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rassegna stampa: OLIO OGM, MCDONALD'S CHIUDE UNA CAUSA CON 8
- Subject: rassegna stampa: OLIO OGM, MCDONALD'S CHIUDE UNA CAUSA CON 8
- From: "Altragricoltura" <altragrico at italytrading.com>
- Date: Tue, 22 Feb 2005 11:30:24 +0100
Grande è lo sforzo di McDonald's per costruirsi l'immagine di azienda "politicamente corretta"; paga 8,5 milioni di dollari per chiudere una causa, una somma notevole che da il segno di quanto sia veramente grande la necessità di non scoperchiare la pentola delle sue cucine. a cura di AltrAgricoltura Nord Est -------------------------------------- tratto da Green Planet - 13/02/05 OLIO OGM, MCDONALD'S CHIUDE UNA CAUSA CON 8,5 MLN DI DOLLARI L'azienda si e' impegnata a donare 7 milioni di dollari all'Associazione americana di cardiologia e a spenderne altri 1,5 per una campagna di informazione. McDonald's ha accettato di stanziare 8,5 milioni di dollari, in beneficienza e per una campagna di sensibilizzazione, per chiudere una causa intentata da un avvocato del movimento per i diritti del consumatore. La multinazionale del fast food ha ammesso di avere mancato di informare adeguatamente la clientela sui programmi in corso per ridurre gli acidi grassi (Tfa) nell'olio transgenico impiegato per la cottura dei suoi prodotti e che causerebbe, secondo i dati della comunita scientifica, gravi danni alle arterie. "La McDonald's ha accettato di informare tutti i suoi clienti delle iniziative assunte per ridurre gli acidi grassi (Tfa) nei suoi olii", si legge in un comunicato. L'azienda si e' impegnata a donare 7 milioni di dollari all'Associazione americana di cardiologia e di spenderne altri 1,5 milioni per una campagna di informazione. L'avvocato Stephen Joseph, di San Francisco, si e' dichiarato soddisfatto della soluzione. I grassi transgenici sono utilizzati per dare fragranza a moltissimi cibi lavorati, come patatine fritte, costolette di pollo fritti e simili Repubblica, 12 febbraio 2005 ---------------------------------------- QUEL CHE McDONALD'S NASCONDE In Gran Bretagna, paese particolarmente colpito dal problema dell'obesità , Mc Donald's è il terzo inserzionista (per volume) su radio e tv (al quinto posto l'altra industria di fast food Kentuky Fried Chicken). In Francia, dove il numero di adulti obesi è raddoppiato in quindici anni, la popolazione dei bambini sovrappeso si è moltiplicata per cinque, mentre i minori insidiati da grave obesità si sono decuplicati. McDonald's acquista intere pagine dei principali giornali nazionali. Philippe Froguel e Catherine Smadja In Super Size Me, un film prodotto e diretto da Morgan Spurlock, si afferma che il consumo regolare delle porzioni giganti proposte da McDonald's è assolutamente nocivo alla salute fisica e mentale. Per rispondere a queste accuse, la società-faro del pasto rapido e semplice si è impegnata in una grande campagna mediatica: convincere l'opinione pubblica e i centri politici decisionali che la sua produzione alimentare non c'entra affatto con l'epidemia mondiale di malnutrizione - nel 2004 un miliardo di persone risultava sovrappeso, e 300 milioni erano obesi a fronte di 842 milioni di persone denutrite! (1) - ma anzi da tempo si adopera per combatterla. A forza di spot pubblicitari, l'impresa vanta le sue pseudo-iniziative volte «ad accompagnare i cambiamenti delle preoccupazioni alimentari dei francesi». Definizione eufemistica tipica dell'industria agro-alimentare che giunge a negare persino il termine «obesità». Sui manifesti pubblicitari e in un lungo inventario alla Prévert, McDonald's elenca in dettaglio le sue «innovazioni» dietetiche, a partire dal 1987. Fra queste, lo yogurth da bere, i frutti «da sgranocchiare» e , recentemente, le insalate definite «plus». Come se il consumo alimentare di frutta legumi e latticini fosse un elemento essenziale della cultura McDonald's. L'estate scorsa, in Gran Bretagna sono spuntati dei pannelli pubblicitari che pubblicizzavano il «podometro gratuito» (2), offerto in omaggio insieme al pasto Mac. Un bel gadget che non mette in causa la nocività dei prodotti venduti, ma in compenso fornisce loro, con poca