NOTAZIONI SUL D. L. n. 279/2004 CHE DISCIPLINA LA COESISTENZA TRA LE COLTIVAZIONI DI OGM CON QUELLE SENZA OGM



Proseguono le audizioni sul problema della coesistenza tra coltivazioni OGM
e NON OGM alla Camera dei Deputati. Vi segnaliamo il testo presentato
dall'Associazione Sementieri Mediterranei.
a cura di AltrAgricoltura Nord Est
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Roma, 9 dicembre 2004
Prot. n. 243/04 - EL/
NOTAZIONI SUL D. L. n. 279/2004 CHE DISCIPLINA LA COESISTENZA
TRA LE COLTIVAZIONI DI OGM CON QUELLE SENZA OGM

Audizione XIII Commissione Agricoltura della Camera dei Deputati
(Roma, 9 dicembre 2004  -  ore 15,45)

- Profili di incostituzionalità del decreto -

In via preliminare, si precisa di condividere la quasi totalità delle
osservazioni espresse dal Comitato per la legislazione, compresa quella sull
'assenza di una reale urgenza in grado di giustificare l'emanazione di un
decreto-legge su materia di tale natura.
In concreto, l'utilizzo del decreto-legge sembra derivare dalla necessità di
evitare la circolazione e la coltivazione immediata in Italia delle 17
varietà di mais transgenico che la Commissione Europea (l'8 settembre 2004)
ha dichiarato iscrivibili nel Registro comunitario delle varietà.
Questa motivazione, tuttavia, non è in linea con quanto disposto dall'art. 9
del d.lvo n. 212/2001 (di attuazione delle Direttive 98/95/CE e 98/96/CE)
che prevede la possibilità per il MiPAF di domandare alla Commissione
Europea l'autorizzazione a vietare l'impiego di varietà iscritte nel
catalogo comune delle varietà e specie, con riguardo non solo ai rischi per
la salute umana e l'ambiente, ma anche con riguardo alle eventuali
conseguenze sui sistemi agrari.
Ora non c'è dubbio che la coltivazione a pieno campo di varietà GM andrebbe
ad incidere pesantemente, se non irreversibilmente, sulle aree agricole
coltivate con varietà e specie convenzionali e biologiche, tenendo conto
della complessa e articolata orografia del territorio nazionale e della
frammentazione molto estesa della proprietà agraria.
Questo solo fatto, per non parlare d'altro e prescindendo dal principio di
precauzione, dalla clausola di salvaguardia e dal protocollo di Cartagena,
permetterebbe al MiPAF di impedire la circolazione e la coltivazione in
Italia delle citate varietà di mais transgenico.
Ad ogni buon conto, il decreto-legge non si limita a disciplinare la
coltivazione delle richiamate varietà di mais transgenico, ma  intende
regolare la coesistenza di ogni forma di agricoltura transgenica con quella
non transgenica, anche, quindi, la coesistenza della coltivazione di tutte
le sementi GM con la coltivazione di quelle non GM.
Se così è, non si comprende dove sia l'urgenza e la straordinaria necessità
di legiferare con lo strumento del decreto-legge.
Non si comprende, cioè, anche volendo ammettere per fondata la tesi del
Governo sulla straordinaria necessità ed urgenza del provvedimento, come
possa dirsi urgente regolare la coesistenza della coltivazione del grano GM
o del riso GM o della patata o della barbabietola o del pomodoro GM, o di
altri prodotti GM, con la coltivazione di prodotti non GM.
Peraltro, bisogna far rilevare che la materia trattata nel decreto-legge non
riguarda solo l'ambiente, ma anche, indirettamente, i sistemi agrari, per
regolare i quali sono senz'altro competenti le Regioni, sicchè potremmo
trovarci di fronte non a competenze esclusive o concorrenti, ma addirittura
a competenze confliggenti, tali, comunque, da impedire al Governo l'utilizzo
del decreto legge per esercitarle.
