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NOTAZIONI SUL D. L. n. 279/2004 CHE DISCIPLINA LA COESISTENZA TRA LE COLTIVAZIONI DI OGM CON QUELLE SENZA OGM
- Subject: NOTAZIONI SUL D. L. n. 279/2004 CHE DISCIPLINA LA COESISTENZA TRA LE COLTIVAZIONI DI OGM CON QUELLE SENZA OGM
- From: "Altragricoltura" <altragrico at italytrading.com>
- Date: Mon, 13 Dec 2004 12:12:04 +0100
Proseguono le audizioni sul problema della coesistenza tra coltivazioni OGM e NON OGM alla Camera dei Deputati. Vi segnaliamo il testo presentato dall'Associazione Sementieri Mediterranei. a cura di AltrAgricoltura Nord Est ---------------------------------- Roma, 9 dicembre 2004 Prot. n. 243/04 - EL/ NOTAZIONI SUL D. L. n. 279/2004 CHE DISCIPLINA LA COESISTENZA TRA LE COLTIVAZIONI DI OGM CON QUELLE SENZA OGM Audizione XIII Commissione Agricoltura della Camera dei Deputati (Roma, 9 dicembre 2004 - ore 15,45) - Profili di incostituzionalità del decreto - In via preliminare, si precisa di condividere la quasi totalità delle osservazioni espresse dal Comitato per la legislazione, compresa quella sull 'assenza di una reale urgenza in grado di giustificare l'emanazione di un decreto-legge su materia di tale natura. In concreto, l'utilizzo del decreto-legge sembra derivare dalla necessità di evitare la circolazione e la coltivazione immediata in Italia delle 17 varietà di mais transgenico che la Commissione Europea (l'8 settembre 2004) ha dichiarato iscrivibili nel Registro comunitario delle varietà. Questa motivazione, tuttavia, non è in linea con quanto disposto dall'art. 9 del d.lvo n. 212/2001 (di attuazione delle Direttive 98/95/CE e 98/96/CE) che prevede la possibilità per il MiPAF di domandare alla Commissione Europea l'autorizzazione a vietare l'impiego di varietà iscritte nel catalogo comune delle varietà e specie, con riguardo non solo ai rischi per la salute umana e l'ambiente, ma anche con riguardo alle eventuali conseguenze sui sistemi agrari. Ora non c'è dubbio che la coltivazione a pieno campo di varietà GM andrebbe ad incidere pesantemente, se non irreversibilmente, sulle aree agricole coltivate con varietà e specie convenzionali e biologiche, tenendo conto della complessa e articolata orografia del territorio nazionale e della frammentazione molto estesa della proprietà agraria. Questo solo fatto, per non parlare d'altro e prescindendo dal principio di precauzione, dalla clausola di salvaguardia e dal protocollo di Cartagena, permetterebbe al MiPAF di impedire la circolazione e la coltivazione in Italia delle citate varietà di mais transgenico. Ad ogni buon conto, il decreto-legge non si limita a disciplinare la coltivazione delle richiamate varietà di mais transgenico, ma intende regolare la coesistenza di ogni forma di agricoltura transgenica con quella non transgenica, anche, quindi, la coesistenza della coltivazione di tutte le sementi GM con la coltivazione di quelle non GM. Se così è, non si comprende dove sia l'urgenza e la straordinaria necessità di legiferare con lo strumento del decreto-legge. Non si comprende, cioè, anche volendo ammettere per fondata la tesi del Governo sulla straordinaria necessità ed urgenza del provvedimento, come possa dirsi urgente regolare la coesistenza della coltivazione del grano GM o del riso GM o della patata o della barbabietola o del pomodoro GM, o di altri prodotti GM, con la coltivazione di prodotti non GM. Peraltro, bisogna far rilevare che la materia trattata nel decreto-legge non riguarda solo l'ambiente, ma anche, indirettamente, i sistemi agrari, per regolare i quali sono senz'altro competenti le Regioni, sicchè potremmo trovarci di fronte non a competenze esclusive o concorrenti, ma addirittura a competenze confliggenti, tali, comunque, da