rassegna stampa - EPIDEMIE: L'influenza con le ali



Giorni fa avevamo già postato degli articoli che riaprivano il caso della
pericolosità dell'influenza aviaria originata dal virus H5N1 che dall'asia
rischia di diffondersi anche in Europa. Oggi, sempre sullo stesso argomento,
vi proponiamo un articolo pubblicato sul quotidiano "Il Manifesto". Vi sono
alcune notizie e lo stesso quadro d'insieme che ci fanno capire, aldilà di
ogni retorica, che vita e salute dei cittadini sono sempre subordinati
all'andamento economico di sistemi produttivi e finanziari. Da anni si
paventa il pericolo di pandemia che ha come fattore scatenante l'H5N1, si sa
che il propagarsi del virus in forme mutagene è dovuto alla genetica dei
polli (sono tutti della stessa razza, stessi parentali in tutto il mondo -
Ross e Kobb), alla loro concentrazione altissima per allevamento e per
distretto territoriale, all'uso incontrollato di antibiotici per favorire la
conversione proteica del mangime che, come effetto "collaterale", produce
l'annulamento delle difese immunitarie, insomma si sa che è
l'industrializzazione del sistema produttivo, così come si è dato fino ad
oggi, ad avere innescato questa bomba biologica a tempo! Ma non si è pensato
e non si pensa di intervenire sull'origine del problema, cambiando sistema
produttivo, magari a piccoli passi, producendo meno e meglio, con logiche di
biosicurezza, reintroducendo genetiche legate alle caratteristiche
territoriali, eliminando la chimica dall'alimentazione del pollame. No, il
sistema politico industriale, "liberista", piuttosto che mettere in
discussione il proprio operato ed i guadagni, passati e futuri, propone solo
di produrre un vaccino (che per altro non esiste ancora, ne c'è la capacità
industriale di produrlo in scala adeguata al pericolo incombente) e quindi
ci fa accettare l'"inevitabilità" della malattia come dato di fatto e
l'inevitabilità della morte di centinaia di migliaia di cittadini, se non
milioni come è successo nella pandemia del 1918! Ben si colloca in questo
filone di pensiero il piano messo in moto dal governo Blair che sta già
conducendo simulazioni di emergenza di una diffusione pandemica della
malattia («Operazione Mare Artico»), facendo stacciare il paese da
funzionari in cerca di siti adatti per sepolture di massa, sulla base di
timori ufficiali, secondo cui l'influenza dei polli potrebbe uccidere fino a
settecentomila cittadini britannici.
Ci resta ben poco spazio di interpretazione se non quello di inquadrare
questa logica in un atto di forza contro la nostra umanità; a ben vedere
l'H5N1 non è il virus più pericoloso in quest'epoca, ben peggiore è quello
del crimine che uccide i diritti del cittadino sacrificandoli all'interesse
economico e politico di un pugno di multinazionali leaders planetarie nella
produzione del cibo e nella sua distribuzione.
a cura di AltrAgricoltura Nord Est
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tratto da "Il Manifesto" - sabato 20 agosto 2005
EPIDEMIE
L'influenza con le ali
MIKE DAVIS
L'influenza aviaria ha spiccato il suo volo letale. Le prime oche a testa
barrata sono già arrivate nella zona dove sverneranno, vicino al fiume
Cauvery nello stato indiano meridionale di Karnataka. Nelle prossime dieci
settimane altri centomila volatili, fra oche, gabbiani e cormorani,
lasceranno la loro dimora estiva sul lago Qinghai nella Cina occidentale,
diretti verso l'India, il Bangladesh, Myanmar, e infine l'Australia. Un
numero ancora ignoto di questi stupendi uccelli migratori porterà con sé lo
H5N1, il sottotipo di influenza aviaria che ha già ucciso sessantuno persone
nell'Asia sudorientale e che, secondo i timori dell'Organizzazione mondiale
della sanità, sarebbe sul punto di trasformarsi in una forma pandemica
analoga a quella che ha ucciso fra cinquanta e cento milioni di persone
nell'autunno del 1918. Quando gli uccelli arriveranno nelle zone umide
dell'Asia sudorientale, attraverso i loro escrementi il virus passerà
nell'acqua, dove rischia di trasmettersi sia agli uccelli migratori
acquatici provenienti dall'Europa sia al pollame domestico. Nello scenario
peggiore, l'influenza aviaria giungerà fino alla soglia delle brulicanti
bidonville di Dhaka, Kolkata, Karachi, e Mumbai.
I primi episodi della malattia sono stati individuati sul lago Qinghai alla
fine di aprile da funzionari cinesi addetti al controllo faunistico.

