Emozioni scaturite da un viaggio di 800 km in Sicilia....nella vera Sicilia.



Emozioni scaturite da un viaggio di 800 km in Sicilia....nella vera Sicilia.

Emanuele Cauda

La mafia esiste ed è ancora ben viva.
Il primo impatto con Cosa Nostra in Sicilia è stata una A: La villa di
Salvatore Brusca a San Giuseppe Jato, nell'entroterra palermitano,
circondata da una gigantesca A di alberi che racchiude un terreno di
qualche decine di ettari. Al suo interno vi anche un pozzo e condotte
acquifere completamente abusive in una zona in cui l'acqua è un bene
fondamentale nei lunghi e torridi mesi estivi. La villa è posta sotto
sequestro da quando il giovane boss mafioso è stato arrestato.
A San Giuseppe Jato, così come a Corleone, tristemente noto per la
famigerata famiglia dei corleonesi capeggiati dal boss dei boss Totò Riina,
è possibile incontrare qualcuno che lotta ogni giorno contro la mafia: per
un giorno siamo stati ospiti, io e la mia compagna di viaggio, della
cooperativa Placido Rizzotto, aderente all'associazione nazionale Libera,
che gestisce alcuni terreni confiscati alla mafia. Dopo la stagione delle
stragi del '92, con la morte di Falcone e Borsellino, lo stato ha emanato
una serie di leggi in ambito di lotta alla mafia tra le quali la 109 del
1996: i terreni confiscati all'atto della arresto ai mafiosi diventano
dello stato dopo la condanna in cassazione e lo stato li  affida per
attività socialmente utili.
La cooperativa sociale Placido Rizzotto in questo modo può produrre pasta,
vino e legumi dai terreni che sono stati confiscati a Riina, Simoncelli,
Buscetta, Brusca: è inoltre una cooperativa sociale con inserimento di
ragazzi portatori di handicap.
L'attività della cooperativa non è semplice: la mani della mafia nel
palermitano sono ancora ben presenti e lavorare ogni giorno i terreni dei
boss significa esporsi in prima persona a rappresaglie e azioni
intimidatorie (solo nel 2004 un campo è stato totalmente incendiato da
ignoti); inoltre la paura, la diffidenza e l'omertà della gente locale sono
avversarie con le quali combattere costantemente appoggiati da tanti amici
in giro per l'Italia e dalla convinzione di essere nel giusto.
Il lavoro è reso altresì duro dalle amministrazioni locali che vogliono
unicamente fregiarsi di tali iniziative in ambito elettorale: è il caso
dell'agriturismo inaugurato nel Giugno 2004 a cavallo delle due votazioni
amministrative ma attualmente non ancora agibile a causa di imperizia
dell'azienda realizzatrice appaltata dall'amministrazione stessa.
Sicuramente non è possibile bollare di stampo mafioso l'amministrazione ma
di certo quest'ultima è lungi da impersonare le profonde motivazioni della
cooperativa Placido Rizzotto.
Una situazione analoga l'abbiamo trovata a Castelvetrano, a metà strada tra
Marsala e Agrigento, dove un' associazione, la Casa del Giovane, che si
occupa di reinserimento dei ex-tossidipendenti ha preso in affidamento
quasi 100 ettari di uliveti di Riina e Provenzano: l'olio che se ne produce
è il frutto del lavoro di questi ragazzi.
Sicuramente mi sento di dire che quello che queste due realtà stanno
facendo è antimafia. Leggendo un libro intervista al giudice Giancarlo
Caselli, per sette anni a capo della Procura di Palermo dopo il '92, ho
capito che ci sono tre diverse strade imprescindibile di contrastare la
mafia: il lavoro repressivo di forze dell'ordine e dei giudici, il lavoro
educativo e culturale che si sforza di far capire che la mafia non può mai
essere buona e il lavoro di ricostruzione di un territorio reso succube
della mafia. Se i terreni agricoli non fossero stati affidati nuovamente ci
sarebbe stato un degrado territoriale ancora più forte di quello creato
dalla mafia stessa.
Per far capire bene cosa sia la mafia di Cosa Nostra bisogna fare un passo
indietro di almeno cento anni venti quando il feudalesimo è stato abolito
in Sicilia: a quel punto i terreni sono passati di proprietà di grossi
signorotti della zona  che hanno continuato a comportarsi da feudatari
mantenendo la gente povera e asservita. Nel corso degli anni Cosa Nostra è
cambiata aprendo diverse attività criminali: racket, usura, traffico di
droga, riciclaggio di denaro sporco ma sempre con una matrice estremamente
incentrata sul territorio: il bene della terra è fondamentale.
Cosa Nostra non nega mai un aiuto a chi glielo chiede ma poi richiede cento
volte indietro: si ciba del terrore, del silenzio e le sue armi sono la
forza, la spietatezza e un concetto altamente alterato di onore tanto che
non è impensabile trovare persone siciliane colte che attribuiscono alla
mafia un ruolo parzialmente positivo.
Mi sento di dire che invece la mafia va combattuta sempre e mai bisogna
cedere alla lusinga di imparare "a convivere con la mafia": la mafia viene
combattuta appieno se tutto lo stato si rende conto di essere macchiato di
questo male e si impegna nell'estirparlo. Solo a Torino sono stati
sequestrati 40 beni di boss mafiosi tra i quali palazzine, appartamenti,
terreni che verranno pian piano assegnati: questo per indicare di come Cosa
Nostra abbia imparato a uscire dalla Sicilia ben prima della costruzione di
un assurdo ponte e da tempo traffichi e intrallazzi (verbo appunto che
significa attività losca) con referenti del Nord.
Realtà come quelle di Libera e nello specifico della cooperativa Placido
Rizzotto e dell'associazione Casa dei Giovani, devono essere appoggiate e
sostenute anche con un semplice gesto quotidiano come quello di un
acquisto: un gesto genuino  che slega finalmente quelle terre dai fiumi si
sangue che sono stati versati da uomini in cerca di verità e giustizia.
Sensazioni strane e molti forti le abbiamo provate ancora in due momenti
del nostro viaggio: la prima mentre percorrevamo l'autostrada verso Palermo
all'altezza di Capaci proprio dove il 23 Maggio 1992 Giovanni Falcone con
la moglie e la sua scorta venivano fatti saltare in aria e la seconda
attraversando Corleone.
Il monumento a testimonianza della strage è ancora saldamente lì a indicare
come Falcone stesse percorrendo la strada giusta e per questo è stato fatto
saltare: la strada tinta di rosso in memoria non c'è più e questo ci ha
fatto ancora più male perché è un segno purtroppo tangibile che lo stato
sta pian piano facendosi indietro.
L'entrata a Corleone è stata invece vissuta con discreta tensione come
arrivare nel centro del mondo mafioso: la mente a freddo ricorda però
macchine girare, bambini giocare, persone passeggiare a testimonianza
simbolica che non c'è posto che non può girare pagina.
La lotta alla mafia deve continuare.