impedire al Governo l'utilizzo del decreto legge per esercitarle. Né l'articolo 2, del d.lvo n. 224/2003, di attuazione della direttiva 2001/18/CE, può essere letto come se escludesse la competenza delle Regioni in materia di regolamentazione dei sistemi agrari, in quanto si finirebbe per riservare esclusivamente allo Stato l'attuazione delle direttive comunitarie in materia di OGM, la quale, invece, investendo ambiente, salute e agricoltura, acquista una dimensione trasversale in cui va necessariamente riconosciuto uno spazio d'intervento preponderante alle Regioni, ex art. 117, commi 1 e 5, Cost., che non può essere coperto esclusivamente dal Governo con lo strumento del decreto-legge. Aggiungasi che trattandosi di materia in cui debbono essere fissati criteri e principi, ovvero norme quadro sulla citata coesistenza, da attuarsi con interventi normativi successivi, questi possono concretarsi solo ai sensi dell'art. 76 della Costituzione, ossia con legge ordinaria di delega. L'art. 15, comma 1, lett. a), della legge n. 400 del 1988, vieta la possibilità di conferire deleghe legislative mediante decreto legge, anziché con lo strumento della legge. La stessa Corte Costituzionale, nella sentenza n. 63 del 1998, ha espressamente affermato che "l'atto di conferimento al Governo di delega legislativa può avvenire solo con legge". Supponendo, peraltro, ammissibile, per pura ipotesi, l'autodelega, essa dimostra ancor di più, se ce ne fosse bisogno, l'assenza degli straordinari motivi di necessità ed urgenza (di cui all'art. 77 della Costituzione), assenza che rende illegittimo il provvedimento, essendo demandata ad atti successivi l'individuazione dei criteri, dei principi e delle norme quadro sulla coesistenza e, comunque, l'attuazione del decreto-legge. Ma volendo ammettere che il decreto in parola si limita a prevedere, per la sua attuazione, l'adozione di regolamenti amministrativi successivi o a condizionare l'efficacia delle sue disposizioni all'emanazione di tali regolamenti, anche in questo caso si pone in evidenza l'inesistenza della conclamata urgenza e, dunque, l'illegittimità del provvedimento (cfr. Paladin "In tema di decreti-legge" "Riv. trim. dir. pubb.", 1958, 551, nota 57; Cons Stato, Ad. Gen., parere 11 aprile 1996, in "Giur. Cost". 1996, 2077). Risulta, poi, ancora violato, prima facie, il presupposto dei decreti-legge (consistente nella citata urgenza di provvedere per fronteggiare situazioni di straordinaria necessità), giacchè l'operatività delle prescrizioni dettate con il decreto-legge in esame è condizionata all'adozione di un Piano che le Regioni debbono adottare addirittura entro il 31.12.2005. Peraltro, nelle premesse del decreto-legge è stato omesso ogni riferimento espresso all'agricoltura che avrebbe di per sé escluso ogni intervento legislativo statale. Analogamente è stato escluso ogni riferimento all'agricoltura in chiave comunitaria giacchè in tale prospettiva l'intervento dello Stato risulta ammissibile soltanto quale intervento sostitutivo e, quindi, soltanto in presenza di una situazione d'inerzia delle Regioni (art. 117, 5° c., Cost.). In concreto, a tutto voler concedere, la disciplina del decreto-legge incide su materie "trasversali" in cui confluiscono competenze statali, regionali e concorrenti. Lo Stato, con un atto unilaterale, non può appropriarsi della materia "trasversale", anche se poi, nell'attribuirla alla competenza del Ministro, l'esercizio di tale competenza viene condizionato all'intesa con la conferenza Stato-Regioni, che consentirebbe a ciascuna Regione di esercitare un potere interdittivo. Da ultimo bisogna far rilevare che affidare ad un ibrido regolamento ministeriale (delibera del Ministro subordinata all'intesa della Conferenza