CONAD - demonizzare la RSI o deminizzare l'impresa profit?]



-------- Original Message --------
Subject: Re: [res] demonizzare la RSI o deminizzare l'impresa profit?
Date: Sat, 12 Feb 2005 18:32:20 +0000
From: Nicoletta Landi <nicolettalandi at fastmail.fm>
To: lista RES <res at liste.retelilliput.org>
References: <41FFB3EC0000F73F at ms002msg.mail.fw>

Aumentiamo i controlli e i controllori (o certificatori) con i seguenti risultati:
- Deresponsabilizzazione degli individui;
- Crescente ignoranza e crescita della delega.
In sostanza tuttociò va contro la crescita della c.d. consapevolezza (direi
che va nella direzione contraria...).

Purtroppo mi sto facendo l'idea che la strada verso i controlli
obbligatori sia imprenscindibile. Non servira' alla consapevolezza ma
solo alla scrittura di una base sociale nuova.

Al social forum di Londra andai a tutti i convegni sulla RSI. MI stupii
di trovare grosse ONG che dopo aver lottato sui passaggi volontari e sul
boicottaggio, oramai puntavano dirette all'azione di lobby governativa.
IL resto delle azioni apparivano superate e inutili.
"Si deve arrivare alle leggi."
(Li guardavo esterrefatta pensando che era assurdo, date le lobby delle
imprese sulla comunita' europea, sul governo americano e sul governo
italiano, ma poi ho pensato "forse questi inglesi credono ancora nella
democrazia...")

Nella mia mente c'e' questo percorso-processo:
1) emerge un problema sociale (ad es. muoiono gli operai sul luogo di
lavoro)
2) si crea una pressione sociale-civile
3) c'e' un gap di tempo
4) arriva finalmente una LEGGE nazionale, internazionale, ecc con
relativi controlli (ad es. sugli standard salute e sicurezza)

... poi, si assiste ripetutamente alla frode continua della legge (ad
es. la 626), quindi nonostante sia legiferato cio' che e' giusto, la
consapevolezza nell'imprenditore e nell'operaio non e' molto cresciuta.

Ma cio' che su cui voglio concentrarmi e' il gap, il punto 3.
Tra la nascita di un disagio e la produzione di una "legge" vi sta un
periodo, tanto piu' intenso e rapido quanto piu' e' forte il disagio
della societa'. (Questo significa che la regolamentazione delle imprese
avverra' solo quando si muoveranno le masse del sud, noi stiamo troppo
bene per essere efficaci).

In quel gap, si puo' assistere a rivoluzioni, rivoluzioni non violente,
marce, azioni di classe, boicottaggi.
Poi possono esserci altri due processi, in realta' simili:
a) la proposta di un'alternativa (da parte dei deboli)
b) l'avvio di azioni volontarie (da parte dei forti).
Tali azioni non sono obbligate dalla legge. Sono un inizio. Essendo
volontarie, sono completamente discutibili.
Non sono una sociologa, pertanto forse la mia analisi fa acqua.

Ma ho l'idea che il processo di corporate accountability cresciuto negli
ultimi dieci anni, (c'e' un bellissimo documento scritto da Jem Bendell
ex ricercatore all UNIRSD su questo, "Barricades and boardrooms"
http://www.globalpolicy.org/ngos/advocacy/protest/general/2004/0607rooms.pdf)
ha aumentato il dibattito (e forse un po' di consapevolezza).
Quando l'ho letto ho pensato: parla di noi! :)

Da questo dibattito sono nati entrambi i processsi:
- la costruzione dell'alternativa, (ad es in italia res, il sito
decrescita, il percorso alla sobrieta' di Gesualdi).
- le iniziative volontarie, (ad es. i report di sostenibilita', le
certificazioni volontarie, il dialogo con gli stakeholder, sia sul piano
sociale che ambientale).

Per ora siamo fermi qui.

 >Ma forse questo è anche il momento storico in cui dobbiamo cominciare
a  >pensare e praticare un modo di fare impresa SENZA profitto
 >Non sarebbe il caso di partire da li  invece di lambiccarsi
inutilmente >con la speranza di poter riformare il  capitalismo in
termini "etici"?

Sto ancora leggendo "Sobrieta" di Francuccio che ho iniziato solo ieri.
Ricordo nitidamente come al corso a Vecchiano su "come ricominciare da
li'", il cammino appariva bello ma ancora molto molto confuso. Vedro' se
in questo libro ha costruito la strada.

Personalmente, mi sto sforzando di premiare anche le INIZIATIVE VOLONTARIE.

Sono stata tre mesi dentro COOP a studiare l'SA8000. E pensavo dentro di
me al seguente dubbio che a questo punto vi giro:

Pensa te che beffa sarebbe se:

un'impresa inizia a fare alcune iniziative per rivoluzionare la propria
economia, contro corrente, magari in perdita, magari sperando di avere
degli interessi prima o poi, premiata dai Consumatori critici.

E i Consumatori critici, gli unici che potrebbero veramente rendersene
conto, che fanno?
Alcuni dicono: "be', io preferisco il contadino locale, preferisco la
piccola cooperativa sotto casa, perche' tu sei grossa, perche' tu
comunque devi fare i soldi, perche' di te comunque non mi fido."

Dove sta dunque il reciproco impegno qualora qualcuno si immette sulle
iniziative volontarie? Se un'impresa cerca di cambiare, su chi puo'
veramente contare?

Diciamo che e' da tempo che vlevo discutere su questo in lista RES. Gia'
piu' volte Saroldi ha cercato di farmi entrare nella zucca il concetto
che impresa profit e' male per definizione (che ne e' dei perdenti nella
competizione, ecc). Ma io c'ho la zucca dura e vivo nel 2005. Riprovate,
magari questa volta entra  :).

Un saluto affettuoso
nicoletta