Né l'articolo 2, del d.lvo n. 224/2003, di attuazione della direttiva
2001/18/CE, può essere letto come se escludesse la competenza delle Regioni
in materia di regolamentazione dei sistemi agrari, in quanto si finirebbe
per riservare esclusivamente allo Stato l'attuazione delle direttive
comunitarie in materia di OGM, la quale, invece, investendo ambiente, salute
e agricoltura, acquista una dimensione trasversale in cui va necessariamente
riconosciuto uno spazio d'intervento preponderante alle Regioni, ex art.
117, commi 1 e 5, Cost., che non può essere coperto esclusivamente dal
Governo con lo strumento del decreto-legge.
Aggiungasi che trattandosi di materia in cui debbono essere fissati criteri
e principi, ovvero norme quadro sulla citata coesistenza, da attuarsi con
interventi normativi successivi, questi possono concretarsi solo ai sensi
dell'art. 76 della Costituzione, ossia con legge ordinaria di delega.
L'art. 15, comma 1, lett. a), della legge n. 400 del 1988, vieta la
possibilità di conferire deleghe legislative mediante decreto legge, anziché
con lo strumento della legge.
La stessa Corte Costituzionale, nella sentenza n. 63 del 1998, ha
espressamente affermato che "l'atto di conferimento al Governo di delega
legislativa può avvenire solo con legge".
Supponendo, peraltro, ammissibile, per pura ipotesi, l'autodelega, essa
dimostra ancor di più, se ce ne fosse bisogno, l'assenza degli straordinari
motivi di necessità ed urgenza (di cui all'art. 77 della Costituzione),
assenza che rende illegittimo il provvedimento, essendo demandata ad atti
successivi l'individuazione dei criteri, dei principi e delle norme quadro
sulla coesistenza e, comunque, l'attuazione del decreto-legge.
Ma volendo ammettere che il decreto in parola si limita a prevedere, per la
sua attuazione, l'adozione di regolamenti amministrativi successivi o a
condizionare l'efficacia delle sue disposizioni all'emanazione di tali
regolamenti, anche in questo caso si pone in evidenza l'inesistenza della
conclamata urgenza e, dunque, l'illegittimità del provvedimento (cfr.
Paladin "In tema di decreti-legge" "Riv. trim. dir. pubb.", 1958, 551, nota
57; Cons Stato, Ad. Gen., parere 11 aprile 1996, in "Giur. Cost". 1996,
2077).
Risulta, poi, ancora violato, prima facie, il presupposto dei decreti-legge
(consistente nella citata urgenza di provvedere per fronteggiare situazioni
di straordinaria necessità), giacchè l'operatività delle prescrizioni
dettate con il decreto-legge in esame è condizionata all'adozione di un
Piano che le Regioni debbono adottare addirittura entro il 31.12.2005.
Peraltro, nelle premesse del decreto-legge è stato omesso ogni riferimento
espresso all'agricoltura che avrebbe di per sé escluso ogni intervento
legislativo statale.
Analogamente è stato escluso ogni riferimento all'agricoltura in chiave
comunitaria giacchè in tale prospettiva l'intervento dello Stato risulta
ammissibile soltanto quale intervento sostitutivo e, quindi, soltanto in
presenza di una situazione d'inerzia delle Regioni (art. 117, 5° c., Cost.).
In concreto, a tutto voler concedere, la disciplina del decreto-legge incide
su materie "trasversali" in cui confluiscono competenze statali, regionali e
concorrenti.
Lo Stato, con un atto unilaterale, non può appropriarsi della materia
"trasversale", anche se poi, nell'attribuirla alla competenza del Ministro,
l'esercizio di tale competenza viene condizionato all'intesa con la
conferenza Stato-Regioni, che consentirebbe a ciascuna Regione di esercitare
un potere interdittivo.
Da ultimo bisogna far rilevare che affidare ad un ibrido regolamento
ministeriale (delibera del Ministro subordinata all'intesa della Conferenza
Stato-Regioni) la predisposizione di norme-quadro è, in chiave regionale,
inammissibile.