Stato-Regioni) la predisposizione di norme-quadro è, in chiave regionale, inammissibile. L'ipotesi andrebbe configurata come delega parziale di potere regolamentare alle Regioni. Ma tale ipotesi è impraticabile, sia perché il potere regolamentare, fuori dalle materie di competenza statale (e nel caso di specie la materia è, quantomeno, "trasversale"), spetta, ex art. 117, 6° c., Cost., unicamente alle Regioni, sia perché, ove la materia fosse esclusivamente statale, la disposizione, dettata dall'art. 3 del decreto-legge, più che una delega attua un nuovo riparto del potere normativo regolamentare, giacchè viene assegnata alle Regioni la sfera integrativa-attuativa, mentre al regolamento ministeriale la determinazione dei principi. Ma non può parlarsi di delega in presenza di delega obbligatoria. - Contenuti del decreto. Rilievi - Sul contenuto del decreto, si rileva che non appare esatto quanto specificato dall'art. 1, per il quale: "Il presente decreto (è) in attuazione della Raccomandazione della Commissio ne 2003/556/CE del 23 luglio 2003". Si attua solo ciò che è vincolante, non ciò che è facoltativo. Il punto 1.5 della Raccomandazione, infatti, chiarisce: "I presenti orientamenti, sotto forma di raccomandazioni non vincolanti rivolte agli Stati membri…" In proposito, aggiungasi che il punto 2.1.2, della medesima Raccomandazione, se attuata, prevede non l'assenza di contaminazione delle aree non OGM, ma una contaminazione di queste aree. Recita il citato punto 2.1.2. "Le misure di gestione relative alla coesistenza dovranno rispecchiare i migliori risultati scientifici disponibili sulla probabilità e sulle fonti di commistione tra colture transgeniche e non transgeniche. E' opportuno permettere entrambi i tipi di coltura, garantendo, tuttavia, che i prodotti ottenuti da colture non geneticamente modificate contengano un tenore di OGM inferiore alle soglie legali previste per l'etichettatura e le norme di purezza applicabili ai prodotti alimentari, ai mangimi e alle sementi geneticamente modificati, quali definiti nella normativa comunitaria". Al presente, per le sementi, ad esempio, di mais, la tolleranza di OGM è zero, mentre per gli alimenti e i mangimi tale tolleranza è dello 0,5%. Da tutto ciò deriva che anche per la Raccomandazione la contaminazione da OGM, pur minima, è certa in presenza di coesistenza delle coltivazioni GM e non GM. Ma, allora, cosa ne sarà delle sementi a tolleranza zero? Anch'esse saranno contaminate. Aggiungasi che per tutte le sementi, e non solo per quelle di mais e soia, la stessa Commissione CE ha chiarito, con decisione del 2 settembre 2003 (GUCE L. 230/34, del 16/09/2003), al punto 55, "la direttiva 2001/18/CE non prevede alcun valore soglia (de minimis) in relazione alla presenza accidentale o tecnicamente inevitabile di OGM non autorizzati nelle sementi. Di conseguenza gli Stati membri non hanno il potere di determinare le quantità di OGM considerate pericolose, né - quindi- di stabilire tali soglie". Si supponga, ciononostante, che la contaminazione di queste sementi arrivi al citato 0,5%. Se così fosse, si ricorda che un inquinamento dello 0,5% per il mais significa la presenza di 5 semi GM ogni 1000 semi GM-free (ossia privi di OGM). Un ettaro di mais comporta l'utilizzo di 75.000 semi circa. Con tale tolleranza si renderebbero attivi 375 semi GM ad ettaro. Gli ettari coltivati attualmente a mais in Italia (quasi tutti nel nord) sono circa 1.400.000. Moltiplicando 1.400.000 per 375 si liberano sul territorio 500.000.000 circa di semi GM. Ogni seme a sua volta produce una pannocchia (a volte due) che contiene, in media, 700/900 semi di mais. Ulteriori considerazioni appaiono superflue. Continua l'art. 1 "il presente decreto……. definisce