rassegna stampa: Il mercato crea la siccità



a cura di AltrAgricoltura Nord Est
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tratto da "Carta" - 4 maggio 2007
Il mercato crea la siccità.
(di Marco Bersani, Attac Italia)
L'allarme siccità è stato anche per quest'anno lanciato.
La drastica riduzione delle precipitazioni piovose invernali, effetto di
quel cambiamento climatico ormai divenuto esperienza quotidiana, comporterà
un'estate senz'acqua per molte regioni italiane.
Si moltiplicano le dichiarazioni e le richieste di interventi di emergenza.
Il Presidente di Confindustria chiede che non siano penalizzate le
industrie, le associazioni degli agricoltori lanciano l'allarme sui
raccolti, i produttori di energia minacciano "black out", i cittadini non
sanno se e quanta acqua potranno consumare. Tutti in conflitto con tutti.
Se la questione non fosse altamente drammatica, sarebbe da assistere al
meraviglioso spettacolo dell'autoregolazione del mercato tanto cara ai
liberisti di destra e di sinistra: spreco (pardon, valorizzazione) e
inquinamento (pardon, effetti collaterali della crescita) della risorsa
acqua in condizioni ordinarie e aspre lotte per accaparrarsela in condizioni
di scarsità.
Ma non eravamo nel migliore dei mondi possibili? Non si direbbe, se perfino
le Nazioni Unite se ne sono accorte. Infatti, l'ultimo rapporto Undp è
significativamente intitolato "Al di là della scarsità : potere, povertà e
la crisi idrica globale" e, per la prima volta dopo trent'anni, sostiene
come il problema di fondo non sia la scarsità, bensì la povertà e i
meccanismi di potere che sono fonti strutturali di diseguaglianza sociale e
nell'accesso al bene comune acqua.
Nel frattempo il Blomberg World Water Index, il più importante listino dei
valori delle imprese operanti in Borsa nel settore idrico, segnala come il
settore abbia registrato negli ultimi tre anni un rendimento del 35 per
cento, ben superiore al 29 per cento di petrolio e gas e al 27 per cento di
rame, alluminio e acciaio.
In questi pochi dati risiede la radice del problema.
Perché delle due l'una: o l'acqua è un bene comune e un diritto umano
universale, da conservare per le generazioni future; o diventa un bene
economico per la valorizzazione del capitale finanziario.
Di conseguenza, la questione pubblico/privato - con buona pace di Ermete
Realacci e dei dirigenti nazionali di Legambiente - è dirimente: perché
"pubblico" e "privato" non competono sull'efficacia dello strumento, bensì
sull'alternatività dell'obiettivo. La conservazione quali-quantitativa
dell'acqua è prioritario interesse pubblico, mentre al contrario, per il
mercato il massimo consumo di acqua costituisce aumento del profitto e la
scarsità serve a valorizzarne il prezzo.
Non ci sono alternative, né periodiche emergenze da dichiarare: se si
vogliono conservare le risorse, e garantire di conseguenza il diritto alla
vita e al futuro delle persone, l'intero ciclo dell'acqua (e dell'energia)
deve tornare in mani pubbliche, essere pianificato in forma democratica e
partecipativa, tendere alla conservazione e al risparmio, puntare alla
qualità ambientale. Altrimenti, si dica chiaro e netto che si vogliono
consegnare i beni comuni al capitale finanziario, scaricando sulla
collettività gli oneri economici, sociali e ambientali di un ciclo così
gestito.
Serve un cambiamento di rotta. E non possono che essere i movimenti ad
innescarlo. La crisi idrica già in atto dà ancora più ragione e forza alla
straordinaria campagna di raccolta firme in atto per chiedere la totale
ripubblicizzazione del servizio idrico. Sono già state superate le 200 mila
firme, ma occorre che in questi ultimi due mesi e mezzo quel risultato si
moltiplichi esponenzialmente.
Per dare una segnale forte di lotta e di sensibilità sociale, per dire
chiaramente che nessuno arretrerà finchè l'acqua non sarà totalmente
pubblica e gestita in forma partecipata dai lavoratori e dalle comunità
locali.
Ma proprio per il suo significato di battaglia di interesse generale,
occorre che i movimenti per l'acqua si facciano carico in ogni territorio
della conservazione della risorsa, aprendo conflitti che impediscano alla
vulgata liberista di pensare di risolvere il tutto con luoghi comuni come
"l'acqua si spreca perché costa poco" o che il rischio black out si supera
costruendo nuove centrali.
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N.B. se volete essere cancellati da questa lista scrivete a

altragricoltura at altragricolturanordest.it

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Un'idea potrebbe essere quella di costruire dal basso dei "Consigli di
Sorveglianza Sociale per la tutela dell'acqua", che intervengano nella
tutela territoriale (contro le grandi opere e le cementificazioni e per il
rimboschimento sostenibile), nella riconversione della produzione agricola
intensiva, nella riconversione della produzione industriale energivora. In
una parola, per affermare con il diritto all'acqua, il diritto a decidere
collettivamente "come, cosa e per chi produrre".
Con una prima importante battaglia: la richiesta di Consigli Comunali,
Provinciali e Regionali aperti per discutere collettivamente le misure da
prendere per far fronte alla crisi idrica immediata e per prevenire quelle
future. E, da subito, insieme ad una moratoria immediata e vera su tutti i
processi di privatizzazione dell'acqua in corso, reclamare un fondo
nazionale straordinario da destinare all'ammodernamento e al completamento
delle reti idriche, da finanziare attraverso una tassa di scopo sulla
produzione delle acque minerali, o la destinazione di una quota parte del
cosiddetto "tesoretto" (da sottrarre, ovviamente alla quota di risanamento
ossessivo del debito pubblico, tanto cara a Padoa Schioppa).
La partita è aperta, tutte le contraddizioni sono in campo. Sta ai movimenti
raccogliere la sfida sino in fondo. Si tratta, semplicemente, di
riappropriarsi della possibilità di futuro.
Perché "l'acqua non è di tutti, siamo noi che siamo dell'acqua", come
saggiamente hanno sempre saputo le comunità indigene dell'America del Sud.
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