Arriva dal cielo l'influenza assassina
Secondo l'Oms è inevitabile una diffusione globale della malattia. Misure
preventive drastiche nel Regno Unito, confusione negli Usa.
All'inizio i casi erano confinati a un piccolo isolotto sullo smisurato lago
salato, dove d'improvviso le oche hanno cominciato a muoversi
spasmodicamente, crollando poi a terra, morte. A metà maggio, però,
l'influenza si era già diffusa presso l'intera popolazione aviaria del lago,
e aveva ucciso migliaia di uccelli. Un ornitologo ha definito la situazione
come «il caso più grande e più estensivamente mortale di influenza mai
riscontrato fra gli uccelli selvatici». In luglio, Yi Guan, responsabile di
un ben noto team di ricercatori, all'opera fin dal 1997 contro la minaccia
di una pandemia dell'influenza dei polli, ha denunciato al quotidiano
britannico Guardian l'apatica reazione delle autorità cinesi di fronte alla
conflagrazione biologica senza precedenti che ha avuto luogo sul lago
Qinghai: «Praticamente non hanno preso nessuna misura per controllare
l'attacco della malattia, mentre avrebbero dovuto chiedere un sostegno
internazionale. Questi uccelli andranno in India e in Bangladesh e là
incontreranno uccelli provenienti dall'Europa».

Yi Guan ha lanciato un appello perché venga creata una task force
internazionale incaricata di seguire da vicino la pandemia aviaria, e al
tempo stesso perché si allentino le regole che impediscono il libero
movimento di scienziati stranieri nelle zone di contagio in Cina. E in una
relazione pubblicata sulla rivista scientifica britannica «Nature», Yi Guan
e i suoi collaboratori hanno anche rivelato che la varietà virale del lago
Qinghai sarebbe da ricollegarsi a recenti casi di H5N1, ufficialmente non
riportati, fra la popolazione aviaria della Cina meridionale. Non si
tratterebbe della prima volta che le autorità cinesi sono state accusate di
avere tenuto nascosto il focolaio di un'epidemia: in particolare, nel 2003
una coltre di bugie aveva coperto la natura e le dimensioni dell'epidemia
della Sars. Come nel caso di coloro che avevano lanciato l'allarme per la
Sars, oggi la burocrazia cinese sta cercando di mettere il bavaglio agli
studiosi dell'influenza dei polli, chiudendo uno dei laboratori di Yi Guan
all'università di Shantou e attribuendo nuovi poteri sulla ricerca al
ministero dell'agricoltura, assai conservatore.

Nel frattempo, mentre gli scienziati indiani effettuano ansiosi monitoraggi
dei santuari degli uccelli in tutto il subcontinente, l'H5N1 si è diffuso
fino alle porte di Lhasa, la capitale del Tibet, alla Mongolia occidentale
e, dato ancora più inquietante, ai polli e agli uccelli selvatici nei pressi
della più importante città siberiana, Novosibirsk.

Nonostante sforzi disperati per segregare il pollame locale, gli esperti del
ministero russo della sanità hanno espresso il loro pessimismo circa la
possibilità di contenere la diffusione della malattia sul lato asiatico
degli Urali. Ogni autunno gli uccelli selvatici siberiani migrano verso il
Mar Nero e l'Europa meridionale, mentre altre rotte li conducono dalla
Siberia verso l'Alaska e il Canada.