il quadro normativo minimo per la coesistenza tra le colture transgeniche, escluse quelle per fini di ricerca e sperimentazione, nonché quelle convenzionali e biologiche, al fine di garantire la libertà di iniziativa economica e il diritto di scelta dei consumatori" In proposito si osserva: a) il quadro normativo minimo sulla coesistenza non esiste, perché esso è demandato, dall'art. 3, al Ministro per le Politiche Agricole e Forestali; b) il decreto-legge, motivato dalla necessità di impedire la coltivazione immediata delle 17 varietà di mais transgenico riconosciute iscrivibili nel registro comunitario delle varietà, in realtà riguarda, come già rilevato, tutte le sementi e non solo quelle di mais; c) il decreto-legge, non regolando la sperimentazione, di questa riconosce, implicitamente, il valore autonomo e fondamentale, per verificare: - la valutazione dell'impatto ambientale, economico ed agronomico, conseguente all'introduzione delle coltivazioni transgeniche ; - la messa a punto e l'adozione di specifiche tecniche e misure volte a valutare tale coesistenza; - la possibilità di isolare sistemi di coltivazione di prodotti GM senza inquinare quelli non GM. Se così è (e non potrebbe essere diversamente), queste attività debbono necessariamente precedere l'introduzione della citata coesistenza, non seguirla, come avverrebbe se si approvassero subito, addirittura con decreto-legge, le regole della richiamata coesistenza. Peraltro, manca nel decreto-legge, un espresso riferimento (tra i principi, i criteri e le norme quadro da seguire) alla verifica più importante, preliminare ad ogni diversa verifica: quella sulla irreversibilità dell' inquinamento dell'ambiente e dell'agricoltura una volta introdotti gli OGM, perché, se accertata, renderebbe inutile ogni accorgimento produttivo e superfluo ogni provvedimento ulteriore, compresa la normativa sull' etichettatura dei prodotti da avviare al consumo. In sostanza, proprio il consumatore, del quale l'articolo 1 in questione dichiara di voler tutelare la libertà di scelta, verrebbe privato di tale libertà, stante l'inquinamento irreversibile con OGM di ogni prodotto vegetale destinato al consumo; d) di fronte alle mancate verifiche preliminari descritte sull'inquinamento irreversibile del territorio indotto dagli OGM, viene meno anche la libertà di iniziativa economica che l'art. 1 in parola dichiara di voler tutelare. Perché la libertà di iniziativa economica non appartiene solo a chi vuol coltivare gli OGM, ma anche a coloro che vogliono continuare a coltivare il prodotto convenzionale e biologico. Peraltro, questa sperimentazione non può essere fatta a cielo aperto là dove rischia di provocare un inquinamento irreversibile dell'ambiente, ma solo nei Paesi con orografia simile alla nostra che hanno già introdotto a pieno campo la coltivazione degli OGM. Ad ogni buon conto, considerando le esperienze di altri Paesi si fa notare che questa coesistenza è fallita. Intervistato da Elio Cadelo (RAI Gr2, ore 7:30, del 13 giugno 2002), il signor Bill Christianson, Presidente dell'Unione degli agricoltori degli Stati Uniti, ha dichiarato: "I prodotti geneticamente modificati non contribuiscono ad aumentare la produttività, e tutte le caratteristiche che vengono pubblicizzate dalle varie multinazionali in realtà non sono vere, in quanto i prodotti geneticamente modificati non aiutano ad aumentare le rese. Né sarà possibile avere coltivazioni GM free accanto a coltivazioni di prodotti geneticamente modificati perché questo è assolutamente impossibile, o l'uno o l'altro". Cosa, in sostanza, si vuol dire con ciò, che le esperienze altrui valgono soprattutto quando chi le riferisce le ha vissute direttamente per anni. Ad esempio, per rimanere