La nuova campagna Benetton non ci piace - Clean Clothes Campaign



LA NUOVA CAMPAGNA DI BENETTON,  ECCO PERCHE’ NON CI PIACE – Clean Clothes Campaign

La nuova campagna promozionale con la quale Benetton associa il suo nome al Programma alimentare mondiale delle Nazioni unite e’ appena partita e gia’ incombe sulle nostra strade e infarcisce i nostri giornali. Guardiamo quella pubblicita’ e come sempre scuotiamo la testa. Benetton non ci convince. Non ci convince sui temi della pace, della lotta alla fame, delle donne, delle minoranze etniche. Ecco perche’:

-         Sulla pace  (“Nel golfo per l’esercito inglese: la nave di Benetton”, La Repubblica, 27.2.2003)

-         Sulla fame (“Wearing thin: the state of pay in the fashion industry, 2000-2001”, Labour Behind the Label)

-         Sulle donne (“Le donne afghane non vestono Benetton”, lettera aperta alla stampa del Coordinamento Italiano a sostegno di Rawa)

-         Sulle minoranze etniche (“Benetton: la multinazionale della menzogna, i colori uniti della simulazione”, comunicato della Comunita’Mapuche-Tehuelce “11 de Octubre”, 28.2.2003

  

NEL GOLFO PER L’ESERCITO INGLESE: LA NAVE DI BENETTON

“Milano - Nel dibattito italiano sui preparativi bellici fa irruzione il caso "Strada Gigante": una nave italiana che sta trasportando verso il teatro di guerra materiale bellico per conto delle forze armate britanniche. A fare scandalo - secondo Oliviero Diliberto, leader dei Comunisti italiani - è che
la nave sia in parte di proprietà dei Benetton, dinastia dall'immagine storicamente pacifista. "Stradablu", la compagnia armatrice che possiede la nave spiega che i Benetton hanno con la loro "21 Investimenti" una partecipazione in "Stradablu" minoritaria e "finanziaria", senza
coinvolgimento nella gestione. Dalle visure camerali, si scopre però che la partecipazione è del 44,62%. Tra i proprietari della "21 Investimenti" con il 56% dei Benetton c'è anche il 10% della Fininvest di Berlusconi.»
(La Repubblica, giovedì 27 febbraio 2003,  p. 9)

 

PER COMBATTERE LA FAME BASTA PAGARE UN GIUSTO SALARIO

La multinazionale veneta sarebbe di maggior aiuto alla causa della lotta contro la fame nel mondo se decidesse finalmente di corrispondere a chi lavora per lei in ogni parte del mondo salari in linea con il costo della vita. Dall’indagine “Wearing thin: the state of pay in the fashion industry, 2000-2001” (scaricabile dal sito www.cleanclothes.org), condotta dall’organizzazione inglese Labour Behind the Label, aderente alla rete della Clean Clothes Campaign, Benetton risulta essere una delle aziende meno attente al problema dei livelli retributivi nei paesi di delocalizzazione. Riferirsi costantemente ai minimi salariali locali, come fa Benetton, significa mantenere consapevolmente intere comunita’ al di sotto della soglia di poverta’.

Il Coordinamento Lombardo Nord/Sud del Mondo ha scritto alle grandi associazioni pacifiste italiane invitandole a non accettare eventuali traini promozionali da parte della Benetton in campagne di solidarieta’ con la popolazione irachena, come invece avvenne durante la guerra del Kosovo (ricordate la campagna ‘Benetton per il Kosovo’ lanciata dalla multinazionale proprio mentre negava la presenza di bambini, profughi kurdi, nelle sue fabbriche turche?) (per informazioni: Ersilia Monti)

 

LE DONNE AFGHANE NON VESTONO BENETTON

Lettera aperta alla stampa

Abbiamo visto sulle vostre pagine le splendide foto di bambine e ragazze afghane, ritratte dalla Benetton a pubblicizzare il nuovo corso della politica afghana rispetto alle donne. Le immagini hanno un forte impatto emotivo, l¹accostamento burqua-volto scoperto e/o le didascalie non lasciano dubbi: oggi le ragazze sarebbero libere di trovare un lavoro, di andare a scuola, di rientrare dall¹esilio.

Noi e voi sappiamo che non è così.

Certamente conoscete quanto noi gli ultimi rapporti di Human Rights Watch, che potete consultare comodamente sul loro sito www.hrw.org <http://www.hrw.org> , o persino tradotti in parte in italiano sui nostri siti (www.wforw.itwww.ecn.org/reds/donne/donne.html), visto che la
stampa si guarda bene dal pubblicarli. Potete rivolgervi ad Amnesty International, o anche ai vostri stessi corrispondenti che sono certamente ben informati.