In attesa di questa prossima, forse inevitabile, tappa nel viaggio intorno
al mondo dell'influenza aviaria, vengono effettuati tracciamenti sulla
popolazione avicola di Mosca, mentre gli scienziati dell'Alaska studiano gli
uccelli migratori sullo stretto di Bering e perfino gli svizzeri si guardano
alle spalle, controllando le anatre morette e i moriglioni in arrivo
dall'Eurasia.

Anche l'epicentro umano dello H5N1 è in espansione: a metà luglio le
autorità indonesiane hanno confermato che un padre e le sue due giovanissime
figlie erano morti di influenza aviaria in un sobborgo benestante di
Djakarta. A rendere il caso più inquietante, non risulta che la famiglia
abbia avuto contatti diretti con pollame, e gli abitanti del quartiere hanno
attraversato una crisi di panico, quando la stampa ha ipotizzato la
possibilità di una trasmissione fra umani. Nello stesso periodo, è giunta la
notizia di cinque nuovi focolai fra il pollame in Tailandia, un dato che ha
inferto un durissimo colpo alla campagna diffusa e assai propagandata che il
governo aveva avviato per stroncare la malattia. Nel frattempo, mentre i
responsabili vietnamiti rinnovavano il loro appello per un aumento degli
aiuti internazionali, l'H5N1 reclamava nuove vittime nel paese che continua
a suscitare le preoccupazioni maggiori all'Organizzazione mondiale della
sanità.

La conclusione è che l'influenza aviaria è endemica, e con ogni probabilità
impossibile da sradicare, fra il pollame dell'Asia sudorientale, e che la
malattia sembra ora diffondersi a velocità pandemica presso gli uccelli
migratori, con la minaccia reale che giunga a toccare la maggior parte della
terra entro l'anno prossimo. Questa crescita esponenziale di «punti caldi» e
di «serbatoi silenziosi» (come nel caso delle anatre, infettate, ma
asintomatiche) è il motivo per cui il coro degli scienziati, dei
responsabili della salute pubblica e infine anche dei governi è diventato
così rumoroso e insistente negli ultimi mesi.

All'inizio di agosto il nuovo responsabile statunitense della sanità, Mike
Leavitt, ha dichiarato alla Associated Press che una pandemia influenzale
rappresenta adesso una «assoluta certezza», riecheggiando così ripetuti
allarmi dell'Oms, secondo cui si tratta di un evento «inevitabile».
Analogamente, «Science» ha rilevato che secondo gli esperti le probabilità
di una diffusione mondiale della malattia equivalgono al cento per cento.

Nella stessa ottica pessimista, la stampa britannica ha rivelato che il
paese viene setacciato da funzionari in cerca di siti adatti per sepolture
di massa, sulla base di timori ufficiali, secondo cui l'influenza dei polli
potrebbe uccidere fino a settecentomila cittadini britannici. Il governo
Blair sta già conducendo simulazioni di emergenza di una diffusione
pandemica della malattia («Operazione Mare Artico») e sembra che per
trattare la crisi dell'influenza aviaria sia già stato approntato «Cobra»,
un gruppo di lavoro a livello ministeriale che coordina la risposta del
governo a situazioni di emergenza nazionale, come le recenti bombe di
Londra, e che opera da una sede segreta a Whitehall.

A Washington si è ben lontani da questo atteggiamento britannico ereditato
da Churchill. Sebbene si respiri un'atmosfera di grave crisi nei National
Institutes of Health - dove il boss della pianificazione pandemica, Anthony
Fauci, mette in guardia contro «la madre di tutte le infezioni emergenti» -
la Casa Bianca sembra ancor meno preoccupata di fronte alle migrazioni della
malattia di quanto non lo sia nei confronti dell'ingiustificata carneficina
in Iraq.

