Il prossimo referendum, che si propone di trasformare la
procreazione assistita, prevista dalla legge vigente, in una procreazione
fabbricata tecnologicamente, promossa secondo regole di mercato,
rappresenterà uno snodo importante nella storia della democrazia, non solo
italiana. Si tratterà infatti del primo banco di prova di un populismo
tecnoscientifico, il cui obiettivo non sarà più la difesa di privilegi
locali, o la richiesta di leggi di polizia (tradizionali richieste
populiste), bensì la fabbricazione dell’uomo, a prezzo della soppressione
di organismi umani viventi.
Il populismo
tecnoscientifico
Il carattere populista dell’iniziativa è dato
innanzitutto dallo strumento prescelto, il referendum, col suo
caratteristico scavalcamento delle istituzioni parlamentari, ed il suo
“dare direttamente la parola” al popolo. La cui opinione è fortemente
condizionata dallo schieramento mediatico, controllato dai maggiori gruppi
industriale e finanziari, favorevole al referendum. Un “popolo” dunque
pilotato, come spesso accade da poteri forti. Populista è però anche il
contenuto affettivo della posta in gioco. Nella quale, come sempre nel
populismo, si contrappone una richiesta egoistica all’interesse del più
debole. In questo caso non si tratta del privilegio dell’autoctono nei
confronti dello straniero. La richiesta egoistica in questa vicenda è
quella delle coppie sterili, che trasformano la loro domanda di figli, in
“diritto”, da soddisfare, anziché attraverso l’adozione di bimbi
abbandonati, o comunque bisognosi, attraverso la fabbricazione di nuovi
esseri umani che verrebbero loro consegnati, come “proprietà”,
dall’apparato tecno-scientifico che si dichiara in grado di fabbricarli.
Particolare non secondario, questa fabbricazione richiede la
soppressione di esseri umani già viventi in forma embrionale. Si
tratterebbe dunque di un'altra decisione (dopo quella dell’aborto), ad
opera di masse in gran parte prive di conoscenza su molti dei termini
della complessa questione, di legalizzazione della soppressione di esseri
umani viventi, a fini di egoismi individuali. (Non voglio qui entrare
nell’identificazione fatta da Giovanni Sartori, sul Corriere della sera,
dell’essere umano con l’individuo dotato di percezione di sé: a parte che
anche il feto la possiede, come dimostrano innumerevoli ricerche
sconosciute a Sartori, sarebbe allora legittimo sopprimere comatosi,
alcunii portatori di handicap, e molti cerebrolesi. Ma è inutile
scandalizzarsi: è inevitabile infatti che, una volta accettato un
dibattito orribile, e per così dire ontologicamente inumano, come questo,
si finiscano poi col dire cose orribili, e profondamente
inumane).
Una sfida laica
Contrariamente
all’impostazione dell’intero dibattito, che i radicali, promotori del
referendum, spalleggiati da operatori più fortemente impegnati in
strutture ospedaliere, e dagli opinionisti dello schieramento, hanno
presentato come una scelta tra scienza e fede, la questione posta sta già
tutta all’interno di una coscienza laica che riconosca la propria
responsabilità nei confronti degli altri (anche se poi interpella a vario
titolo anche l’uomo religioso). Le domande poste alla coscienza laica sono
essenzialmente due. La prima: “è legittimo che uno Stato decida la
soppressione di esseri inermi, che non possono difendersi, dietro la
spinta plebiscitaria di masse, organizzate da interessi di particolari
gruppi (qui gli individui che esigono figli, pur non essendo in condizione
di averli naturalmente, e i gruppi di pressione sanitari e scientifici
interessati allo sviluppo di questo mercato)”? La seconda: “può una
democrazia sopravvivere in una situazione nella quale decisioni decisive
dal punto di vista sociale (in questo caso per gli effetti sulla famiglia,
e sulla vita e morte di individui), vengono prese sotto fortissime
pressioni di “esperti”, che si presentano come detentori di verità
scientifiche?” (Proprio in quanto scientifiche, dunque fallibili, tali
verità sono sempre smentibili da risultanze opposte, presentate da altri
esperti. Nella competizione vince però generalmente il gruppo di esperti
maggiormente capace di soddisfare momentaneamente gli interessi in campo,
e quindi anche di mobilitare maggiori mezzi finanziario/mediatici)
.
