ci vai?  perchè
non ce lo dici?  fai il pesce in barile?
No no,  non sono ancora  findus,  mica ho paura di dirvi che andrò a
votare: tre sì e un no sull'eterologa.
Per spiegare meglio il perchè, vi allego il documento che ho sottoscritto -
"contro il bipolarismo etico" - e riporto qui sotto un articolo del
teologo Giannino Piana. Lo condivido in pieno, specie sul punto più
cruciale riguardante lo statuto dell'embrione.

Buona lettura, buon voto
Giovanni


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Perché sì, perché no
di Giannino Piana, teologo morale ( da "Rocca" n.7 aprile 2005)

Alcune premesse metodologiche

È bene precisare, fin dall'inizio, che l'ambito entro il quale si muovono
le riflessioni, che verranno qui sviluppate, è quello della legislazione
civile, alla quale non si può certo chiedere di fornire un codice di
comportamento etico valido a livello di scelte personali.

Alla legge va assegnato, più modestamente, il compito di arginare quei
fenomeni negativi che risultano disturbanti per la vita della collettività
e lesivi dei diritti delle singole persone, o che attentano, in senso più
allargato (e oggi sempre più consistente), all'identità della specie umana.

È come dire - è questo un dato di grande importanza - che la legge è
chiamata a svolgere una funzione essenzialmente negativa - quella di
evitare azioni che provocano danni consistenti (e palesemente riconosciuti)
agli individui e alla società -; mentre non spetta ad essa determinare i
precetti che devono guidare la condotta umana dal punto di vista morale.

Negare alla legge una funzione strettamente etica, cioè di formazione della
coscienza o di sostegno a una morale particolare, non significa
misconoscere tuttavia il ruolo dell'etica nella definizione dei dispositivi
legislativi di una società. La negatività di alcuni comportamenti (che
vengono per questo giuridicamente perseguiti) non può essere frutto di una
semplice operazione procedurale; implica il ricorso a un quadro di valori
in base al quale fare la valutazione.

Ma l'etica alla quale ci si deve riferire nel giudizio - è questa l'ottica
da privilegiare in un contesto pluralista e democratico come l'attuale -
non può che essere un'etica «laica», espressione di un minimo comune
denominatore valoriale raggiunto attraverso il confronto tra le diverse
visioni di ordine morale presenti nella società. Non è dunque richiesta la
rinuncia alla propria etica; è chiesto piuttosto che essa venga messa a
disposizione di tutti nella logica di uno scambio in cui ci si dispone ad
accogliere, senza pregiudizi, aspetti di verità presenti in altre visioni e
ad accettare il punto di convergenza raggiunto tra le diverse posizioni
esistenti nella società.

Il rimando all'etica, oltre che inevitabile - anche chi dice di
prescinderne è guidato nelle sue scelte da un'implicita lettura della
realtà che dice riferimento a un sistema valoriale - rappresenta,
d'altronde, l'unica via percorribile per evitare la caduta nella deriva del
«pensiero radicale», che riconduce tutto al diritto soggettivo e utilizza
come criterio esclusivo di lettura il «principio del piacere», mettendo
perciò totalmente tra parentesi (o addirittura negando espressamente)
qualsiasi valenza di etica sociale alle questioni affrontate. La bocciatura
del referendum, che chiedeva la totale abrogazione della legge 40, da parte
della Corte costituzionale, è un chiaro segnale del rifiuto di questa
tendenza e una sollecitazione a disciplinare, sul piano legislativo, la
procreazione medicalmente assistita.

Lo statuto dell'embrione e le possibilità della ricerca

La legge n. 40 ha costituito un primo tentativo di procedere in tale
direzione. I risultati raggiunti (soprattutto per il prevalere di interessi
di carattere politico o ideologico) appaiono tuttavia insoddisfacenti,sia a
causa di inaccettabili compromessi sia per la presenza, in qualche caso, di
un evidente contrasto con leggi preesistenti: si pensi soltanto al divieto
della diagnosi preimpianto degli embrioni, e perciò all'impossibilità di
arrestare, in partenza, il concepimento di un figlio malato, e
all'esistenza, nel nostro ordinamento giuridico - grazie alla legge 194 (la
legge sull'aborto -, della possibilità di interrompere la gravidanza anche
a distanza di molto tempo dal concepimento.
Senza entrare dettagliatamente nell'analisi delle richieste contenute nei
quattro referendum abrogativi non si può non denunciare il dogmatismo di
alcune prese di posizione della legge 40 su questioni nei confronti delle
quali è tuttora aperto il dibattito tanto sul piano scientifico che
filosofico e, più in generale, culturale. Così - per limitarci ad un solo
esempio - il riconoscimento all'embrione dello statuto di persona, e dunque
dei suoi inalienabili diritti - è il punto che viene messo in discussione
dal terzo quesito referendario - riflette una visione dell'inizio della
vita personale che non corrisponde al dato scientificamente più accreditato.