L'ipotesi andrebbe configurata come delega parziale di potere regolamentare
alle Regioni.
Ma tale ipotesi è impraticabile, sia perché il potere regolamentare, fuori
dalle materie di competenza statale (e nel caso di specie la materia è,
quantomeno, "trasversale"), spetta, ex art. 117, 6° c., Cost., unicamente
alle Regioni, sia perché, ove la materia fosse esclusivamente statale, la
disposizione, dettata dall'art. 3 del decreto-legge, più che una delega
attua un nuovo riparto del potere normativo regolamentare, giacchè viene
assegnata alle Regioni la sfera integrativa-attuativa, mentre al regolamento
ministeriale la determinazione dei principi.
Ma non può parlarsi di delega in presenza di delega obbligatoria.


-	Contenuti del decreto. Rilievi -

Sul contenuto  del decreto, si rileva che non appare esatto quanto
specificato dall'art. 1, per il quale:
"Il presente decreto (è) in attuazione della Raccomandazione della Commissio
ne 2003/556/CE del 23 luglio 2003".
Si attua solo ciò che è vincolante, non ciò che è facoltativo. Il punto 1.5
della Raccomandazione, infatti, chiarisce: "I presenti orientamenti, sotto
forma di raccomandazioni non vincolanti rivolte agli Stati membri…"
In proposito, aggiungasi che il punto 2.1.2, della medesima Raccomandazione,
se attuata, prevede non l'assenza di contaminazione delle aree non OGM, ma
una contaminazione di queste aree.
Recita il citato punto 2.1.2.
"Le misure di gestione relative alla coesistenza dovranno rispecchiare i
migliori risultati scientifici disponibili sulla probabilità e sulle fonti
di commistione tra colture transgeniche e non transgeniche. E' opportuno
permettere entrambi i tipi di coltura, garantendo, tuttavia, che i prodotti
ottenuti da colture non geneticamente  modificate contengano un tenore di
OGM inferiore alle soglie legali previste per l'etichettatura e le norme di
purezza applicabili ai prodotti alimentari, ai mangimi e alle sementi
geneticamente modificati, quali definiti nella normativa comunitaria".
Al presente, per le sementi, ad esempio, di mais, la tolleranza di OGM è
zero, mentre per gli alimenti e i mangimi tale tolleranza è dello 0,5%.
Da tutto ciò deriva che anche per la Raccomandazione la contaminazione da
OGM, pur minima, è certa in presenza di coesistenza delle coltivazioni GM e
non GM.
Ma, allora, cosa ne sarà delle sementi a tolleranza zero? Anch'esse saranno
contaminate.
Aggiungasi che per tutte le sementi, e non solo per quelle di mais e soia,
la stessa Commissione CE ha chiarito, con decisione del 2 settembre 2003
(GUCE L. 230/34, del 16/09/2003), al punto 55, "la direttiva 2001/18/CE non
prevede alcun valore soglia (de minimis) in relazione alla presenza
accidentale o tecnicamente inevitabile di OGM non autorizzati nelle sementi.
Di conseguenza gli Stati membri non hanno il potere di determinare le
quantità di OGM considerate pericolose, né - quindi- di stabilire tali
soglie".
Si supponga, ciononostante, che la contaminazione di queste sementi arrivi
al citato 0,5%.
Se così fosse, si ricorda che un inquinamento dello 0,5% per il mais
significa la presenza di 5 semi GM ogni 1000 semi GM-free (ossia privi di
OGM).
Un ettaro di mais comporta l'utilizzo di 75.000 semi circa. Con tale
tolleranza si renderebbero attivi 375 semi GM ad ettaro.
Gli ettari coltivati attualmente a mais in Italia (quasi tutti nel nord)
sono circa 1.400.000. Moltiplicando 1.400.000 per 375 si liberano sul
territorio 500.000.000 circa di semi GM.
Ogni seme a sua volta produce una pannocchia (a volte due) che contiene, in
media, 700/900 semi di mais.
Ulteriori considerazioni appaiono superflue.