Scienza, Tecnocrazia, Democrazia
Questa seconda
questione irrompe nel dibattito politologico dei paesi dotati di facoltà
di Scienze Politiche autorevoli , nel secondo dopoguerra, a seguito della
riflessione sul ruolo determinante svolto dai fisici nella realizzazione
di armi di sterminio di massa, una vicenda che aveva dimostrato le enormi
possibilità di produzione di morte ad opera della scienza. L’esame della
questione assume poi forma più strutturata nel successivo dibattito sulla
“tecnocrazia”, di cui i gruppi di pressione tecnoscientifici sono parte
sviluppatosi a metà del anni 60, cui partecipai in quanto assistente e
collaboratore, a Losanna, di uno dei suoi protagonisti, Jean Meynaud (1) .
Come la maggior parte dei politologi di formazione democratica Meynaud
temeva fortemente “ l’affermazione di nuovi signori la cui autorità non
deriverebbe più da una delega popolare, ma dal potere derivante dalle
competenze”. E concludeva che, per ora, il modo migliore di evitare una
simile deriva era rafforzare i partiti, e difendere i poteri e le
competenze dei parlamenti. Lo spettro di referendum di spinta
tecnocratica su materie etiche, come quello cui andiamo incontro, non si
era ancora configurato; ma le sue potenzialità erano già presenti. Lo
erano, a ben vedere, già da un pezzo: almeno dalla presa del potere da
parte di quel particolare tipo di populismo tecnocratico che fu il
nazionalsocialismo.
La questione del sapere della
scienza
Lo sfondo di questo dibattito, spostandoci sul punto di
vista epistemologico, della filosofia della scienza è quello del sapere
scientifico, ed in particolare della medicina. Una questione non
affrontabile oggi, prescindendo dai lavori di Michel Foucault e, dal punto
di vista della, medicina di Ivan Illich. Lavori relativamente recenti, che
sollevarono accesi dibattiti in tutto il mondo, ma che qui, in Italia, in
questi giorni, tutti sembrano aver dimenticato (semmai li hanno
conosciuti), soprattutto nel campo che si qualifica come portatore “del
progresso scientifico”, difeso a sinistra senza ironia e senza
consapevolezza, non si dice di Foucault, ma neppure del progressista
monsieur Homais, il farmacista fonte di grossi guai in madame Bovary (2).
I lavori più radicali sono quelli di Ivan Illich, come Medical
Nemesis. The Expropriation of Health (3), ed anche Tools for
Conviality (4); Foucault riprende Medical Nemesis nel suo
lavoro Crisis de un modelo en la medicina (5). Ne La
convivialità, Illich presenta efficacemente la questione. “La perversione
della scienza nasce dalla credenza in due specie di sapere: quello,
inferiore, dell’individuo, e quello, superiore, della scienza. Il primo
apparterrebbe alla sfera dell’opinione, sarebbe l’espressione di una
soggettività, e non avrebbe nulla a che fare col progresso. Il secondo
sarebbe obiettivo, definito scientificamente , e diffuso da
portavoce competenti…. Sotto il nuovo regno il cittadino abdica ad ogni
potere in favore dell’esperto, unico competente .“ (Riaffiora qui, in
filosofia della scienza, il dibattito sulla Tecnocrazia, cui si è prima
accennato). In realtà, richiama bruscamente Illich, “il mondo non è
portatore di nessun messaggio, di nessuna informazione. E’ quello che é.
Ogni messaggio concernente il mondo è prodotto da un organismo vivente che
agisce su di esso”. E nota come qui si confonda “il medium con il
messaggio, il veicolo con l’informazione, i dati con la decisione”.
