rassegna stampa: LA VERGOGNA DEL VINO CON I TRUCIOLI DI LEGNO



a cura di AltrAgricoltura Nord Est
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tratto da "Green Planet" - 13 maggio 2006

LA VERGOGNA DEL VINO CON I TRUCIOLI DI LEGNO.
Presto legale anche in Italia il trucco per «invecchiarlo» insaporendolo con
sentori di barrique.
Che si arrivasse a questo non ce lo saremmo mai immaginati.
Che il Comitato di Gestione dei vini a Bruxelles avanzasse la proposta di
utilizzare i trucioli di legno per fare i vini del falegname o i vini di
Pinocchio, proprio non ci sta.
Ma che razza di Unione è quella che appiattisce ogni differenza, sul
cioccolato come sui vini, facendosi tirar la giacca da un’inconfessabile
progetto di omologazione che arriva da lontano.
Avevamo sorriso un anno fa quando su Internet fu scoperto un kit venduto in
Canada con il quale si poteva fare il Barolo o il Chianti in casa: acqua e
polverine e il gioco era fatto: ti davano persino le etichette.
Poi tre mesi fa la notizia che i giapponesi avevano trovato il modo per
invecchiare i vini precocemente (sic!), mentre già la tentazione del
truciolo aveva fatto breccia in California e Australia.

L’Italia del vino a questo punto si sente assediata, dopo aver giocato la
carta delle sue diversità, dei suoi vitigni antichi che sarebbero all’
incirca mille, contro i quattro o cinque dei cosiddetti «paesi emergenti».

E proprio quando anche in casa nostra s’era smesso, da parte dei produttori
che orecchiavano tendenze, di far pagare ai consumatori il frutto delle
proprie sperimentazioni in barrique, proprio quando la breccia della qualità
aveva invaso le cantine piccole e grandi, ecco la mazzata.

Sì, certo, qualcuno sarà felice, soprattutto chi è convinto che il vino
importante sia quello che sa un po’ di quella vaniglia lasciata dai tannini
delle barrique nuove.
Coi trucioli risparmierà, e intanto potrà continuare a fare quel vino
noioso, «internazionale», talmente perfetto che non ha neppure bisogno di
essere buono.
Un giorno un anziano viticoltore mi ha fatto questa osservazione: «Quando il
vino non era buono si diceva che sapeva ‘d bosch (leggasi legno)» e in
quanto al cosiddetto vino «fatto col bastone», siamo al ventennale di un
epilogo che tutti ricordano come lo scandalo del metanolo.
E pensare che da un lustro persino in America girano etichette di vino con
la scritta «no barrique» mentre a Terzo d’Acqui il gourmet Francesco
Battuello ha fatto una Barbera con la polemica dicitura «non allevata in
barrique».
Figuriamoci coi trucioli.

Ora, partendo dal supposto che il vino che sa di legno non va neanche bene
per celebrare la Santa Messa (dev’essere infatti «de gemine vitis e non
corruptum»), quello con i trucioli è perlomeno diabolico.
Ma lo è nel senso che vuol togliere il gusto dell’individualità, indebolendo
quelle diversità di cui l’Italia è ben ricca.
Occorre resistere.
E chissà che qualche Camera di Commercio che ogni anno dà il benestare ai
vini doc e docg non incominci a usare la matita rossa e blu, finalmente, per
bocciare quei vini di Pinocchio che adesso vorrebbero la patente europea.
Togliamogli almeno 20 punti: il vino al truciolo fa male al gusto e alla
cultura: se lo riconosci lo eviti. - (Paolo Massobrio su La Stampa)
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L’ITALIA LO PERMETTERÀ SOLO PER I VINI DA TAVOLA
Ma sarà vietata in etichetta l'indicazione 'invecchiato in barrique'
ROMA - Arrivano i trucioli nel vino. Non è una truffa alimentare ma sarà
presto la norma anche nel nostro Paese. Trucioli di rovere per invecchiare
il vino e dargli l'aroma del barrique che solitamente i vini prendono
invecchiando (più o meno naturalmente) nelle botti di rovere.
E la Confagricoltura prende le distanze e cerca di frenare l'utilizzo dei
trucioli nel vino, pratica ritienuta «dannosa» per la produzione italiana.
Saranno necessari ancora tre o quattro mesi ma anche i viticoltori europei
(e quindi anche gli italiani) - a determinate condizioni - avranno la
possibilità di utilizzare i trucioli di legno di rovere come già avviene per
molti vini importati in Europa dagli altri partner mondiali.
L'unica incognita ancora da sciogliere: la modifica all'Organizzazione
mondiale per il commercio (Wto) di alcune norme chieste dall'Europa
sull'etichettatura.
Da alcuni mesi la questione è discussa dagli esperti dei 25 stati membri e
della Commissione Ue per evitare ai produttori europei quella che di fatto
viene considerata una concorrenza sleale.
Ai viticoltori americani, sudafricani, sudamericani o altri è infatti
permesso di sostituire l'invecchiamento tradizionale e in 'barrique', ossia
in botti di rovere, con l'immissione direttamente nel vino di trucioli per
migliorare il prodotto sotto il profilo del gusto, della morbidezza,
dell'aroma.
Il compromesso che si profila prevede di introdurre anche in Europa questa
pratica enologica ma ogni stato membro può decidere in quale categoria di
prodotti autorizzarla.
L'Italia ha indicato che consentirà questa pratica solo nei vini da tavola
mentre verrà vietata per le denominazioni di origine. I paesi europei
produttori di vino e la Commissione Ue hanno concordato di introdurre la
pratica del truciolato nella normativa europea accettando che non venga
ripresa in etichetta.
Hanno però posto una condizione importante: vietare in etichetta
l'indicazione 'invecchiato in barrique' per i vini soggetti alla pratica
enologica del truciolato. Nei prossimi mesi la risposta della Wto e la
decisione dell'Ue.