Le scienze biologiche ci dicono infatti che l'insorgenza della vita umana
passa attraverso un processo per fasi successive e che
l'individualizzazione (che è condizione basilare perché possa avere inizio
la vita personale) non avviene all'atto della fecondazione, ma a distanza
di alcuni giorni da essa, al momento cioè dell'annidamento.
Questo dato, avvalorato anche da motivazioni di ordine antropologico -
basti ricordare qui la costitutiva dimensione relazionale della persona, e
perciò l'esigenza che si verifichi un minimo di condizioni perché tale
relazionalità possa esplicarsi (l'annidamento dà inizio ad un processo di
reciprocità vitale tra madre e feto che rende simbolicamente trasparente
tale possibilità) - non esclude ovviamente che anche le fasi precedenti
dello sviluppo della vita umana (a partire dalla fecondazione) debbano
essere collocate sotto la tutela dell'etica; ma consente, al tempo stesso,
di differenziare opportunamente i vari livelli dello sviluppo e di
formulare pertanto criteri di valutazione morale più articolati.

L'adesione a questa ipotesi interpretativa apre la strada ad un giudizio
più possibilista a proposito dell'utilizzo degli embrioni soprannumerari,
laddove è in gioco una chiara finalità terapeutica (è questo l'oggetto del
primo referendum). La proibizione categorica espressa dalla legge 40 a tale
riguardo è infatti legata alla convinzione (difficilmente sostenibile) che
fin dal primo stadio biologico della vita umana sia presente la persona (il
«concepito»); affermazione che viene invece negata dai sostenitori del
referendum per le ragioni sopra esposte.

Modalità di accesso alle tecniche

Meno complesso è il giudizio sulle modalità di accesso alle tecniche (cui è
dedicato il secondo, e in parte anche il terzo quesito referendario), dove,
al di là delle contraddizione già rilevata - il contrasto con la legge 194
-, molti sono gli aspetti della legge 40 che meritano di essere sottoposti
a revisione, sia perché non rispettosi di dati scientifici acquisiti (e,
più in generale, della legittima autonomia della ricerca scientifica), sia
perché penalizzanti la donna e la sua salute: basti qui accennare alla
prescrizione di impiantare contemporaneamente tutti gli ovuli fecondati
(che non possono essere peraltro superiori a tre); prescrizione che,oltre a
presentare evidenti controindicazioni per l'efficacia dell'intervento,
impedisce alla donna di fruire successivamente, nel caso sia fallito il
tentativo messo in atto e si intenda ripeterlo, di embrioni già
disponibili, costringendola a sottoporsi a una nuova stimolazione ovarica
con pesanti conseguenze di ordine fisico e psicologico.

Fecondazione eterologa

Più problematica è invece la questione della «fecondazione eterologa»,
rifiutata dalla legge 40 e fatta oggetto del quarto quesito referendario.
Diverse e di varia natura sono in questo caso le perplessità: dal mancato
riconoscimento del diritto del bambino che nasce a conoscere l'identità del
proprio padre biologico, al pericolo per l'equilibrio della coppia (a causa
della disparità di genitorialità biologica), fino alle difficoltà relative
alla formazione della personalità del figlio per l'incombere del fantasma
del donatore.

A queste motivazioni se ne aggiungono poi altre (ancor più determinanti)
che hanno direttamente a che fare con i risvolti sociali della questione (e
che meritavano forse maggiore attenzione anche nell'ambito del dibattito
parlamentare che ha portato alla elaborazione della legge).

Si vuole alludere ai costi, non solo economici ma anche (e soprattutto) di
energie psicologiche e umane in genere, richiesti da un intervento che,
oltre a riguardare un numero ristretto di coppie, è legato a motivazioni
discutibili. Non è infatti superfluo domandarsi, in nome del principio di
«giustizia » (e di equità), uno dei capisaldi della bioetica, se, stante il
limite delle risorse disponibili in campo sanitario e la difficoltà a
soddisfare bisogni fondamentali di larghi strati della popolazione, non si
debbano rispettare alcune priorità, e pertanto se la fecondazione eterologa
non costituisca, in questa situazione, una sorta di «lusso» per pochi, che
va a scapito della possibilità di fare fronte a bisogni (e diritti) ben più
importanti di molti.

D'altra parte, se è vero che esiste per la coppia (e, in particolare, per
la donna) un legittimo desiderio al figlio «proprio» (più difficile è
affermare che si tratti di un diritto, e soprattutto di un diritto
«assoluto») non si può ignorare che, nel caso della «fecondazione
eterologa», questo desiderio non è, se non parzialmente, realizzato: in
senso biologico il figlio non è infatti "proprio» della coppia, ma (nel
caso migliore) solo di una parte di essa. Il che obbliga inevitabilmente a
confrontarsi con un altro diritto, senz'altro più fondamentale, quello del
bambino già nato (ed abbandonato) ad avere una propria famiglia; diritto
che deve spingere lo Stato a promuovere, sia a livello legislativo che di
intervento sociale, le condizioni perché istituti, come l'adozione e ll
pri'affidamento siano sempre più potenziati e diventino un'opzione più
facilmente praticabile, specialmente da parte di chi vive il dramma della
sterilità biologica.

Il referendum rappresenta una grande occasione di coinvolgimento popolare
nei confronti di decisioni riguardanti gli ordinamenti della vita
collettiva. Nonostante la complessità dei quesiti in questo caso sul
tappeto e al di sopra delle legittime differenze di posizioni, è perciò
evidente l'importanza della partecipazione, affinché ciò che attraverso il
voto viene deciso sia il più possibile espressione della volontà popolare
dei cittadini.

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Giovanni Colombo
presidente nazionale della Rosa Bianca
consigliere comunale di Milano - Ulivo


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