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R: [Fwd: sobrietà. Dallo spreco di pochi ai diritti per tutti]
- Subject: R: [Fwd: sobrietà. Dallo spreco di pochi ai diritti per tutti]
- From: "daniele" <danscapo at email.it>
- Date: Fri, 18 Feb 2005 00:33:29 +0100
il libro è così intenso e ricco di spunti che va studiato più che letto. Mi ha fatto venire in mente i lavori, in particolare uno "for the common good" di Daly e Cobb del 1989. Si tratta di un libro in cui si parte dalla teoria per poi passare a proposte pratiche. Il libro è stato tradotto anche in italiano, ma l'editore (red edizioni, mi pare) decise di non tradurre la parte delle "politiche per la comunità" che erano calate sul contesto statunitense. Proprio da quella parte vi riporto alcuni brani (la traduzione è mia, quindi sicuramente approssimativa): "L'obiettivo di produrre di più con meno occupati è stato raggiunto grazie alla sostituzione di lavoro con l'energia fossile. Se l'energia fosse abbondante e il lavoro scarso, questo obiettivo avrebbe un senso. Ma l'energia non è abbondante, e la realtà ci indica che siamo in presenza di un surplus di lavoro. Appare quindi più logico sostituire l'energia fossile con il lavoro. Questo non significa un ritorno ai lavori pesanti del passato. L'energia fossile utilizzata per sostituire quel tipo di lavori è stato uno dei grandi passi in avanti del secolo scorso. Ma molta energia fossile è stata invece usata per sostituire posti di lavoro interessanti con noiose linee di assemblaggio. Questo passaggio può essere capovolto. Le abilità manuali, artigianali, oggi relegate alla sfera degli hobbies, possono ampliarsi in vere e propri centri di produzione, mentre le produzioni di massa ad alta intensità di energia si dovrebbero ridurre. Il più alto costo dell'energia [ nella prospettiva indicata dall'autore di tassare l'uso di combustibili fossili] renderebbe questa sostituzione da energia a lavoro economicamente vincente. Questi cambiamenti probabilmente lascierebbero inalterata la quantità di beni prodotti e consumati. Una eventuale diminuizione di quest'ultimi è comunque possibile senza diminuire la qualità della vita. Quella qualità non dipende dalla quantità di beni ma dalla quantità e qualità dei servizi che tali beni forniscono. Meno beni meglio costruiti e a maggiore durata garantirebbero lo stesso livello di qualità di vita. I beni ben costruiti vale la pena ripararli. Se riduciamo la necessità di cambiare gli oggetti con le mode, molti beni possono esser fatti per durare molto a lungo. Il legittimo desiderio per la novità (non tutti possono voler indossare lo stesso paio di scarpe, ancorchè durevoli, per dieci anni) può essere soddisfatto con scambi nei mercati dell'usato o con scambi di vicinato. La quantità di rifiuti si ridurrebbe. Case più confortevoli potrebbero essere costruite per durare a lungo e richiedere meno energia per il riscaldamento e il raffrescamento. Ci potrebbero essere anche cambiamenti nell'organizzazione territoriale delle città che rimuoverebbero la necessità di tanti consumi attuali. Abitazioni vicine ai luoghi di lavoro, ai negozi, ai servizi, unitamente a servizi pubblici efficienti, ridurrebbero l'uso delle auto senza peggiorare la qualità della vita. [...] Se diminuisse il desiderio di consumo da parte degli individui e (quindi anche la produzione) l'industria diminuirebbe la domanda di lavoro. Questo aumenterebbe il tempo libero. Nel tempo libero le famiglie potrebbero produrre per se stesse. Il cucinare a casa [cosa evidentemente scomparsa negli usa] tornerebbe ad essere un'arte e una gioia. Nessuno di questi cambiamenti riduce la qualità della vita, ma tutti riducono la necessità dell'attività industriale e dei trasporti di beni. Essi riducono il consumo di risorse scarse compresa l'energia. Nel passato la crescita si è alimentata della crescita con piccoli guadagni nella qualità della vita: adesso la riduzione [la sobrietà? la decrescita?] può alimentarsi della riduzione con piccole perdite nella qualità della vita. Anzi noi crediamo che la qualità della vita migliorerebbe! [...] Forse questo scenario è troppo ottimistico. Forse ci sarebbero anche peggioramenti nella qualità della vita materiale. Anche se sarebbero comunque tollerabili: la maggioranza