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VINO, UN FRONTE ANTI-TRUCIOLI

REAZIONI TRA I PRODUTTORI RESPINTA OGNI IPOTESI DI UTILIZZO DEL LEGNO
AGGIUNTO NELLE VASCHE

Successo ad Asti di «Vinissage» il primo eno-salone piemontese dei biologici

Diciamolo subito: «Vinissage», primo salone piemontese dei vini naturali
ottenuti da uve coltivate con metodo biologico o biodinamico non è un posto
neutro.
Un sondaggio d’opinione sul possibile utilizzo dei «chips», ovvero trucioli
e polveri di legno da aggiungere al vino per dare sentori vanigliati di
legno, risparmiando tempo e barriques, da queste parti ha esito scontato.
Sarebbe successo anche su tutte le piazze dove in questi giorni si celebrano
manifestazioni enologiche, da Nizza ad Alba a Canelli, ma le inquietanti
aperture di Bruxelles sulle pratiche consentite in Usa, Cile, Australia per
i quaranta vignaioli radunatisi ad Asti, su invito del Comune, nell’ex
chiesa di San Giuseppe, rafforzano e confermano la loro diversità
«eno-ideologica».

Parla per tutti Gianfranco Torelli, vicesindaco di Bubbio, il paese della
Langa astigiana che nel 1999 si dichiarò per primo in Italia Comune anti
Ogm: «Noi con le logiche dell’agroindustria e dell’agrochimica non vogliamo
avere nulla che fare. Sul mercato non siamo ad armi pari: la nostra faccia
contro le loro potenti campagne di marketing, le nostre storie semplici
contro le brochure patinate, i nostri vini veri contro quelli che hanno
bisogno di essere truccati».

Torelli fa parte del consorzio Trimilli che mette insieme una decina di
piccole aziende piemontesi e toscane. Ognuna è una scomessa vinta.
A Vinissage ci sono i leader del movimento italiano dei vini biologici come
Angiolino Maule di Gambellara e una decina di tenaci vignerons di Francia,
dove il movimento dei vini naturali, compreso lo Chamapgne, sta facendo
proseliti.

La linea di distinzione e nell’uso in vigna del solo solfato di rame e dello
zolfo, con l’aggiunta del piretro per lottare contro il flagello della
flavescenza dorata.
Per le concimazioni solo letame senza altri prodotti di sintesi. In cantina
semplici filtrazioni e non chiarifiche chimiche e i più «puri» non usano
neppure l’anidrie solforosa come antiossidante.
E c’è chi ci scherza.
Maurizio Ferraro da Montemagno ha fatto disegnare sulla scatola delle sue
bottiglie di barbera e grignolino una sorta di gioco dell’oca che porta alla
buona vendemmia.
In questo Monòpoli del contadino tra gli imprevisti ci sono la siccità e le
grandine e se si finisce nelle caselle rosse dell’uso di prodotti chimici si
salta un turno.

Gian Luigi Bera, scrive libri di storia e produce moscato a Canelli.
« I vini biologici hanno superato da tempo il gap qualitativo e di gusto che
secondo alcuni li teneva lontani dalle soglie ell’eccellenza. Oggi ci sono
concorsi internazionali che valutano e riconoscono la naturalità del vino e
i consumatori stranieri ricercano sempre più questa garanzia, offerta da
marchi certificati».

Tema delicatissimo, quello delle certificazioni, che vede il mondo del
biologico, percorso da diverse scuole di pensiero, con un comun
denominatore: il vino è un prodotto naturale per eccellenza e lo vogliamo
continuare a produrre come tale, senza «trucchi».

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Vino ai trucioli: Slow Food scende in campo.

Rispetto alle produzioni agro-alimentari, quando ci mette lo zampino l’
Unione Europea non c’è veramente limite al peggio. L’ultima chicca ce l’ha
regalata il Comitato di Gestione dei vini di Bruxelles, dando il via all’
utilizzo dei trucioli di legno per conferire al vino quel non so che di
“barricato”.

