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informazioni parlamentari su agricoltura,...:Entro Luglio le scelte nazionali per l'applicazione della PAC



Vi giriamo un articolo della senatrice De Petris, di prossima
pubblicazione, che lancia un allarme per l'assenza di proposte, da parte
del governo italiano e delle parti sociali, sulle modalità di applicazione
della PAC in Italia. Siamo in piena estate e tutte le attività rallentano
ma comunque invitiamo tutti i nostri corrispondenti a contribuire alla
definizione di proposte concrete, inviandocene proposta per e-mail,
affinché anche l'applicazione di questa PAC non diventi la pietra tombale
dell'agricoltura italiana e del delicato equilibrio ambientale del nostro
territorio.
a cura di AltrAgricoltura Nord Est
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Entro il prossimo mese di luglio l'Italia deve comunicare all'Unione
europea le proprie scelte nazionali in merito all'applicazione della
riforma della politica agricola. Si tratta di opzioni di grande importanza
per il futuro dell'agricoltura del nostro Paese sulle quali si dovrebbe
aprire un approfondito dibattito nel comparto agroalimentare. Il Governo ha
diffuso in proposito un documento che ritieniamo arretrato e deludente. Su
questo tema vi anticipiamo il testo di un articolo a firma della senatrice
Loredana De Petris che sarà pubblicato a breve da un quotidiano nazionale.


In gioco il futuro dell'agroalimentare italiano. E non soloŠ


         Entro la fine del prossimo mese di luglio l'Italia è chiamata a
compiere, contemporaneamente agli altri Stati membri dell'Unione europea,
scelte di rilevanza strategica per il futuro del proprio sistema
agroalimentare e per la qualità ambientale e sociale del territorio
agricolo che rappresenta tuttora il 70% della superficie del Paese. Si
tratta delle modalità di applicazione della recente riforma, a nostro
avviso deludente, della politica agricola comunitaria: per la prima volta
le scelte di Bruxelles lasciano comunque ampio margine per un recepimento
non passivo, con la possibilità di interpretare le politiche e adattarle
alle diverse esigenze e alle tipicità dei contesti nazionali, una
opportunità alla quale il nostro Paese giunge con una preoccupante assenza
di dibattito e consapevolezza.
         La 'posta' in gioco è altissima e non solo per l'entità delle
risorse finanziarie interessate (oltre 5 miliardi di euro all'anno per
l'Italia). La recente riforma ha infatti introdotto il cosiddetto
'disaccoppiamento': gli agricoltori potranno ricevere a partire dal 2005 i
contributi pubblici indipendentemente dal tipo di attività praticata, una
sorta di sostegno al reddito che prescinde dal prodotto e da luogo a
'diritti all'aiuto' che potrebbero essere scambiati anche separatamente
dalla terra. Una novità sostanziale che richiede evidentemente la ricerca
di una nuova legittimazione sociale per contributi che altrimenti
potrebbero configurarsi come una sorta di rendita, legittimazione che deve
essere trovata nei servizi che l'agricoltura può svolgere per la
collettività in termini di qualità dell'alimentazione, di manutenzione del
territorio, di conservazione dell'ambiente.
        Veniamo alle opzioni nazionali. Il Governo italiano ha diffuso un
primo documento nel quale si esprime per l'applicazione del
disaccoppiamento totale degli aiuti in quasi tutti i principali settori
della produzione agricola, dai seminativi, grano compreso, agli allevamenti
da latte e da carne e ai prodotti derivati, all'olio di oliva (nella misura
del 90%), mentre la riforma comunitaria consente agli Stati membri di
conservare parzialmente legata al mantenimento della produzione (quindi
accoppiata) una parte significativa del contributo pubblico. Le conseguenze
del disaccoppiamento totale sono in parte già descritte nel documento
governativo, in parte facilmente prevedibili: l'abbandono del 30% delle
colture a grano per una superficie di oltre 500.000 ettari (equivalente ad
una Regione come la Liguria), la chiusura di una quota significativa delle
aziende zootecniche estensive di collina e di montagna, il probabile
abbandono di una parte degli oliveti a partire dalle zone più svantaggiate,
proprio dove svolgono un ruolo insostituibile per la tutela idrogeologica e
la conservazione del paesaggio. L'attività agricola tenderebbe a
concentrarsi in alcune zone vocate, a cui farebbe fronte il degrado, lo
spopolamento e la marginalità economica di vaste zone di grande interesse
ambientale per il Paese.
        La 'rivoluzione' del disaccoppiamento impatta infatti con la
concreta situazione strutturale ed economica dell'agricoltura italiana.
Ampia prevalenza della piccola azienda familiare, il più alto tasso di
invecchiamento dei conduttori nell'Unione (il 36% ha più di 65 anni), una
grave crisi della zootecnia, aggravata dalle politiche di questo Governo,
che ha già provocato la chiusura del 25% delle aziende da latte nell'ultimo
triennio. In questo contesto è comprensibile la tentazione,  in primo luogo
da parte degli agricoltori che operano nei sistemi territoriali marginali,
a farla finita con le tante traversie di una attività non certo redditizia,
incassando il contributo disaccoppiato e disattivando la produzione.
Conseguenze non certamente trascurabili anche sul nostro modello alimentare
e sui prodotti di punta dell'agroalimentare italiano, oggi una sorta di
ambasciatori del 'made in Italy' nel mondo. L'industria della pasta
perderebbe una parte significativa dell'approvvigionamento di grano duro
nazionale con la prevedibile tendenza a delocalizzare gli impianti e il
calo di occupazione, i produttori dei 460 formaggi tradizionali italiani,
un vanto della nostra cultura alimentare, potrebbero incontrare crescenti
difficoltà a reperire localmente il latte fresco, probabile l'incremento
delle importazioni di olio d'oliva da parte dei confezionatori nazionali.
Ma la qualità e il fascino sui consumatori italiani ed esteri dei nostri
migliori prodotti alimentari avrà ancora un senso se la materia prima sarà
costituita da grano ucraino, latte polacco o olive tunisine ? Stiamo
parlando, è bene chiarirlo, del secondo comparto economico del Paese per
entità del valore aggiunto.
E' necessario pertanto, a nostro giudizio, mantenere parzialmente
accoppiato, nella misura e con le modalità più utili allo sviluppo
qualitativo delle produzioni agricole, il contributo comunitario, in
particolare per il grano e la zootecnia. Ma il problema non è solo questo.
La riforma europea consente infatti per la prima volta di stornare fino al
10% del totale delle risorse (288 milioni di euro/anno) per riservarle
"alla tutela e valorizzazione dell'ambiente ovvero per migliorare la
qualità e la commercializzazione dei prodotti agricoli". Allora più spazio
e risorse all'agricoltura biologica, ai prodotti di qualità, tipici e a
denominazione d'origine, al benessere animale negli allevamenti, alla
sicurezza del lavoro agricolo, allo sviluppo di quelle attività che
conservano e valorizzano il paesaggio agrario, è questo che può pienamente
legittimare per i contribuenti il sostegno pubblico al settore. Anche su
questo tema le proposte del Governo sono decisamente deludenti.
Insomma manca un progetto strategico per il futuro dell'agroalimentare
italiano e del territorio da cui ha origine. La riforma agricola è una
occasione da non perdere; è bene discuterne prima che sia troppo tardi. 
                                        Loredana De Petris
                Senatrice dei Verdi - capogruppo in Commissione Agricoltura
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