degli americani benestanti hanno molti più beni di quelli di cui necessitano per una vita confortevole e soddifacente. Ma se la gente non sceglie questa transizione che le può permettere di vivere in modo confortevole durante la transizione stessa, se la gente vuole lottare per mantenere il sistema di crescita di fronte all'esaurimento di quelle risorse che ha reso tale sistema possibile, se la gente vorrà aspettare fino a che saranno fisicamente obbligati a cambiare, allora sì che la qualità della vita peggiorerà drasticamente. Oggi [era il 1989] abbiamo ancora la possibilità di scegliere. La prossima generazione forse no." Nel libro ci sono poi interessanti suggerimenti per la regionalizzazione dei sistemi economici, per una economia di comunità...... Che facciamo Nicoletta partiamo da ogni tema toccato da gesualdi e lo svisceriamo o ci concentriamo sulle proposte operative? Forse anche le proposte operative non sono una novità assoluta. Io credo che più di tutto come dice Gesualdi abbiamo bisogno di esempi concreti, realizzati, buone pratiche da copiare da adattare, e forti di quelli sì che possiamo andare a fare proseliti.............. ciao daniele ----- Original Message ----- From: Nicoletta Landi <nicoletta at peacelink.org> To: <consumocritico at peacelink.it> Sent: Thursday, February 17, 2005 9:44 AM Subject: [Fwd: sobrietà. Dallo spreco di pochi ai diritti per tutti] > Inoltro anche in questa lista un messaggio dalla lista economia, sul nuovo > libro di Gesualdi. > L'ho finalmente finito ieri sera. > Ne parliamo? > Mi ha sollevato parecchi interrogativi e prima di parlarne con Gesuladi, > vorrei sgranchirmi un po' le idee in lista. > Qualcun altro l'ha letto o lo sta leggendo? > ciao nicoletta > > da peacelink.it > mercoledi 9 febbraio 2005 > > Si può passare da un' economia della crescita a un'economia del limite, > facendo vivere tutti in maniera sicura? L'autore dimostra che è possibile > mettendo in atto 4 rivoluzioni che riguardano stili di vita, tecnologia, > lavoro ed economia pubblica. > > "Sobrietà. Dallo spreco di pochi ai diritti per tutti" > > Francesco Gesualdi Centro nuovo modello di sviluppo Collana: Nuova Serie > Feltrinelli Pagine: 168 Prezzo: Euro 9 2005 > Francesco Gesualdi > > Nel tuo libro proponi una scelta apparentemente semplice e comunque > condivisibile, quella di uno stile di vita improntato alla sobrietà. Ci > puoi spiegare in breve la tua proposta? > > La sobrietà è uno stile di vita, personale e collettivo, più parsimonioso, > più pulito, più lento, più inserito nei cicli naturali. La sobrietà è più > un modo di essere che di avere. E' uno stile di vita che sa distinguere > tra i bisogni reali e quelli imposti. E' la capacità di dare alle esigenze > del corpo il giusto peso senza dimenticare quelle spirituali, affettive, > intellettuali, sociali. E' un modo di organizzare la società affinché sia > garantita a tutti la possibilità di soddisfare i bisogni fondamentali con > il minor dispendio di risorse e produzione di rifiuti. In ambito > personale, la sobrietà si può riassumere in dieci parole d'ordine: > pensare, consumare critico, rallentare, ridurre, condividere, recuperare, > riparare, riciclare, consumare locale, consumare prodotti di stagione. > Naturalmente non dobbiamo limitarci a rivedere i nostri consumi privati, > ma anche quelli collettivi perché anche fra questi ce ne sono di dannosi e > di superflui. Di sicuro dovremo eliminare gli armamenti, ma dovremo anche > sprecare meno energia per l'illuminazione delle città, dovremo > accontentarci di treni meno veloci e meno lussuosi, dovremo costruire meno > strade. Perfino in ambito sanitario dovremo diventare più sobri > affrontando la malattia non solo con la scienza, ma anche con una diversa > concezione della vita e della morte, in modo da evitare l'accanimento > terapeutico e l'eccessiva medicalizzazione di eventi naturali come la > vecchiaia. > > Rinunciare al superfluo, ma anche ragionare più analiticamente su tutto > ciò che compone la nostra quotidianità, per la gente può sembrare uno > sforzo straordinario. E' molto difficile cambiare gli stili di vita e le > abitudini... > > Dovremmo riflettere di più sui risvolti negativi del consumismo. Un > aspetto che non consideriamo mai è il