Continua l'art. 1
"il presente decreto……. definisce il quadro normativo minimo per la
coesistenza tra le colture transgeniche, escluse quelle per fini di ricerca
e sperimentazione, nonché quelle convenzionali e biologiche, al fine di
garantire la libertà di iniziativa economica e il diritto di scelta dei
consumatori"
In proposito si osserva:
a)	il quadro normativo minimo sulla coesistenza non esiste, perché esso è
demandato, dall'art. 3, al Ministro per le Politiche Agricole e Forestali;
b)	il decreto-legge, motivato dalla necessità di impedire la coltivazione
immediata delle 17 varietà di mais transgenico riconosciute iscrivibili nel
registro comunitario delle varietà, in realtà riguarda, come già rilevato,
tutte le sementi e non solo quelle di mais;
c)	il decreto-legge, non regolando la sperimentazione, di questa
riconosce,
implicitamente, il valore autonomo e fondamentale, per verificare:
-	la valutazione dell'impatto ambientale, economico ed agronomico,
conseguente all'introduzione delle coltivazioni transgeniche ;
-	la messa a punto e l'adozione di specifiche tecniche e misure volte a
valutare tale coesistenza;
-	la possibilità di isolare sistemi di coltivazione di prodotti GM senza
inquinare quelli non GM.
Se così è (e non potrebbe essere diversamente), queste attività debbono
necessariamente precedere l'introduzione della citata coesistenza, non
seguirla, come avverrebbe se si approvassero subito, addirittura con
decreto-legge, le regole della richiamata coesistenza.
Peraltro, manca nel decreto-legge, un espresso riferimento (tra i principi,
i criteri e le norme quadro da seguire) alla verifica più importante,
preliminare ad ogni diversa verifica: quella sulla irreversibilità dell'
inquinamento dell'ambiente e dell'agricoltura una volta introdotti gli OGM,
perché, se accertata, renderebbe inutile ogni accorgimento produttivo e
superfluo ogni provvedimento ulteriore, compresa la normativa sull'
etichettatura  dei prodotti da avviare al consumo.
In sostanza, proprio il consumatore, del quale l'articolo 1 in questione
dichiara di voler tutelare la libertà di scelta, verrebbe privato di tale
libertà, stante l'inquinamento irreversibile con OGM di ogni prodotto
vegetale destinato al consumo;

d)	di fronte alle mancate verifiche preliminari descritte
sull'inquinamento
irreversibile del territorio indotto dagli OGM, viene meno anche la libertà
di iniziativa economica che l'art. 1 in parola dichiara di voler tutelare.
Perché la libertà di iniziativa economica non appartiene solo a chi vuol
coltivare gli OGM, ma anche a coloro che vogliono continuare a coltivare il
prodotto convenzionale e biologico.
Peraltro, questa sperimentazione non può essere fatta a cielo aperto là dove
rischia di provocare un inquinamento irreversibile dell'ambiente, ma solo
nei Paesi con orografia simile alla nostra che hanno già introdotto a pieno
campo la coltivazione degli OGM.
Ad ogni buon conto, considerando le esperienze di altri Paesi si fa notare
che questa coesistenza è fallita.
Intervistato da Elio Cadelo (RAI Gr2, ore 7:30, del 13 giugno 2002), il
signor Bill Christianson, Presidente dell'Unione degli agricoltori degli
Stati Uniti, ha dichiarato: "I prodotti geneticamente modificati non
contribuiscono ad aumentare la produttività, e tutte le caratteristiche che
vengono pubblicizzate dalle varie multinazionali in realtà non sono vere, in
quanto i prodotti geneticamente modificati non aiutano ad aumentare le rese.
Né sarà possibile avere coltivazioni GM free accanto a coltivazioni di
prodotti geneticamente modificati perché questo è assolutamente impossibile,
o l'uno o l'altro".
Cosa, in sostanza, si vuol dire con ciò, che le esperienze altrui valgono
soprattutto quando chi le riferisce le ha vissute direttamente per anni.