Questa situazione ha ricadute politiche, e psicologiche devastanti, di
grande rilievo anche dal punto di vista delle questioni buttate oggi con
inaudita violenza nella macchina referendaria. “ Il conflitto personale
non ha più alcuna legittimità dal momento che la scienza promette
l’abbondanza per tutti e pretende di dare a ciascuno secondo le sue
esigenze personali e sociali, obiettivamente identificate. … La persona
non può più contribuire di suo al continuo rinnovamento della vita
sociale. Il voto rimpiazza la discussione, la cabina elettorale il
tavolino del caffé. Il cittadino si siede davanti allo schermo, e tace.”
Perché analizzare, per esempio, e trasformare psicologicamente, e
simbolicamente, il conflitto conseguente alle difficoltà di procreazione
se la scienza si dice capace di fornirti un figlio bello pronto? Peccato
che poi, a parte le menzogne della scienza megafonata (in questo caso
documentate, ad esempio, da esperti come Agnoli, e Vescovi, resi però
pressoché invisibili nel megaschieramento mediatico tecnoprogressista ),
poiché la realtà è fatalmente ed unicamente quella prodotta dagli
individui, questo scavalcamento dell’elaborazione del Sé, della propria
reale condizione, attraverso l’accesso al tecnicizzato prodotto-figlio,
apra, come vede poi lo psicoterapeuta, baratri di ogni genere. Ciò accade
proprio perché in questo procedimento un sapere astratto e inefficace (in
quanto prescinde dal soggetto), ha dislocato l’essere umano in una
condizione che non è la sua (6). Foucault, che ha una vista più lunga
del più emotivo Illich, non si lascia impressionare dai dati, abbastanza
inquietanti, di Nemesi Medica, come la spattacolare caduta della
mortalità durante un lungo sciopero dei medici in Israele, o le infinite
statistiche, prodotte da Illich, sulle decine di migliaia di persone morte
per aver assunto farmaci, o in seguito a ospedalizzazioni, e interventi
inutili. Ciò che sembra molto più interessante a Foucault, è che i medici
e la medicina, “proprio a causa della loro efficacia provocano degli
effetti, alcuni puramente nocivi, altri incontrollati, che obbligano la
specie umana ad entrare in una storia azzardata, in un campo di
probabilità e rischi la cui ampiezza non può essere misurata con
precisione”. E ricorda, tra i moltissimi altri esempi, come il trattamento
anti infettivo abbia prodotto una diminuzione generalizzata nella capacità
degli organismi di difendersi. Certo il rischio medico, nota,
cioè il legame tra effetti positivi e negativi della medicina, fa parte di
tutta la sua storia. E ricorda, ad esempio, come la scoperta
dell’anestesia,superando la barriera del dolore e permettendo così le
operazioni, provocò una drammatica impennata della mortalità, perché,
nell’assenza di allora di sterilizzazione, tutti gli operati morirono.
“Prima” però il rischio medico era ancora una questione individuale, anche
se magari di masse di individui. Oggi invece “è l’insieme del fenomeno
della vita che si trova ormai posto nel campo d’azione dell’intervento
medico”. E’ questa la questione che egli chiama del bio-potere (il potere
di chi manipola la vita), e della bio-storia. “La storia dell’uomo non
continua semplicemente la vita, e neppure si contenta di riprodurla, ma la
modifica ... e può esercitare sul suo processo un certo numero di effetti
fondamentali. E’ questo uno dei grandi rischi della medicina attuale
"(7). Anche interessanti le osservazioni di Foucault tra la non
corrispondenza ( a differenza di altri consumi) tra l’aumento di consumi
medici e l’aumento del livello di salute (che invece migliora con
l’aumento del consumo di cultura), o la diminuzione del tasso di
mortalità. “Il livello di consumo medico, conclude, e il livello di salute
non sono in relazione diretta”.