tempo. Prima di tutto quello che > passiamo al lavoro per guadagnare i soldi necessari per i nostri acquisti. > Prendiamo come esempio l'automobile. Secondo un rapporto dell'Aci > pubblicato nel gennaio 2004, mediamente il possesso dell'auto costa 4.414 > euro all'anno. Qualcosa come 500 ore di lavoro secondo i salari medi. Se > ci aggiungiamo il tempo passato nel traffico, quello che serve per cercare > un parcheggio e per la manutenzione, l'automobile assorbe ogni anno un > migliaio di ore della nostra vita. Se facciamo lo stesso calcolo per tutti > gli altri beni ci accorgiamo che viviamo per consumare. Consideriamo che > di media ogni casa dispone di 10.000 oggetti, contro i 236 che erano in > uso presso gli indiani Navajos. Per ognuno di essi dobbiamo lavorare, > recarci al supermercato, sceglierlo, fare la coda alla cassa. Una volta a > casa, dobbiamo pulirli, spolverarli, sistemarli. Se consideriamo tutto, il > superconsumo è un lavoro forzato che ci succhia la vita. Un altro aspetto > da tenere presente sono i rifiuti. In Italia se ne producono circa 120 > milioni di tonnellate, di cui 90 industriali e 30 urbani. Ogni individuo > produce mezza tonnellata di rifiuti domestici all'anno e nove tonnellate > di gas serra. L'inquinamento atmosferico ha il difetto di essere > invisibile, mentre i rifiuti solidi li depositiamo per strada e li > dimentichiamo. Ma prima o poi ci presentano il conto. Il cambiamento del > clima è già una drammatica realtà. Potremmo continuare con le risorse. La > base biologica del pianeta, su cui poggia la nostra esistenza, si sta > assottigliando di giorno in giorno. L'acqua,le foreste, i pesci, i suoli > sono elementi già fortemente compromessi. Perfino le risorse minerarie > danno segni di scarsità. Primo fra tutti il petrolio per il cui controllo > siamo tornati a combattere guerre di tipo coloniale. > > Nella tua proposta un ruolo importante viene assegnato all'ambito della > produzione locale, con una inedita rivalutazione di lavori e professioni > di tipo artigianale, in grado di sopperire a eventuali cali occupazionali. > Ci puoi spiegare meglio questo aspetto? > > Apparentemente la sobrietà è solo una questione di stile di vita. In > realtà è una rivoluzione economica e sociale perché manda in frantumi il > principio su cui è costruito l'intero edificio capitalista. E' il > principio della crescita, invocato non solo dalle imprese, ma anche da chi > si batte per i diritti, in base al credo che senza crescita non può > esistere sicurezza sociale né piena occupazione. Fino ad oggi nessuno ha > osato mettere in discussione questo dogma e stiamo affogando nella nostra > opulenza iniqua e violenta. Ma se riuscissimo ad avere un'altra concezione > del lavoro, della ricchezza, della natura, della solidarietà collettiva, > ci renderemmo conto che è possibile costruire un'altra società capace di > coniugare sobrietà, piena occupazione e diritti fondamentali per tutti. In > questa prospettiva l'economia locale assume un ruolo centrale per tre > ragioni. La prima è di tipo energetico. Dobbiamo risparmiare carburante, > perciò dobbiamo avvicinare la produzione al consumo. Inoltre dobbiamo > sfruttare l'energia rinnovabile che per definizione è una risorsa diffusa > da sfruttare su base locale, addirittura individuale. Dovremo dire addio > alle megacentrali che producono energia elettrica per intere nazioni e > dovremo abituarci ad un pullulare di microcentrali che producono per le > singole famiglie o per le singole imprese. In altre parole dovremo > trasformarci da consumatori in prosumatori. Gente, cioè, che al tempo > stesso produce e consuma in un rapporto di scambio continuo con la rete, > di cui a volte si è fornitori, a volte fruitori. La seconda ragione è di > tipo ambientale. Un tempo, quando il pane era fatto col grano del luogo, > quando i pesci erano pescati nel fiume che attraversa la città, quando ci > si scaldava con la legna dei boschi circostanti, ci prendevamo cura dei > suoli, delle acque, dei boschi perché sapevamo che la nostra vita > dipendeva dalla loro integrità. Oggi, invece, che il nostro benessere si > fonda su oggetti comprati al supermercato e provenienti da chissà dove, > non ci preoccupiamo se i fiumi sono delle fogne, se i terreni si > impoveriscono o se scarseggia l'acqua per irrigare. Solo tornando ad avere > un rapporto intimo col nostro territorio capiremo quanto sia importante > prenderci cura di lui. Allora analizzeremo ogni collina per valutare se > può accogliere generatori a vento. Selezioneremo ogni rifiuto per evitare > la presenza di discariche disgustose. Cementificheremo il meno possibile > per rispettare i terreni agricoli. Ripuliremo ogni bosco per evitare > incendi e raccogliere meglio i suoi frutti. Doteremo ogni zona rurale di > servizi pubblici essenziali per trattenere la gente. Svilupperemo le > coltivazioni tradizionali e ogni possibile attività artigianale e > manifatturiera in base alle specificità del territorio. La terza ragione è > di tipo occupazionale. Oggi aspettiamo che siano le multinazionali ad > aprire delle fabbriche, che magari fanno funzionare con semilavorati > importati dall'altra parte del mondo, o ad avviare delle piantagioni, che > magari coltivano con semi geneticamente modificati. Ma le multinazionali > adottano la politica del mordi e fuggi: investono il meno possibile e si > fermano nello stesso posto finché ci sono risorse da saccheggiare e > manodopera da sfruttare. Poi se ne vanno, noncuranti dei disastri > ambientali e della disoccupazione che lasciano dietro di sé. L'alternativa > al caos disfattista delle multinazionali è il ritorno all'economia locale. > Le nostre regioni, con i loro boschi, i loro terreni, i loro laghi, i loro > fiumi, le loro pianure, le loro colline, i loro mari, le loro spiagge, i > loro pascoli, i loro saperi, conservano tesori nascosti che potrebbero > garantire > un'occupazione stabile a tantissima gente. Si tratta solo di valorizzarli > garantendo ovunque i servizi essenziali come la scuola, la sanità di base, > le comunicazioni, l'assistenza tecnica affinché la vita possa essere > dignitosa anche nei luoghi più remoti. E naturalmente si tratta di > garantire uno sbocco di mercato, sicuro, intramontabile. E' il mercato > locale sostenuto da una nuova consapevolezza dei consumatori e da adeguate > leggi e misure fiscali. > > Nel libro, accenni al ruolo importante che dovrebbe giocare lo stato. Una > sorta di nuovo welfare, incentrato sull'accudimento e l'aiuto svolto dalle > comunità locali per permettere il mantenimento di strutture di utilità > sociali quali ad esempio gli ospedali e le scuole. Ci puoi spiegare meglio > questo aspetto? Questa tua consapevolezza deriva forse dalle esperienze > attuate dalle banche del tempo, già presenti sul territorio nazionale e > non solo? > > Preferisco parlare di comunità, piuttosto che di stato. Lo stato è un > concetto di tipo mercantile. E' un corpo a se stante a cui si chiedono > servizi in cambio di tasse. Pur essendo di tutti, non te lo senti tuo, > perché il rapporto è mediato esclusivamente dal denaro. Invece dobbiamo > recuperare l'idea di comunità, un gruppo sociale di cui ci si sente parte > integrante, perché si hanno legami che vanno oltre il denaro. Sostengo > questa posizione non solo per una questione di democrazia e di > partecipazione, ma anche di efficienza. Oggi i bisogni sociali sono così > vasti che ci vorrebbe un esercito per soddisfarli. Per di più i governi > trovano mille pretesti per tagliare le spese sociali. Ed è uno scandalo. > Ma neanche l'economia più forte potrebbe raccogliere tasse sufficienti per > pagare gli stipendi a centinaia di migliaia di operatori. Meno ancora ne > potrebbe raccogliere un'economia che si ispira alla sobrietà. > L'alternativa è la partecipazione diretta ai servizi da parte dei > cittadini. La tassazione del tempo, invece della tassazione del reddito. > Del resto, in ambito sociale non ci vogliono sempre dei professionisti con > anni di studio sulle spalle. In molti casi basta la piccola solidarietà > diffusa a livello di quartiere. Nel caso degli anziani basterebbe che le > famiglie di ogni condominio si facessero carico delle due o tre coppie non > più autosufficienti. Che si organizzassero a turno per preparare i pasti, > per tenere le loro case in ordine, per fare la spesa, per aiutarli a farsi > il bagno. In una parola basterebbe riattivare la politica del buon > vicinato in uso nei caseggiati di una volta. Riattivarla e riconoscerla > come servizio sociale. Lo