Ad esempio, per rimanere negli stessi Stati Uniti, il mais è ormai inquinato
da OGM per il 98% (ved. "Agrisole"del 30 maggio 2003, n. 21, p. 3).
Per concludere, se la coesistenza la si vuole davvero, i suoi effetti vanno
verificati prima nei Paesi in cui la stessa è applicata.
Se, invece, risulta alibi per introdurre definitivamente gli OGM nel
territorio, allora essa va decisamente respinta.
In merito, poi, all'art. 5 e alla responsabilità di chi non rispetta le
misure sulla coesistenza, si osserva che proprio il dettato di tale articolo
evidenzia l'impossibilità di introdurre sul territorio questa coesistenza.
Se, infatti, il favorevole alla coltivazione degli OGM intende inquinare le
aree senza OGM non ha che da infrangere le regole, il resto lo farà l'
irreversibilità dell'inquinamento provocato.
Né la sanzione da sopportare (v. art. 6) è tale da intimorire i mal
pensanti.
Ma tutto ciò, dal punto di vista del sementiero, è drammatico perché il
diffuso, strisciante e costante inquinamento di tutte le aree, che si attiva
con la coesistenza, renderà impossibile, nel tempo, la produzione diretta, o
tramite contratti di moltiplicazione, di semente convenzionale o biologica
non inquinata dagli OGM, costringendo il medesimo sementiero a produrre all'
estero la semente non inquinata. Ma quanti sono i sementieri in grado di
fare ciò?
In pratica si consegna l'industria sementiera nazionale, dalle tradizioni
gloriose, nelle mani degli stranieri.
Anzi diverrà impossibile continuare in Italia la stessa ricerca sul seme
convenzionale e sulla creazione di nuove varietà.
Non è sicuramente ciò che è stato domandato dai sementieri al MiPAF quando
hanno presentato, 2 anni fa, il Piano Sementiero Nazionale.
Premessa ineludibile dell'attuazione dello stesso Piano era proprio la
richiesta di poter operare su di un territorio OGM free, senza del quale
ogni Piano rimarrebbe impraticabile.
Ma tale articolo 5 contiene anche una disposizione sulle ditte sementiere
che lascia stupiti.
Dovrebbe, infatti, essere la ditta sementiera a prestare garanzia che le
sementi certificate sono prive di OGM.
Ora, considerando quanto rilevato sopra, non si comprende come ciò possa
avvenire.
Ma anche volendo ammettere possibile produrre seme certificato non
inquinato, non è certamente il sementiero che può garantire questo, non
possedendo le strutture e gli strumenti per farlo.
Dato che si sta parlando di semente certificata da un ente controllato dallo
Stato, l'ENSE, dovrebbe essere il medesimo ente a compiere tali verifiche,
tanto più che già ora esso controlla, per lo Stato, la presenza o l'assenza
di OGM nei lotti di sementi che certifica.
Aggiungasi che è stato dimenticato, sul punto, anche il dettato dell'art. 7
del d.lvo n. 212/2001, per il quale "… sui cartellini o etichette e su ogni
documento che accompagna i prodotti sementieri, l'indicazione relativa alla
presenza di varietà geneticamente modificate può essere omessa
esclusivamente nel caso in cui il prodotto risulti all'analisi totalmente
esente da varietà geneticamente modificate…" .
Siccome, a tutt'oggi, non possono circolare sementi GM, non si comprende
come il sementiero sia chiamato a dichiarare l'assenza degli OGM nelle
stesse sementi.
Evidentemente manca un coordinamento del decreto con tutta la legislazione
comunitaria e nazionale sulla produzione di sementi, comprese quelle GM,
tutt'ora in vigore, che, tra l'altro, esige il rispetto di provvedimenti
complessi delle autorità nazionali competenti prima di poter coltivare semi
GM e questo nonostante l'iscrizione di tali varietà nel registro comunitario
delle varietà (ved., tra gli altri, d.lvo 212/01, d.p.r. 322/01, d.lvo
224/03, Reg. CE n. 1829/03, art. 6).