negli stessi Stati Uniti, il mais è ormai inquinato da OGM per il 98% (ved. "Agrisole"del 30 maggio 2003, n. 21, p. 3). Per concludere, se la coesistenza la si vuole davvero, i suoi effetti vanno verificati prima nei Paesi in cui la stessa è applicata. Se, invece, risulta alibi per introdurre definitivamente gli OGM nel territorio, allora essa va decisamente respinta. In merito, poi, all'art. 5 e alla responsabilità di chi non rispetta le misure sulla coesistenza, si osserva che proprio il dettato di tale articolo evidenzia l'impossibilità di introdurre sul territorio questa coesistenza. Se, infatti, il favorevole alla coltivazione degli OGM intende inquinare le aree senza OGM non ha che da infrangere le regole, il resto lo farà l' irreversibilità dell'inquinamento provocato. Né la sanzione da sopportare (v. art. 6) è tale da intimorire i mal pensanti. Ma tutto ciò, dal punto di vista del sementiero, è drammatico perché il diffuso, strisciante e costante inquinamento di tutte le aree, che si attiva con la coesistenza, renderà impossibile, nel tempo, la produzione diretta, o tramite contratti di moltiplicazione, di semente convenzionale o biologica non inquinata dagli OGM, costringendo il medesimo sementiero a produrre all' estero la semente non inquinata. Ma quanti sono i sementieri in grado di fare ciò? In pratica si consegna l'industria sementiera nazionale, dalle tradizioni gloriose, nelle mani degli stranieri. Anzi diverrà impossibile continuare in Italia la stessa ricerca sul seme convenzionale e sulla creazione di nuove varietà. Non è sicuramente ciò che è stato domandato dai sementieri al MiPAF quando hanno presentato, 2 anni fa, il Piano Sementiero Nazionale. Premessa ineludibile dell'attuazione dello stesso Piano era proprio la richiesta di poter operare su di un territorio OGM free, senza del quale ogni Piano rimarrebbe impraticabile. Ma tale articolo 5 contiene anche una disposizione sulle ditte sementiere che lascia stupiti. Dovrebbe, infatti, essere la ditta sementiera a prestare garanzia che le sementi certificate sono prive di OGM. Ora, considerando quanto rilevato sopra, non si comprende come ciò possa avvenire. Ma anche volendo ammettere possibile produrre seme certificato non inquinato, non è certamente il sementiero che può garantire questo, non possedendo le strutture e gli strumenti per farlo. Dato che si sta parlando di semente certificata da un ente controllato dallo Stato, l'ENSE, dovrebbe essere il medesimo ente a compiere tali verifiche, tanto più che già ora esso controlla, per lo Stato, la presenza o l'assenza di OGM nei lotti di sementi che certifica. Aggiungasi che è stato dimenticato, sul punto, anche il dettato dell'art. 7 del d.lvo n. 212/2001, per il quale "… sui cartellini o etichette e su ogni documento che accompagna i prodotti sementieri, l'indicazione relativa alla presenza di varietà geneticamente modificate può essere omessa esclusivamente nel caso in cui il prodotto risulti all'analisi totalmente esente da varietà geneticamente modificate…" . Siccome, a tutt'oggi, non possono circolare sementi GM, non si comprende come il sementiero sia chiamato a dichiarare l'assenza degli OGM nelle stesse sementi. Evidentemente manca un coordinamento del decreto con tutta la legislazione comunitaria e nazionale sulla produzione di sementi, comprese quelle GM, tutt'ora in vigore, che, tra l'altro, esige il rispetto di provvedimenti complessi delle autorità nazionali competenti prima di poter coltivare semi GM e questo nonostante l'iscrizione di tali varietà nel registro comunitario delle varietà (ved., tra gli altri, d.lvo 212/01, d.p.r. 322/01, d.lvo 224/03, Reg. CE n. 1829/03, art. 6). - Considerazioni finali nel merito - L'Asseme ha seguito con sgomento