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a rischio della vita per allevare il bestiame..in Africa



I rischi degli allevatori di bestiame
Nella Repubblica Centrafricana sopportano il peso maggiore del conflitto.
Secondo il sindacato il 40-50% del bestiame è stato ucciso tra il 2002 ed il
2003
SETTE ANNI DI crisi continue nella Repubblica Centrafricana, una nazione in
cui su un totale di 3,5 milioni di abitanti l'80 per cento è costituito da
agricoltori, hanno influenzato negativamente tutti i settori dell'economia,
esponendo la maggior parte della popolazione alla minaccia della carestia
nei mesi a venire. Il settore dell'allevamento di bestiame, che costituisce
il 35 per cento dei guadagni e contribuisce per l'11 per cento al prodotto
interno lordo del paese, è tra quelli che hanno subito in misura maggiore
gli effetti negativi dei conflitti. Sebbene il ministero dell'Allevamento
non abbia a disposizione statistiche complete sull'estensione del danno
patito da questo settore, l'associazione che raggruppa gli allevatori,
ovvero la Federazione Nazionale degli Allevatori Centrafricani, offre
qualche spunto di riflessione. Ousmane Shehou, funzionario responsabile
delle cooperative di allevatori per conto della federazione, ha spiegato che
tra il 40 e il 50 per cento del bestiame posseduto dagli iscritti è stato
ucciso durante gli scontri tra le forze favorevoli e quelle contrarie al
governo, scoppiati tra l'ottobre 2002 e il marzo 2003 negli allevamenti del
nord. Shehou ha aggiunto che "i combattenti di entrambe le fazioni hanno
ucciso animali a piacimento". Una versione confermata anche Mamadou
Mbouladji, un mandriano fulani ora diventato venditore di bestiame al
mercato di Ngola, che dista 13 chilometri dal centro di Bangui. "Hanno
sparato indiscriminatamente - spiega - uccidendo molti animali e provocando
la fuga di quelli sopravvissuti". Il 54enne Ousman Amadou è il presidente di
Kautal Felobe, una delle sei associazioni presenti al mercato di Ngola, e ha
raccontato che almeno 700 vacche sono state uccise a Ngola nel novembre
2002, quando i combattenti del Movimento di Liberazione del Congo (Mlc) e le
truppe governative della Repubblica Centrafricana hanno cacciato i ribelli
dai sobborghi settentrionali di Bangui. In quel periodo 120 allevatori
sarebbero stati assassinati e seppelliti in fosse comuni nei pressi del
mercato. Dopo essere scampati a questa ondata di terrore, molti mandriani
sono diventati venditori di bestiame nei mercati. La maggior parte
provengono dalle province di Ouham, Ouham Pende, Nana Grebizi, Kemo e Nana
Mambere, e sono fuggiti dalle proprie case nell'ottobre del 2002, quando
l'ex comandante dell'esercito, Francois Bozze, ha lanciato per la prima
volta i suoi attacchi contro il governo del presidente Ange-Felix Patasse.
"Tutti i mandriani hanno lasciato il nord per cercare rifugio a sud, nella
provincia di Ombella Mpoko", ha spiegato Shehou, che ha riferito anche che a
Boali, una località che si trova 80 chilometri a nord di Bangui, e nei
villaggi circostanti c'erano circa 700 famiglie, con il loro bestiame, che
non avevano ancora ricevuto alcuna forma di aiuto. Nonostante gli sforzi
dell'esercito e delle forze di pace della Cemac, la Comunità Economica e
Monetaria degli Stati dell'Africa Centrale, l'insicurezza persiste nel nord,
specialmente negli accampamenti dei mandriani, che sono inaccessibili a
causa della mancanza di strade o delle loro cattive condizioni di
percorribilità. Dopo avere recuperato armi più moderne e munizioni, i
razziatori di bestiame hanno abbandonato il business pericoloso
dell'uccisione dei mandriani per diventare loro stessi proprietari di
bestiame. In alcuni casi, comunque, hanno anche preso in ostaggio i figli
degli allevatori per ottenere somme enormi di riscatto. Il risultato del
combinarsi di tutti questi fattori è stato che alcuni mandriani hanno deciso
di formare unità di autodifesa, ciascuna composta da una ventina di uomini
armati di archi e di frecce, che si sono però rivelate del tutto inefficaci
per contrastare le armi automatiche. "Se non verrà fatto qualcosa al più
presto - ha spiegato Shehou - c'è il rischio che tutti gli allevatori
possano decidere di emigrare nei paesi vicini". Molti mandriani, infatti, se
ne sono già andati in Cameroon, Chad e Sudan. E se le cose dovessero
continuare così potrebbero trasformare la Repubblica Centrafricana da paese
esportatore di carne, con 3,2 milioni di capi nel 2001, in un paese
importatore. Inoltre, se i mandriani dovessero emigrare in massa i prezzi
della carne crescerebbero, e ciò si tradurrebbe per molte persone in un
minore accesso a questa fonte di proteine, con probabili ripercussioni sui
livelli di malnutrizione. Nel frattempo, per cercare di rimediare a questa
difficile situazione, la federazione degli allevatori ha fatto appello ai
donatori per aiutare i mandriani che hanno perso il loro bestiame, che a
loro volta chiedono alla Fao lo stesso tipo di considerazione che sta dando
agli allevatori di maiali, polli e conigli. La Fao, infatti, ha avviato un
progetto da 322mila dollari per fornire a questi allevatori delle
attrezzature agricole. Anche i pescatori e gli allevamenti ittici
beneficiano dello stesso progetto, destinato a concludersi il prossimo
novembre. "Abbiamo l'impressione di essere stati abbandonati - si lamenta
Amadou - sebbene il settore dell'allevamento di bestiame sia stato quello
più danneggiato". Poiché i donatori non hanno risposto alla richiesta di
aiuto lanciata dalla federazione, l'organizzazione ha provato a convincere i
mandriani a trasformarsi in coltivatori, ma la proposta ha ottenuto solo una
tiepida risposta. Il 24enne Boubakar Bobo, che nel 2002 ha perso le sue 23
mucche a causa del banditismo, ha detto per esempio di preferire la sua
attuale occupazione come venditore di bestiame, che gli frutta circa seimila
franchi (pari a 10 dollari) al giorno, alla coltivazione. Del resto, il
funzionario della Fao Etienne Ngounio-Gabia nel novembre scorso ha spiegato
che costringere i mandriani a diventare coltivatori sedentari potrebbe
essere controproducente: "Non potremo mai incoraggiare un cambiamento
simile". La cosa migliore da fare, ha aggiunto, sarebbe aiutare i mandriani
a riprendere le loro attività nella propria area di specializzazione, ma
questo aiuto, ha detto, non potrà essere fornito dalla Fao in tempi brevi.
"La Fao assiste la popolazione più povera e vulnerabile, e chi possiede dai
cinquanta ai cento capi di bestiame non può essere considerato tale".
(Traduzione di Simone Ramella)

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