- Considerazioni finali nel merito -

L'Asseme ha seguito con sgomento il  progressivo avvicinamento del Governo
alle posizioni di chi da sempre ha cercato e cerca di introdurre in Italia
la coltivazione degli OGM e non solo quella di mais e di soia transgenici.
Ora dopo più di 4 anni di dibattito sull'argomento non si è ancora riusciti
a comprendere quali siano i vantaggi reali di simili coltivazioni per l'
agricoltura nazionale e per gli agricoltori.
Non ci sono ritorni economici, perché, quand'anche questi ritorni si
riuscissero a dimostrare, essi si perdono totalmente nel momento in cui, per
ogni modificazione genetica introdotta nel vegetale utilizzato, l'
agricoltore dovrà, comunque, pagare direttamente o indirettamente il costo
di non meno di 7 (sette!) brevetti, senza considerare i costi che dovrà
sopportare chi vorrà difendersi dagli OGM.
Non ci sono risparmi sui diserbanti da utilizzare, perché nel tempo il loro
consumo invece di diminuire aumenta per la necessità di eliminare le erbe
infestanti GM che si riproducono tra i vegetali GM seminati, come dimostrano
le esperienze recenti degli Stati Uniti e dell'Argentina (ved. "Salvagente"
dell' 11.XII.2003 e "New Scientist" del 17.4.2004)
Non è garantita la conservazione della biodiversità, perché questa
biodiversità crolla radicalmente, come avvenuto nelle aree in cui gli OGM
sono coltivati a pieno campo.
D'altro canto l'offerta di un'unica (o poche varietà) di seme rappresenta un
rischio molto elevato; basta una improvvisa virosi, basta un grave e
inaspettato effetto derivante dall'utilizzo degli OGM per procurare
turbative pesantissime non solo sul mercato nazionale, ma anche su quello
mondiale, come dimostra la presenza di erbe infestanti GM cresciute tra i
vegetali GM.
Neppure è assicurato l'aumento della produzione, perché come abbiamo visto,
gli agricoltori statunitensi, hanno reiteratamente dichiarato che questo
aumento della produzione non esiste.
In sostanza, sembra che la modificazione genetica non serva tanto a
migliorare le capacità produttive del seme, quanto a stabilire un controllo
economico sempre più forte sulla coltura.
Introdotti gli OGM a pieno campo le aree destinate agli OGM non potranno
più, anche volendo, essere destinate alla coltivazione di vegetali
convenzionali e biologici.
Né sarà più possibile preservare le aree destinate al convenzionale o al
biologico dall'inquinamento di OGM, perché là dove la coesistenza è stata
attuata essa è fallita, come chiarito in precedenza, compresa la Spagna dove
si sono osservati inquinamenti di mais convenzionale fino alla distanza di
alcuni chilometri (vedasi atti del Convegno di Lubiana, ottobre 2004 e il
documento della Commissione per la Cooperazione Ambientale dell'America del
Nord del 31 agosto 2004, dal titolo: "Mais GM in Messico: no del NAFTA",
sito CDG/NEWS).
Non è  possibile, peraltro, sollecitare ed ottenere l'intervento delle
Assicurazioni, per garantirsi dagli inquinamenti accidentali da OGM, perché,
in tutti i Paesi, le stesse si sono sempre rifiutate di prestare tali
garanzie.
Né, in merito, il futuro appare roseo.
Il 21 maggio 2004 la Corte Suprema del Canada ha stabilito, con sentenza,
che i diritti di brevetto su un gene si estendono all'organismo vivente in
cui tale gene viene ritrovato e che, di conseguenza, tali diritti si possono
esercitare sul vegetale anche in presenza di inquinamenti accidentali.
La decisione è aberrante. Basterà al proprietario di brevetti inquinare
"accidentalmente" i campi non OGM per avere "diritti" su tutto il territorio
nazionale.
Questa la nostra prospettiva, a fronte di quali vantaggi?