il progressivo avvicinamento del Governo alle posizioni di chi da sempre ha cercato e cerca di introdurre in Italia la coltivazione degli OGM e non solo quella di mais e di soia transgenici. Ora dopo più di 4 anni di dibattito sull'argomento non si è ancora riusciti a comprendere quali siano i vantaggi reali di simili coltivazioni per l' agricoltura nazionale e per gli agricoltori. Non ci sono ritorni economici, perché, quand'anche questi ritorni si riuscissero a dimostrare, essi si perdono totalmente nel momento in cui, per ogni modificazione genetica introdotta nel vegetale utilizzato, l' agricoltore dovrà, comunque, pagare direttamente o indirettamente il costo di non meno di 7 (sette!) brevetti, senza considerare i costi che dovrà sopportare chi vorrà difendersi dagli OGM. Non ci sono risparmi sui diserbanti da utilizzare, perché nel tempo il loro consumo invece di diminuire aumenta per la necessità di eliminare le erbe infestanti GM che si riproducono tra i vegetali GM seminati, come dimostrano le esperienze recenti degli Stati Uniti e dell'Argentina (ved. "Salvagente" dell' 11.XII.2003 e "New Scientist" del 17.4.2004) Non è garantita la conservazione della biodiversità, perché questa biodiversità crolla radicalmente, come avvenuto nelle aree in cui gli OGM sono coltivati a pieno campo. D'altro canto l'offerta di un'unica (o poche varietà) di seme rappresenta un rischio molto elevato; basta una improvvisa virosi, basta un grave e inaspettato effetto derivante dall'utilizzo degli OGM per procurare turbative pesantissime non solo sul mercato nazionale, ma anche su quello mondiale, come dimostra la presenza di erbe infestanti GM cresciute tra i vegetali GM. Neppure è assicurato l'aumento della produzione, perché come abbiamo visto, gli agricoltori statunitensi, hanno reiteratamente dichiarato che questo aumento della produzione non esiste. In sostanza, sembra che la modificazione genetica non serva tanto a migliorare le capacità produttive del seme, quanto a stabilire un controllo economico sempre più forte sulla coltura. Introdotti gli OGM a pieno campo le aree destinate agli OGM non potranno più, anche volendo, essere destinate alla coltivazione di vegetali convenzionali e biologici. Né sarà più possibile preservare le aree destinate al convenzionale o al biologico dall'inquinamento di OGM, perché là dove la coesistenza è stata attuata essa è fallita, come chiarito in precedenza, compresa la Spagna dove si sono osservati inquinamenti di mais convenzionale fino alla distanza di alcuni chilometri (vedasi atti del Convegno di Lubiana, ottobre 2004 e il documento della Commissione per la Cooperazione Ambientale dell'America del Nord del 31 agosto 2004, dal titolo: "Mais GM in Messico: no del NAFTA", sito CDG/NEWS). Non è possibile, peraltro, sollecitare ed ottenere l'intervento delle Assicurazioni, per garantirsi dagli inquinamenti accidentali da OGM, perché, in tutti i Paesi, le stesse si sono sempre rifiutate di prestare tali garanzie. Né, in merito, il futuro appare roseo. Il 21 maggio 2004 la Corte Suprema del Canada ha stabilito, con sentenza, che i diritti di brevetto su un gene si estendono all'organismo vivente in cui tale gene viene ritrovato e che, di conseguenza, tali diritti si possono esercitare sul vegetale anche in presenza di inquinamenti accidentali. La decisione è aberrante. Basterà al proprietario di brevetti inquinare "accidentalmente" i campi non OGM per avere "diritti" su tutto il territorio nazionale. Questa la nostra prospettiva, a fronte di quali vantaggi? A fronte del nulla ! Anzi a fronte di fallimenti sicuri e irreversibili, stante la potenza economica degli attuali "spacciatori" di OGM extracomunitari. Né sarà possibile, ove si volesse accollare il