Perché allora ospitare sulle vostre pagine una campagna pubblicitaria che nega e nasconde quello che è oggi più che mai necessario denunciare con forza?

La "liberazione" delle donne è stato uno dei principali falsi obiettivi dei bombardamenti americani in Afghanistan. Le donne afghane, attraverso le loro organizzazioni quali tra le altre Rawa ed Hawca, si sono opposte strenuamente a questo massacro e sono state ignorate. Hanno denunciato senza ambiguità che i nuovi padroni dell¹Afghanistan, i signori della guerra insediati dal governo americano e mai liberamente eletti dalla popolazione, sono dei criminali. Essi hanno provocato centinaia di migliaia di morti negli ultimi trenta anni, hanno devastato, torturato e calpestato i diritti
e la dignità umana delle donne quando erano al governo prima dei talebani. Contro di loro Rawa chiede da anni un processo internazionale per crimini contro l¹umanità e l¹accurata documentazione per realizzarlo è già pronta e disponibile da anni. Peccato che non si trovi ne¹ un giornale ne¹una forza politica, neppure qui in Italia, disposto a sporcarsi le mani con questa storia poco edificante.

In tutte le province dell¹Afghanistan le scuole riaperte a beneficio dei riflettori occidentali vengono assalite da bande di fondamentalisti e non sono poche quelle che sono state costrette a chiudere di nuovo.

Dobbiamo ricordarvelo noi che la sharia è in vigore ovunque, le carceri sono piene di donne che fuggono alla violenza domestica, i suicidi per sfuggire ai matrimoni forzati non diminuiscono, in molte regioni è nuovamente proibito alle donne circolare senza un parente stretto maschio? Le donne vengono arrestate e sottoposte a visite ginecologiche forzate, non riescono a raggiungere scuole, posti di lavoro, università a causa delle restrizioni rigidissime sulla libertà di movimento. Forse non è evidente a chi gira solo per Kabul, ma chi mette un piede fuori dalla capitale entra in un territorio fuori da ogni controllo.

Sta per arrivare l¹8 marzo e qui in Italia ci saranno compagne a sostegno di Rawa. Per favore, evitate di pubblicare, magari accanto a un articolo corretto e ben informato come certo siete in grado di fare, qualche bella foto pubblicitaria capace di spazzare via, con un¹occhiata, fiumi di
inchiostro.

COORDINAMENTO ITALIANO A SOSTEGNO DI RAWA

www.ecn.org/reds/donne/coordinamentoRAWA.html
<http://www.ecn.org/reds/donne/coordinamentoRAWA.html>

I NUOVI VOLTI DELLA COLONIZZAZIONE
 

Nel 1991 la Benetton acquisto’ in Argentina, a prezzi stracciati, 900 mila ettari di terreno in Patagonia dove alleva greggi di pecore che la riforniscono di migliaia di tonnellate di lana. Quei luoghi pero’ non erano disabitati, ci vivono infatti da sempre le comunita’ Mapuche, ora confinate in una striscia di terra sovraffollata chiamata Reserva de la Compania. Ogni tanto qualche famiglia mapuche sconfina per occupare un misero fazzoletto di quella che solo fino a ieri era la sua terra. Il risultato immediato e’ lo sgombero violento, come ha potuto sperimentare lo scorso ottobre la famiglia Nahuelquir-Curinanco, a cui la polizia, mandata dai Benetton, ha sequestrato i beni e ha demolito l’abitazione. Quello che segue e’ l’ultimo comunicato della Comunità Mapuche-Tehuelche “11 de Octubre”.

 Esquel, Puelmapu, 28 febbraio 2003

BENETTON: LA MULTINAZIONALE DELLA MENZOGNA, I COLORI UNITI DELLA SIMULAZIONE

La menzogna non è un marchio registrato di Benetton, ne è la sua essenza. Poche settimane fa la multinazionale italiana ed il PAM (programma alimentario mondiale dell’ONU) hanno lanciato la campagna Cibo per la Vita. Utilizzando fotografie scattate in Sierra Leone, Afghanistan, Cambogia e Guinea argomentano che cercheranno di coscientizzarci sulla fame nel mondo. I buoni samaritani tornano alla carica... tremino gli affamati!!!

Con l’accumulazione di quasi un milione di ettari in territorio mapuche la multinazionale perpetua un sistema sociale, economico e politico ingiusto, che condanna alla fame gran parte del nostro popolo. A loro bastano delle fotografie ad effetto per rifarsi la faccia... Loro che hanno fatto sgomberare la famiglia mapuche Curiñanco.

La strategia del gruppo veneto è quella di mentire; più grande è la menzogna, più essa risulta credibile e più aumenta il fatturato.