spesa, un'immagine sportiva. La ditta degli hamburger dimentica che, malgrado queste lodevoli iniziative, il numero di obesi è aumentato in parallelo all'incremento del fatturato della ristorazione rapida. In breve, i fast-food non hanno sicuramente contribuito a migliorare la qualità nutrizionale della popolazione umana. Tutte le imprese che producono pasti e alimenti «convenienti», preconfezionati e facili da consumare, non fanno che rispondere con compiacenza interessata al desiderio di molti fra i nostri contemporanei di «guadagnare del tempo». Ma, contrariamente a quanto l'impresa vorrebbe fare credere, la componente essenziale del successo di McDonald's non sta negli yogurt gadget e nella varia frutta secca da sgranocchiare. Chi desidera mangiare uno yogurt o della frutta fresca non va ad acquistarli da McDo! Questi consumatori di alimenti che alcuni per dileggio hanno soprannominato «slow food» (e li perdoniamo quasi per aver utilizzato l'inglese) non interessano la ristorazione rapida... Infatti, essa fa i suoi affari con il menu «Best of Big Mac», che è il prodotto che l'impresa difende a ogni costo. La pubblicità recente di McDonald's tende dunque a «ribaltare i pregiudizi», secondo il titolo dell'inserto, dimostrando che in realtà il Big Mac non fa ingrassare: perché il menu «Best of», col suo contenuto nutrizionale di «appena» 987 calorie risponderebbe solo al 35/ 40% delle esigenze caloriche giornaliere dei francesi. Perché mai privarsi, dunque, di questo cibo? Ahimè, i dati forniti da McDonald's sono superati almeno da trent'anni. Sempre più sedentario, il consumatore occidentale brucia in media 1.800 calorie al giorno (in confronto alle 5.000 necessarie al cacciatore nomade della preistoria e alle 3.000 dell'agricoltore del XIX secolo.) Fra bibite alla soda, barrette di cereali e altre merendine «energetiche», il consumatore moderno ingurgita ogni giorno almeno 200 calorie di «junk food». Per mantenere l'equilibrio energetico, e quindi non ingrassare, dovrebbe assimilare durante i pasti le restanti 1.600 calorie. Il calcolo è elementare. Dopo aver mangiato a mezzogiorno un menu «Best of Big Mac» insieme alle patatine fritte, gli restano 600 calorie da suddividere fra la cena e la colazione. Quest'ultima, se si dà credito a un altro mito creato di sana pianta, senza alcun fondamento scientifico, dai mercanti di cereali (tipo Kellog's , Nestlé, ecc.), dovrebbe costituire, da sola, almeno un quarto della nostra razione calorica quotidiana, cioè più o meno quelle 600 calorie residue... Insomma, non mangiate, e soprattutto tenetevi alla larga dai piatti «alleggeriti» preconfezionati e publicizzati dagli stessi industriali dell'agroalimentare: sovente risultano più calorici, più ricchi di grassi e ben più salati di cibi analoghi, preparati a casa (3). Parimenti, dopo un happy meal (pasto felice) al McDonald's che corrisponde a 700 calorie, ovvero al 50% delle esigenze energetiche di un bambino di 5 anni, mettete a dieta il vostro piccolo, soprattutto se ha mangiato a colazione dei cereali particolarmente ricchi di zuccheri e grassi! Ma dunque che fare? Bisognerebbe vietare la pubblicità televisiva di questi prodotti, specie nelle fasce orarie dedicate all'infanzia? Sicuramente no! rispondono i produttori delle trasmissioni per i bambini, che vedrebbero in questo modo diminuire del 40% i loro introiti pubblicitari. A sostegno della loro politica, essi evidenziano i diversi fattori che possono essere causa dell'obesità infantile: fra questi l'assenza dei genitori durante i loro pasti, la mancanza di attività fisica (in parte dovuta al tempo trascorso incollati allo schermo televisivo) ed evidentemente l'importanza dei cibi precotti nell'alimentazione quotidiana. Per la British Diabetes Association, che spinge i poteri pubblici britannici ad agire energicamente in questo settore, invece, s'impone una regola o anche la proibizione totale degli inserti pubblicitari. Obbligati a rosicchiare. A supporto di questa tesi, si possono citare cifre eloquenti: sui 22 minuti di pubblicità rivolte ogni giorno ai giovani britannici, un quinto degli inserti riguarda cereali prezuccherati, dolciumi, patatine, bevande