stesso riconoscimento che andrebbe dato al > lavoro svolto fra le mura di casa. I figli sono il fondamento del domani > ed è interesse di tutti che crescano sani, equilibrati e ben educati. Il > patto fra comunità e cittadini potrebbe essere semplice. Ogni adulto mette > a disposizione 10 giorni al mese, o quello che sarà, e in cambio si > aggiudica il diritto, per sé e i propri familiari, ad accedere, gratis, a > tutti i servizi pubblici. Non più ticket sulla sanità. Non più tasse di > iscrizione a scuola. Non più biglietti per gli autobus di città e per i > treni interregionali considerati trasporti essenziali. Ma un'economia > pubblica che si rispetti dovrebbe produrre anche energia elettrica, > dovrebbe gestire acquedotti e fogne, dovrebbe produrre alimenti di base, > dovrebbe produrre vestiario essenziale e molti altri prodotti di prima > necessità. Dunque il patto dovrebbe anche includere il pagamento, ad ogni > membro della comunità, di un assegno mensile per l'acquisto dei beni e > servizi essenziali acquistabili in quantità variabili. Una sorta di > reddito di esistenza, di reddito di cittadinanza garantito a tutti, abili > e inabili, uomini e donne, ricchi e poveri, dalla culla alla tomba. Con un > colpo solo risolveremmo anche il problema delle pensioni che oggi viene > fatto passare come la rovina della società. A prima vista, l'idea della > partecipazione diretta ai servizi pubblici può sembrare bizzarra, ma > pensandoci bene non è una grande novità. Un rapporto pubblicato dalle Acli > nel giugno 2003, ci rivela che il 50% degli italiani si impegna nel > volontariato. Chi per imboccare gli ammalati, chi per spegnere gli > incendi, chi per ripulire le spiagge, chi per raccogliere feriti, chi per > servire la minestra nella mensa dei poveri. E il volontariato cos'è, se > non un servizio gratuito messo a disposizione della collettività? > > Come intendi il rapporto tra piano globale e locale? > > Per regioni di sostenibilità, di partecipazione e di democrazia, sono > convinto che dobbiamo valorizzare il locale sul globale. Ma ciò non > significa opposizione a qualsiasi accordo planetario. Proprio chi ha a > cuore le sorti del pianeta insiste sulla necessità di un livello > decisionale mondiale. Il problema è per che cosa e da parte di chi. Il > sistema lavora in maniera autoritaria per un ordine mondiale al servizio > delle multinazionali e dei paesi forti. Noi vogliamo lavorare in maniera > democratica per un ordine mondiale al servizio dell'equità, dei diritti, > della pace, dei beni comuni. Il sistema stipula accordi per garantire > l'espansione degli affari. Noi vogliamo accordi per garantire un uso equo > delle risorse, per proteggere il clima, i mari, le foreste, per garantire > relazioni economiche rispettose dei diritti dei deboli. Se qualcuno pensa > di potere fare politica senza occuparsi del globale è sconfitto in > partenza. Ma si può fare politica globale proprio partendo dal locale. > Molti accordi stipulati in seno all'Organizzazione Mondiale del Commercio > (WTO) hanno una ricaduta capillare che condiziona anche le scelte delle > amministrazioni comunali e regionali. Basti pensare all'Accordo sui > servizi. Se questo accordo verrà perfezionato, diventerà obbligatorio > lasciare il libero ingresso alle multinazionali in servizi di utilità > pubblica come gli acquedotti, la sanità, la pubblica istruzione e financo > la viabilità. Ma c'è un modo per impedire a questo accordo di essere > attuato. La via si chiama disobbedienza civile. Se i comuni si > rifiutassero di procedere alle privatizzazioni si creerebbe una pressione > molto più efficace di qualsiasi manifestazione di piazza che obbligherebbe > il Governo e il Parlamento a riconsiderare il trattato sui servizi. Ecco > l'importanza di partecipare alla vita pubblica locale in tutti i modi > possibili: la presenza nei consigli comunali, le attività di > sensibilizzazione popolare, le campagne di pressione nei confronti > dell'Amministrazione. La parola d'ordine oggi deve essere azione > contemporanea a tutti i livelli nei confronti di tutti i poteri, con due > strategie: la resistenza e la desistenza. Frughiamo nella nostra fantasia > per non lasciare niente di intentato. > > Dal Capitolo 1, Squilibri scandalosi > > Una volta tanto svègliati dall'apatia e imponiti un sussulto di dignità. > Scrollati di dosso la scimmia dell'indifferenza. Liberati dalle frivolezze > della televisione. Vai oltre il provincialismo imposto dalla grande > stampa. Dai un calcio alla retorica del nazionalismo, del patriottismo, > del militarismo e altri rigurgiti fascisti. Torna a pensare con la tua > testa e guarda il mondo in faccia in tutta la sua realtà. Allora scoprirai > che l'umanità sta vivendo il più grave scandalo della sua storia. Mai ha > prodotto tanta ricchezza, mai ha creato tanta povertà. > > Poveri in casa dei ricchi > > Che viviamo in un mondo ricco, non abbiamo bisogno che ce lo raccontino. > Basta guardarci allo specchio, mettere la testa nei nostri guardaroba, nei > nostri frigoriferi, nei nostri garage, nelle nostre pattumiere. Se > facessimo attenzione al nostro stile di vita ci renderemmo conto di vivere > addirittura nell'opulenza e nello spreco. Ignoriamo, però, che è una > condizione di privilegio riservata a pochi. > La povertà sta entrando a passi da gigante anche nelle nostre società > opulente e non colpisce solo gli immigrati clandestini, ma i nostri stessi > connazionali. Le statistiche ci dicono che in Italia la povertà riguarda > quasi il 12% della popolazione per un totale di sette milioni di persone. > Ma la Cgil ritiene che siano molti di più perché, ci avverte, ci sono tre > milioni di lavoratori che guadagnano meno di ottocento euro al mese e > altri tre che ne guadagnano meno di mille. > Nella vecchia Europa dei quindici, i poveri sono 55 milioni pari al 14% > della popolazione, mentre negli Stati Uniti sono 49 milioni e nell'Europa > dell'Est addirittura 157 milioni. Sommati a quelli del Giappone e > dell'Australia fanno 283 milioni, pari al 23% della popolazione dei paesi > industrializzati. > > Per chi la vive, la povertà non ha bisogno di molti aggettivi. Ma chi la > studia ha bisogno di sezionarla, misurarla, classificarla. Per esempio, la > povertà che si incontra nella nostra parte di mondo è definita povertà > relativa per indicare che è il risultato di un confronto. Più > precisamente, si considera povero chiunque sia nell'impossibilità di > andare oltre il 50% dei consumi medi. Un caso è rappresentato dalle > famiglie di due persone con entrate inferiori agli ottocentosettanta euro > al mese. > La categoria dei poveri è molto vasta e comprende disoccupati, anziani con > pensioni insufficienti, bambini senza famiglia, malati psichici > abbandonati. Alcuni si trovano in condizione di povertà strisciante, > mentre altri fanno addirittura la fame. La Fao, l'agenzia delle Nazioni > unite per > l'agricoltura, ci ricorda che nel mondo opulento ben dieci milioni di > persone soffrono la fame. Camminando per le città, capita anche a noi di > vedere senzatetto che frugano nei bidoni della spazzatura in cerca di > avanzi di cucina. Ma al colmo del paradosso, la povertà si manifesta anche > con il volto dell'obesità, sintesi perfetta di quattro privazioni: la > mancanza di istruzione, la mancanza di senso critico, la mancanza di > dignità e la mancanza di denaro. L'obesità è emblema del consumismo a buon > mercato di chi può ingozzarsi solo di cibo spazzatura confezionato con le > peggiori porcherie salvacosti. [...] > > > > > -- > Mailing list Economia dell'associazione PeaceLink. > Per ISCRIZIONI/CANCELLAZIONI: http://www.peacelink.it/mailing_admin.html > Archivio messaggi: http://www.peacelink.it/webgate/economia/maillist.html > Si sottintende l'accettazione della Policy Generale: > http://www.peacelink.it/associazione/html/policy_generale.html > > > -- > Mailing list Consumo Critico dell'associazione PeaceLink. > Per CANCELLAZIONI: http://www.peacelink.it/mailing_admin.html > Se non riesci, scrivi a nicoletta at peacelink.org > inserendo "cancella" nel Soggetto. > Si sottintende l'accettazione della Policy Generale: > http://www.peacelink.it/associazione/html/policy_generale.html > -- Email.it, the professional e-mail, gratis per te: http://www.email.it/f Sponsor: Assicurazione auto Zuritel. Scopri il risparmio e molto di più per la tua polizza auto. Calcola online un preventivo gratuito e senza impegno, bastano pochi click. Prova ora! 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