Lo scorso ottobre la responsabile del Servizio Sociale di Esquel, Miriam Grimaldi, ha realizzato uno studio socio-ambientale sulla famiglia Curiñanco. In esso si afferma: “La situazione economica della famiglia ha avuto un forte crollo per la perdita del lavoro della signora Rosa e la difficoltà economica in cui versa l’Argentina (...) Indipendentemente dai risvolti legali che vedono la famiglia contrapposta alla Compañía de Tierras Sud Argentina (così si fa chiamare Benetton in Patagonia), la restituzione della terra e tutto quanto è andato perduto durante lo sgombero rappresenterebbe la restituzione della dignità ad una famiglia originaria di queste terre, che solo chiede di poter contribuire al mantenimento dei suoi integranti.”

Benetton, attraverso il suo avvocato, ha presentato un ricorso alla Procura contro la signora Grimaldi in cui si afferma: “Non è possibile permettere che uno studio socio-ambientale si trasformi in un’esplicita rivendicazione di un atto illegale: l’appropriazione illecita dei diritti del mio cliente. Non è giustificabile l’occupazione perpetrata dai Curiñanco.”

La multinazionale, paladina nel mondo dei diritti umani, si appella alle “leggi” che perpetuano il latifondismo...

Benetton non vende solo maglioni, controlla autostrade e società di telefonia. Adesso arriva alla presunzione di dirci cosa è bene, cosa è male. Così arriva a sostenere come dobbiamo pensare, ruolo già ricoperto da Julio Argentino Roca, Jorge Rafael Videla, Augusto Pinochet, Adolf Hitler, Benito Mussolini...

E’ veramente lungo l’elenco delle considerazioni della multinazionale, solo vogliamo sottolinearne alcune che smascherano i paladini della lotta alla fame: “Atilio Curiñanco ha un lavoro fisso per il quale percepisce uno stipendio di circa 100 euro al mese, superiore a quello di altri nella zona (...) Vive in una casa confortevole, provvista di servizi che molti suoi compatrioti vorrebbero avere. Insomma una situazione rispettabile, non come quella della gran parte degli argentini che non ha alcuna fonte reddito e nemmeno una casa.”

E’ veramente indignante l’infamia sostenuta da Benetton. Nella città di Esquel una famiglia, per riuscire a coprire le necessità di base, ha bisogno di 220 dollari al mese sempre che abbia una casa propria. La famiglia Curiñanco può contare solo sullo stipendio di Atilio, circa 100 euro. E’ evidente che non si tratta di una situazione di privilegio. Ma capiamo la situazione di Benetton perché paga i suoi braccianti, che lavorano dall’alba al tramonto, dai 50 ai 70 euro al mese.

E’ rispettabile la posizione economica dei Curiñanco solo perché non stanno morendo di fame? Qual è la posizione economica di Benetton che possiede un milione di ettari? Quale responsabilità ha il gruppo italiano in questo panorama d’impoverimento generalizzato?

La multinazionale italiana chiede alla Procura: “ Non si riesce a capire il vincolo tra i popoli aborigeni e l’occupazione di territorio di cui si sono resi protagonisti i Curiñanco. Che non vengano con scusanti o striscioni in sostegno alle care e rispettabili culture aborigene, culture che il mio cliente ha promosso e preserva più delle stesse comunità. Che non si usi tutto ciò per giustificare un illecito e l’ignoranza della legge.”

Certo, Benetton dice di non capire quale relazione esista tra il popolo mapuche ed i Curiñanco. Se lo facesse, sarebbe costretto ad ammettere di essere un colonialista. Per la multinazionale italiana i nostri diritti come popolo originario sono solo una scusante, degli striscioni... Dice che preserva la nostra cultura. Starà pensando di clonarci? Quando parla di preservazione sicuramente allude ai privilegi conferiti dal possesso di un milione di ettari. Quando parla di “promuovere” sottintende gli sgomberi delle comunità mapuche vicine al suo latifondo.

Prima di venir fuori con parole irrispettose, Benetton deve spiegare da dove sono venuti fuori gli oggetti mapuche e tehuelche del suo museo. Deve anche spiegare perché nel depliant che diffonde per promuovere il museo sui mapuche ha inserito le parole del lonko Foyel pronunciate nel 1870: “Qui c’è posto per tutti.” Chi sono “tutti” per la multinazionale? Certo non il popolo mapuche.

“La resistenza dei popoli oppressi è il limite dei tiranni”

Per Giustizia, Territorio, Libertà.

Marici Weu!!! Marici Weu!!!

(Dieci volte vinceremo, dieci volte saremo vivi!!!)

Organizzazione di Comunità Mapuche-Tehuelche “11 de Octubre”

puelmapu at terra.com.ar

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Ersilia Monti

(Coordinamento lombardo nord/sud del mondo – Rete di Lilliput Nodo di Milano)

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tel.02-26140345

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