Avete tanto vino di bassa qualità da rendere un po’ più fighetto?
Perché stare lì a perdere tempo e soldi nell’acquisto di tante piccole botti
di rovere e lasciarci il vino per mesi e mesi cercando di scimmiottare il
gusto “internazionale”, quando basta procurarsi dei trucioli, buttarli in
tini enormi d’acciaio e il gioco è fatto in quattro e quattr’otto?

Otterrete il sapore di legno tipico dei vini pazientemente affinati in
barrique, coprirete i difetti, e potrete vendere il vostro prodotto a poco,
perché vi sarà costato meno produrlo.
È questo il punto principale per cui la UE ha avuto la pensata: siccome
questa tecnica furba è usata da tempo in Australia e negli altri paesi
extraeuropei che stanno conquistando grosse fette del mercato
internazionale, perché non consentirla anche agli europei per poter
fronteggiare questa concorrenza “sleale”?

Detto fatto: nel nome del mercato e della competitività siamo sempre lì ad
abbassare l’asticella della qualità minima, fino a che non sarà più neanche
necessario saltare.
Consentiamo Ogm, ogni sorta di sofisticazione, ogni ritrovato che permette
di abbassare i costi di produzione in sacrificio di tradizione e qualità e
ci ritroveremo con un pugno di mosche, omologazione imperante, meno gusto,
meno ricchezza e chissà quanti scandali da affrontare; con i soliti, pochi
grandi che si ingrassano alla faccia dei piccoli bravi produttori.

Ci giochiamo davvero male le nostre carte.
Solo poche settimane fa ho affrontato in questa rubrica il problema della
concorrenza dei vini extraeuropei, invocando una sterzata continentale in
favore della tradizione, della ricchezza delle nostre denominazioni, dei
nostri territori, dei nostri vitigni autoctoni e caratterizzati.
Una battaglia commerciale che l’Europa può tranquillamente vincere nel nome
della qualità, della varietà e della sua nobilissima storia enologica.
Dicevo per l’appunto che è inutile rincorrere gli altri sul loro terreno:
abbiamo le nostre splendide specificità, perché buttarle al vento?

Invece, ecco che puntuale e “tafazziana” (ve lo ricordate Tafazzi di “Mai
dire goal” che si prendeva a mazzate sugli attributi?) la Commissione che
dovrebbe difendere i nostri produttori fa la sua bella cavolata.

È vero che l’Italia (i singoli Paesi possono definire l’applicazione delle
regole) ha già deciso di consentire la pratica dei trucioli soltanto per i
vini da tavola, lasciando per fortuna esenti i vini a denominazione di
orgine, ma è anche vero che l’appetito vien mangiando, e mi chiedo quando si
farà il passo successivo, quando si abbasserà ancora un po’ l’asticella: è
solo questione di tempo.

Tra l’altro non sarebbe prevista nessuna forma di etichettatura, soltanto il
semplice divieto di scrivere “invecchiato in barrique” per chi usa i
trucioli: e ci mancherebbe!

Io invece credo sia il caso di iniziare subito una battaglia perché questi
vini siano riconoscibili a chi compra, che l’etichetta parli chiaro.
Ve lo immaginate il consumatore che si ritrova una bottiglia con su scritto
“affinato con trucioli di legno”?
Pensate che poi abbia tutta questa voglia di portarsi a casa il prodotto?

No, non ci siamo: la notizia è soltanto di due giorni fa, non c’è ancora
stato il tempo di organizzarsi, ma vi dico che a Slow Food abbiamo tutta l’
intenzione di lanciare una campagna forte, con manifestazioni di duro
dissenso e fare tutte le pressioni possibili sull’Unione Europea perché
annulli la decisione o quanto meno ponga chiarissime regole di
etichettatura.

Propongo una sottoscrizione quanto più ampia possibile, una raccolta di
firme in cui possano manifestare la loro contrarietà e il loro disappunto i
produttori e le associazioni di categoria, in cui dichiarino il loro impegno
a non utilizzare queste pratiche ridicole per il buon nome del nostro vino.

Penso che sia il modo migliore di reagire: dichiarare la propria estraneità
a questi metodi, per far sì che, di lì in poi, chi si chiama fuori
automaticamente possa essere sospettato, senza bisogno neanche di etichette.

Non ne possiamo più di continuare a subire questi attacchi alle nostre
grandi risorse, alla nostra cultura contadina e al nostro essere produttori
di grandi eccellenze: vi informerò presto su come fare per unirsi al coro di
protesta.

Carlo Petrini su La Stampa
La Stampa, 13 maggio 2006
Corriere della sera, 13 maggio 2006
La stampa, 15 maggio 2006
La stampa, 14 maggio 2006
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