ricche di zuccheri e alimenti della ristorazione veloce. Mentre l'investimento pubblicitario per questi prodotti rappresenta il 59% del volume d'affari della telepubblicità nel settore dell'alimentazione, tale percentuale raggiunge il 77% durante le fasce orarie delle trasmissioni per l'infanzia. Se poi si aggiungono latticini e derivati, si raggiunge un picco pubblicitario del 78% per l'insieme dei programmi, e del 96% nelle trasmissioni per l'infanzia. (4) Pur non potendo provare la causalità diretta, si constata che i bambini che trascorrono molto tempo di fronte al piccolo schermo, risultano tra i principali consumatori di questo tipo di prodotti (5). Il dibattito rimane aperto e sarà senza dubbio uno dei problemi sul tappeto nella prossima revisione della regolamentazione televisiva europea. (6). Nel frattempo, se veramente McDonald's e le altre compagnie di fast-food vogliono agire in favore della salute pubblica, la smettano di nascondersi dietro le loro insalate alibi, che mirano ad attirare nuove categorie di consumatori (le donne attive) che rifiutavano i loro ristoranti, piuttosto che modificare nella sostanza il loro comportamento alimentare. Cambino piuttosto il cumulo calorico dei loro prodotti di punta: con un po' meno di maionese e di grasso nel panino, il menu «Big-Mac» potrebbe scendere sotto la barra delle 800 calorie, ossia 20% in meno, soprattutto se si provasse a sostituire le sacrosante patatine fritte con un'altra fecola non fritta. A meno, evidentemente, che le società di ristorazione veloce non abbiano delle buone ragioni per non cambiare. I nutrizionisti dell'agro-alimentare conoscono bene questa stupefacente realtà fisiologica. Se il cervello umano è in grado di valutare il tenore energetico dei cibi e quindi di regolare l'appetito in funzione di tale variabile essenziale, l'automatismo scompare una volta superata una determinata densità energetica (7). Anche se una megabarra a base di cioccolato, per esempio «Snickers», pesa solo 100 grammi, di fatto apporta una quantità di calorie superiori a quelle contenute in una bistecca di 400 grammi, guarnita di patate e broccoli... Ecco il punto: quando gli alimenti sono troppo ricchi di calorie, il cervello smarrito non riesce più a calcolare la quantità di cibo che il corpo deve ingerire per il suo fabbisogno. Questo continuo «rosicchiare» non viene, inoltre, considerato come il pasto che in effetti è. Stessa sottovalutazione vale per le bibite ricche di saccarosio o fruttosio, il cui contenuto calorico non può essere identificato dal cervello. Sarà per questo motivo che la maggior parte dei profitti del fast-food supera allegramente questo limite? In tal modo più i prodotti risultano calorici, meno inducono il senso di sazietà e dunque maggiormente incitano al consumo senza limite. Chi mai resisterà a un piccolo milk-shake in più che contiene «solo» 365 calorie? Costringere l'industria agro-alimentare a limitare il tenore energetico dei suoi prodotti è dunque un principio essenziale per tenere sotto controllo l'obesità. Dunque, facciamo una scommessa. Chi fra i liberali britannici, gli ultraliberali americani, o i dirigisti francesi, avrà per primo il coraggio di affrontare questi potenti gruppi economici? Si tratta di una partita indispensabile, anche se insufficiente da sola, per istituire e un vero programma a più livelli in grado di sconfiggere l'obesità. L'obesità non è una malattia in senso tecnico, derivante da un disordine biologico dell'individuo, ma piuttosto una risposta «normale» della persona nei confronti dell'ambiente patologico. La vita moderna comporta un eccesso energetico di circa 300 calorie al giorno. Di conseguenza, se non si modificano le condizioni in cui viviamo, l'aumento eccessivo di peso, con tutte le conseguenze che implica per la salute e la speranza di vita (8) resterà un fenomeno di massa ineluttabile. Le caratteristiche genetiche di ogni persona, tuttavia, intervengono, frenando o amplificando l'effetto del contesto ambientale. Succede che alcune persone hanno la fortuna di essere protette dal sovrappeso, mentre numerosi bambini sono ormai affetti da sintomi di obesità grave, a