A fronte del nulla !  Anzi a fronte di fallimenti sicuri e irreversibili,
stante la potenza economica degli attuali "spacciatori" di OGM
extracomunitari.
Né sarà possibile, ove si volesse accollare il risarcimento del danno ai
coltivatori di OGM limitrofi ai campi inquinati, individuare con certezza il
colpevole.
Si tenga ancora conto dello stravolgimento del mercato fondiario, non più in
grado di garantire la persistenza di aree protette dagli OGM.
La stessa prelazione del confinante verrebbe, di fatto, riservata al solo
coltivatore di OGM, perché chi coltiva OGM può acquistare campi senza OGM,
ma chi coltiva campi senza OGM, non potrà, né vorrà, acquistare campi con
OGM. Sicchè, alla lunga, gradualmente, tutto il territorio diventerà GM. Per
non parlare del ridimensionamento dei valori fondiari. Se, per ipotesi, il
prezzo dei terreni con OGM dovesse cedere, sarà inevitabile una tendenza dei
loro proprietari ad inquinare i terreni senza OGM con gli OGM, per cercare
di riequilibrare il mercato.
In simili materie solo certezze scientifiche consolidate possono aprire la
strada a scelte sicure, definitive e irreversibili.
Deriva da ciò che nessuna coesistenza tra coltivazioni OGM e non OGM può
essere introdotta sul territorio nazionale, tenendo conto che l'inquinamento
con OGM di tutte le aree agricole è assolutamente certo, così come
dimostrato nei territori in cui essa è stata attuata.
Tanto premesso, l'Asseme invita il Parlamento a far decadere il
decreto-legge n. 279/04,
-	sia perché, di fatto, introduce un inquinamento irreversibile con
gli OGM
di tutto il territorio italiano;
-	sia perché la coltivazione degli OGM è totalmente contraria agli
interessi
nazionali;
-	sia perché, in merito, è politicamente e moralmente doveroso e corretto
interpellare, prima di decidere, i cittadini, così come a suo tempo si fece
per l'energia nucleare, tenendo conto che non ci si trova di fronte a leggi
a contenuto comunitariamente vincolato (sentt. n. 31, 41 e 45 del 2000 Corte
Cost.) perché sono proprio norme comunitarie (art. 9 e 10° "considerando"
della Direttiva 2001/18/CE) a prevedere la possibilità, per lo Stato membro,
di scegliere le modalità di consultazione del pubblico sul punto, non
escluso, evidentemente, il referendum che, peraltro, non sarebbe abrogativo,
ma semplicemente consultivo;
-	sia perché si priverebbero i sementieri e i coltivatori del
convenzionale
e del biologico della libertà di praticare le coltivazioni degli stessi;
-	sia perché non si è in presenza della straordinaria necessità ed
urgenza,
richieste dall'art. 77 della Costituzione, tanto che il D. L. approvato dal
Consiglio dei Ministri l'11 novembre 2004, è stato pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale il 29 novembre 2004 ed è entrato in vigore solo il 30 novembre
2004, contro il dettato dell'art. 15, comma 4, della legge n. 400 del 1988.

In conclusione, in materia di tale natura la moratoria di 10/15 anni alla
coltivazione di OGM, necessaria per le verifiche, non priverebbe del diritto
di coltivarli in futuro coloro che gli OGM volessero produrre, ove si
accertasse, con sicurezza, la loro innocuità e per la salute umana ed
animale e per l'agricoltura e l'ambiente, mentre l'introduzione immediata
sul territorio degli OGM priverebbe, da subito e per sempre, del diritto di
coltivare i vegetali convenzionali e biologici coloro che volessero
continuare a farlo, stante l'inquinamento irreversibile che gli OGM
provocano delle aree utilizzate per la loro produzione. Durante la
moratoria, giustificata da motivi sanitari ed ambientali ampiamente fondati,
sarebbe, altresì, possibile verificare anche la valenza e la consistenza
della domanda, sia nazionale che comunitaria ed estera, dei prodotti OGM
free.

Associazione Sementieri Mediterranei
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