Mentre il presidente stava preparando i bagagli per la sua lunga vacanza nel
Texas, il Trust for America's Health ha lanciato un allarme per segnalare
che negli Stati Uniti le misure per far fronte a una pandemia sono molto
indietro rispetto a quello che si sta facendo nel Regno Unito e in Canada, e
che l'amministrazione Usa non è riuscita a «mettere in piedi una strategia
coerente, rapida e trasparente verso la pandemia».

Il capo della maggioranza al Senato, il repubblicano Bill Frist, con il suo
atteggiamento sempre più indipendente, aveva già criticato l'amministrazione
in uno straordinario (e poco pubblicizzato) discorso tenuto ad Harvard
all'inizio di giugno. In riferimento all'incapacità di Washington di
immagazzinare scorte adeguate del farmaco antivirale più importante,
l'oseltamivir (o Tamiflu), Frist ha sarcasticamente notato che «per
acquisire quantità maggiori di agente antivirale, dovremmo metterci in coda
dietro la Gran Bretagna e la Francia e il Canada e altri, che hanno già
ordinato decine di milioni di dosi».

Anche il New York Times nel suo editoriale del 17 luglio, così come un
numero speciale di «Nature» a maggio e il numero di luglio/agosto di
«Foreign Affairs» hanno denunciato l'incapacità di Washington di
immagazzinare quantità sufficienti di antivirali - le scorte attuali coprono
l'un per cento della popolazione statunitense - e di modernizzare la
produzione del vaccino. Anche alcuni importanti esponenti democratici hanno
fatto sentire la loro voce, anche se nessuno in modo così aperto come Frist
a Harvard.

Il Department of Health and Human Services, in risposta, ha cercato di
placare le critiche aumentando fortemente i finanziamenti per la ricerca sul
vaccino e per le scorte antivirali. E all'inizio di agosto molto si è
parlato anche dell'annuncio di una serie di test riusciti per un vaccino
sperimentale contro l'influenza dei polli. Ma non ci sono garanzie che il
prototipo del vaccino, basato su una variante «retrogeneticamente costruita»
dell'H5N1, sarà davvero efficace contro una variante pandemica con diversi
geni e proteine. Inoltre, il successo del vaccino sperimentale si è basato
sulla somministrazione di due dosi più un richiamo. Dato che il governo
americano ha ordinato solo due milioni di dosi dal gigante farmaceutico
Sanofi Pasteur, la protezione può coprire solo 450mila persone. Come ha
detto un ricercatore a «Science», «questo è un vaccino per pochi fortunati».

Oltre tutto, la maggioranza del mondo - fra cui i paesi poveri del Sud
asiatico e dell'Africa dove, la storia ci insegna, le pandemie colpiscono in
modo particolarmente duro - non avrà accesso ai costosi antivirali o ai
pochi vaccini esistenti. E non è neanche certo che l'Oms avrà una quantità
minima di farmaci per far fronte a un attacco iniziale della malattia.

Recenti studi teorici di epidemiologi ad Atlanta e a Londra lasciano sperare
che la pandemia si potrebbe bloccare sul suo percorso se si potessero
utilizzare da uno a tre milioni di dosi di oseltamivir (Tamiflu) con cui
circoscrivere la diffusione della malattia in un raggio di sicurezza intorno
ai primi casi. Dopo anni di sforzi, però, l'Oms è riuscita solo a
immagazzinare circa 123mila cicli di Tamiflu. Sebbene Roche abbia promesso
di donarne altri, la disperata corsa dei paesi ricchi all'accaparramento di
Tamiflu ridurrà di certo le possibilità dell'Oms di aumentare le proprie
scorte. Quanto a un «vaccino mondiale» reperibile a livello globale, resta
una chimera se non ci saranno dai paesi ricchi, e in particolare dagli Usa,
nuovi impegni miliardari, e anche in questo caso, c'è il rischio che sia
troppo tardi.
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