partire dai 5 anni. La comprensione delle origini biologiche dell'obesità, intesa come «malattia», deve procedere di pari passo al progetto di una società che sappia armonizzare attività fisica e apporto energetico. Una società che, però, sappia anche migliorare l'insieme delle condizioni di vita delle popolazioni sfavorite. Perché, attenzione, l'obesità colpisce innanzitutto i più poveri. Secondo uno studio pubblicato dal ministero degli affari sociali, l'obesità risulta dieci volte più diffusa tra i bambini il cui padre è un operaio non-qualificato (7,4%) rispetto ai figli di quadri dirigenti (0,7%) (9). Uno scarto che evidenzia modi di vita diversi (soprattutto per quando riguarda l'attività sportiva) e una diversificazione dei comportamenti alimentari. Ciò non significa, ovviamente, che i figli delle classi più agiate non ingrassino. Se si guarda non all'obesità ma al semplice soprappeso, il tasso è del 22,4 % presso i figli di operai, e 10,8% tra i figli di dirigenti. Tutti mangiano male, consumano barrette di cioccolata e bevande zuccherate, ma non tutti mangiano nello stesso modo a casa, non tutti hanno la stessa possibilità di praticare attività sportive, né lo stesso sguardo sull'obesità e le conseguenze che produce sulla salute. Queste disuguaglianze sociali si rilevano su scala mondiale. Se la lotta contro la fame rimane una priorità, l'Organizzazione mondiale della salute (Oms) è altresì preoccupata dalla crescita dell'obesità nei paesi «in via di sviluppo». L'inurbamento comporta spesso una modificazione dei comportamenti alimentari: piatti grassi e ricchi di zuccheri, venduti a poco prezzo e disponibili in città, sostituiscono, infatti, l'alimentazione tradizionale... Per esempio in Cina è stato dimostrato che il miglioramento del tenore di vita ha determinato una maggiorazione significativa del consumo di olio. Parimenti il consumo di prodotti ad alto tenore di materie grasse, è aumentato molto di più fra le popolazioni più povere (10). Le forme più acute di obesità hanno quindi sia origine biologiche che sociali. Soltanto ricerche approfondite permetteranno di prevenirle e di curarle in modo adeguato. A questo riguardo, la recente campagna McDonald's si rivela per lo meno inopportuna. -------------- note: * Rispettivamente direttore delle ricerche al Cnrs e amministratrice civile in servizio presso il ministero britannico della cultura, della comunicazione e dello sport. (1) Organizzazione mondiale della salute (Oms). www.who.int/dietphysicalactivity/pubblications/facts/obesity/en. (2) Si tratta di un apparecchio ultraleggero, che si porta alla cintura, e serve per contare i passi compiuti nel corso della giornata. Le autorità sanitarie britanniche raccomandano di effettuare da 10 a 12.000 passi al giorno. (3) Perché tanto sale? Forse per indurre la consumazione di bevande, specie acqua minerale e soda, venduta dagli stessi gruppi industriali? O allora per rendere più appetibile il gusto di alimenti mediocri con poca spesa? (4) Studio Nielsen per il rapporto realizzato da Ofcom, relativo alla normativa di media e telecomunicazioni britanniche. Childhood obesity : food advertising in context, Londra, 22 luglio 2004. (5) Ibid. (6) Sull'argomento si veda: François Brune: «De l'enfant-roi à l'enfant-proie», (Dal bambino re al bambino preda), in Le Monde diplomatique, settembre 2004. (7) Andrew Prentice et Susan Jebb «Fast Foods, energy density and obesity: a possible mechanistic link» Obesity Rewiews, Oxford, novembre 2003, vol. 4, N. 4. (8) Secondo i dati epidemiologici pubblicati dal Journal of the American Medical Association, Chicago, marzo 2004, l'obesità è diventata negli Stati uniti, insieme al tabacco, la causa principale della mortalità. (9) Da: Etudes et résultats, n. 283, gennaio 2004, Drees, Ministero degli affari sociali. Dati relativi all'anno scolastico 2000-2001. (10) Barry M. Popkin «The nutrition transition and obesity in the developing world» in Journal of Nutrition, Bethesda , 2001. (Traduzione di E. G.) </SPAN> Le Monde diplomatique /Il manifesto, dicembre 2004 ------------------------------------------
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