risarcimento del danno ai coltivatori di OGM limitrofi ai campi inquinati, individuare con certezza il colpevole. Si tenga ancora conto dello stravolgimento del mercato fondiario, non più in grado di garantire la persistenza di aree protette dagli OGM. La stessa prelazione del confinante verrebbe, di fatto, riservata al solo coltivatore di OGM, perché chi coltiva OGM può acquistare campi senza OGM, ma chi coltiva campi senza OGM, non potrà, né vorrà, acquistare campi con OGM. Sicchè, alla lunga, gradualmente, tutto il territorio diventerà GM. Per non parlare del ridimensionamento dei valori fondiari. Se, per ipotesi, il prezzo dei terreni con OGM dovesse cedere, sarà inevitabile una tendenza dei loro proprietari ad inquinare i terreni senza OGM con gli OGM, per cercare di riequilibrare il mercato. In simili materie solo certezze scientifiche consolidate possono aprire la strada a scelte sicure, definitive e irreversibili. Deriva da ciò che nessuna coesistenza tra coltivazioni OGM e non OGM può essere introdotta sul territorio nazionale, tenendo conto che l'inquinamento con OGM di tutte le aree agricole è assolutamente certo, così come dimostrato nei territori in cui essa è stata attuata. Tanto premesso, l'Asseme invita il Parlamento a far decadere il decreto-legge n. 279/04, - sia perché, di fatto, introduce un inquinamento irreversibile con gli OGM di tutto il territorio italiano; - sia perché la coltivazione degli OGM è totalmente contraria agli interessi nazionali; - sia perché, in merito, è politicamente e moralmente doveroso e corretto interpellare, prima di decidere, i cittadini, così come a suo tempo si fece per l'energia nucleare, tenendo conto che non ci si trova di fronte a leggi a contenuto comunitariamente vincolato (sentt. n. 31, 41 e 45 del 2000 Corte Cost.) perché sono proprio norme comunitarie (art. 9 e 10° "considerando" della Direttiva 2001/18/CE) a prevedere la possibilità, per lo Stato membro, di scegliere le modalità di consultazione del pubblico sul punto, non escluso, evidentemente, il referendum che, peraltro, non sarebbe abrogativo, ma semplicemente consultivo; - sia perché si priverebbero i sementieri e i coltivatori del convenzionale e del biologico della libertà di praticare le coltivazioni degli stessi; - sia perché non si è in presenza della straordinaria necessità ed urgenza, richieste dall'art. 77 della Costituzione, tanto che il D. L. approvato dal Consiglio dei Ministri l'11 novembre 2004, è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il 29 novembre 2004 ed è entrato in vigore solo il 30 novembre 2004, contro il dettato dell'art. 15, comma 4, della legge n. 400 del 1988. In conclusione, in materia di tale natura la moratoria di 10/15 anni alla coltivazione di OGM, necessaria per le verifiche, non priverebbe del diritto di coltivarli in futuro coloro che gli OGM volessero produrre, ove si accertasse, con sicurezza, la loro innocuità e per la salute umana ed animale e per l'agricoltura e l'ambiente, mentre l'introduzione immediata sul territorio degli OGM priverebbe, da subito e per sempre, del diritto di coltivare i vegetali convenzionali e biologici coloro che volessero continuare a farlo, stante l'inquinamento irreversibile che gli OGM provocano delle aree utilizzate per la loro produzione. Durante la moratoria, giustificata da motivi sanitari ed ambientali ampiamente fondati, sarebbe, altresì, possibile verificare anche la valenza e la consistenza della domanda, sia nazionale che comunitaria ed estera, dei prodotti OGM free. Associazione Sementieri Mediterranei -------------------------- N.B. se volete essere cancellati da questa lista scrivete a altragricoltura at italytrading.com
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