La verifica esistenziale e
psicoterapeutica
La pratica psicoterapeutica conferma con
chiarezza sia le intuizioni di Illich, che i lavori di Foucault. Il
benessere psichico dell’individuo é direttamente proporzionale alla sua
capacità di porsi in modo riflessivo e critico nei confronti delle
promesse salvifiche e di benessere del potente circo tecnomediatico. La
cui tendenza a presentarsi come lo strumento che allontanerà dalla vita
umana l’esperienza del dolore, della perdita e della mancanza, oltre a
possedere lo stile volgare della ciarlataneria, e ad abituarvi le persone,
imbarbarendo la cultura nel suo complesso, suscita aspettative destinate a
venire deluse. Non perché la tecnoscienza non possa fabbricare bambini, ma
perché questa fabbricazione, avvenendo fuori dal mondo umano dei corpi e
delle loro relazioni affettive ed emotive, crea una molteplicità di
complicazioni psichiche di difficile soluzione. Già negli anni ‘40 Carl
Gustav Jung poteva notare che l’allontanamento della vita umana dalla
natura e dalle sue leggi era la prima causa di nevrosi e di malessere
psichico. Da allora la situazione è diventata sempre più evidente, ed ogni
osservazione clinica ed epidemiologica è in grado di confermarlo.
Infine, questo è il mio parere, l’individuo sterile viene privato
dall’intervento pseudo rassicurante (in realtà profondamente ansiogeno),
del funzionariato tecnoscientifico, di una parte importante della sua
verità , e della sua storia. La quale, come la maggior parte delle nostre
storie, e della nostre ricchezze, parte da una mancanza, da una
privazione, da un’impossibilità. Alla quale il soggetto è chiamato a dare
un senso, una risposta, una soluzione, vivendo, insieme, l’esperienza
profondamente umana della consapevolezza del limite, anziché la fantasia
psicotizzante di onnipotenza indotta dalla tecnoscienza. Elaborazione del
senso ed esperienza del limite possono essere positivamenbte vissuti
nell’ambito, tradizionalmente proprio dell’ umano, di quella che Illich
chiamava la convivialità: la vicinanza, i corpi, il provvedere ai bisogni
degli altri, per esempio di un bimbo senza genitori. L’essere umano di
questo ha bisogno per vivere, stare bene, e magari essere addirittura,
episodicamente, felice: calore, sentimento, incontro, scambio, affetto.
Certo il mondo dei corpi, e degli affetti, ci mette davanti al limite:
della procreazione, delle performance impossibili, dell’invecchiamento
sicuro, e tanti altri ( tra i quali, certa, la morte). Per ognuno di
questi limiti la tecnoscienza sfodera, a singhiozzo, sfavillanti rimedi.
Se usati per la superficie dei fenomeni, le rughe della vita, questi
stratagemmi possono anche essere piacevoli, e (forse) scarsamente dannosi.
Se applicati però alla vita stessa, alla sua produzione, questi rimedi
separano la storia di chi li adotta, da quella del resto dell’umanità, che
accetta il limite, a conciare da quello della costante connessione tra
corpo, e affetto. Una scissione di cui razionalmente, laicamente, in tutta
la mia esperienza di vita e professionale, osservo le drammatiche
conseguenze.
Claudio Risé Psicoterapeuta, docente di
socologia dei processi culturali all’Università dell’Insubria - Varese.
(1) Tra i suoi lavori nel campo : La technocratie, Payot, 1964; Gruppi
di pressione in Italia e in Francia (con C. Risé), Esi, 1963. (2) G.
Flaubert, Madame Bovary.Moeurs de province. G. Charpentier ed., Paris,
1877. (3) Tradotto in it come: Nemesi medica,: L’espropriazione della
salute, Red, Como, 1991. (4) Tradotto in it come: La convivialità, Red,
Como, 1993 (5) Pubblicato con titolo fuorviante in Archivio Foucault 2,
a cura di A. Dal Lago, Feltrinelli 1997, pag 202 (6) Come cantava un
cant’autore del triangolo industriale anni fa. “Sarebbe come una
mattina/svegliarsi ed essere a Messina / città pur degna di ogni stima/ma
che ci faccio io a Messina?” (7) Archivio cit, pag.
216. |