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povera di sodio... e di diritti
- Subject: povera di sodio... e di diritti
- From: "fra.castracane" <fra.castracane@libero.it>
- Date: Wed, 31 Dec 2003 12:28:13 +0100
Povera di sodio. e di diritti
Una delle più belle pubblicità dell'ultimo periodo, che è anche diventata un
tormentone fra la gente comune, è quella che rappresenta una particella di
sodio sola e abbandonata in mezzo all'acqua minerale. Probabilmente tale
pubblicità va a colpire uno degli aspetti più profondi del nostro inconscio,
legato al bisogno di protezione. Non a caso la particella parla con una voce
da bambino in falsetto, volendo esprimere un invito a non abbandonare sola a
se stessa questa parte di noi che viene proiettata sulla molecola di
sostanza chimica. Potenza della psicologia del profondo.
Ma prima di ragionare su ciò che accade nello stabilimento dove questa acqua
viene imbottigliata, è necessario svolgere una riflessione più complessiva
sul mercato delle acque, minerali e non.
In passato, diciamo fino alla fine degli anni '70, in Italia l'immagine dell
'acqua minerale era legata alla malattia. Rare erano le pubblicità e
generalmente negli spot dell'epoca si prestava attenzione più agli aspetti
depurativi e curativi dell'acqua. Da un certo punto in poi, le acque
minerali sempre più sono state legate a un immagine positiva di uomo o di
donna in forma, che magari usa sempre la macchina anche per andare a
comperare il latte, ma poi va in palestra e beve l'acqua perché tiene al suo
aspetto. Sulle tavole dei paesi ricchi, le acque in bottiglia sono ospiti
fissi. Non solo: dalle scrivanie degli uffici alle borse da palestra, le
bottiglie o bottigliette di acqua sono nostri compagni inseparabili. I
consumi di acque imbottigliate hanno raggiunto oggi livelli che un tempo
sarebbero risultati inimmaginabili: anche perché la reale necessità di acqua
potabile può essere colmata, nella maggioranza dei casi, dai normali
rubinetti di casa. Cosa spinge il consumatore medio a fare uso di acqua in
bottiglia? Chi c'è dietro il mercato delle acque minerali? E soprattutto:
che significa, in termini ambientali, questo uso sfrenato di acque in
bottiglia? Uno dei miti che contraddistinguono chi consuma l'acqua minerale,
è quello di ritenere che l'acqua in bottiglia sia meglio di quella che esce
dal proprio rubinetto di casa. Non è proprio così. Infatti, sebbene sia le
acque potabili che quelle minerali siano destinate al consumo umano, la loro
qualità è disciplinata da due leggi diverse e con diversi contenuti. Il
Decreto Legislativo 31/2001 disciplina le acque potabili, mentre per le
acque minerali i valori limite e i parametri di controllo sono stabiliti dal
Decreto del Ministero della sanità 542/1992. Un rapido confronto permette di
notare che per alcuni contaminanti (ovvero sostanze inquinanti che è
possibile trovare nell'acqua) è previsto un limite di concentrazione per le
acque di rubinetto ma non per quelle in bottiglia: stiamo parlando, ad
esempio, del benzene, del benzo(a)pirene, del nichel o dell'ammonio. Per
altri contaminanti, invece, il limite nelle acque in bottiglia è di molto
superiore a quello dell'acqua di rete; è il caso dell'Arsenico, consentito
in concentrazione massima di 10 mg/l nelle acque di rete e in ben 50 mg/l
per le acque in bottiglia. Il pessimo "sapore" dell'acqua di rubinetto, (per
esempio a Roma) è provocato dalla presenza di Cloro, che viene addizionato
all'acqua a scopo di depurazione batteriologica. Va ricordato però che il
cloro è un elemento "volatile" il quale in presenza di luce tende a scindere
i legami chimici che lo trattengono in acqua e a "volare". Se proviamo a
lasciare l'acqua del rubinetto in una brocca per qualche minuto avremo un
acqua con un tenore di cloro più basso e un odore più gradevole. Inoltre il
PET, che è la plastica dentro la quale la maggior parte della acque viene
imbottigliata è adatto al trasporto di alimenti, ma ad alte temperature,
come ad esempio in una feroce giornata agostana a Roma, può rilasciare nell'
acqua sostanze tossiche. E' questo il motivo per il quale sarebbe vietato
tenere esposte bottiglie al caldo, come invece alle volte capita di vedere
nelle strade italiane.
Il consumo di acque minerali, oltre ad avere un risvolto economico di non
poco conto per l'ente locale, è anche fonte di inquinamento ambientale. Allo
stato attuale, in cambio della concessione per lo sfruttamento della
sorgente, la Regione ha in cambio pochissimi soldi. Dall'altra parte, le
somme necessarie allo smaltimento dei rifiuti sono a carico della
collettività. Il solito giochetto: privatizzare i profitti e socializzare le
perdite. Peccato che i soldi ce li debba mettere come al solito, il
consumatore. Va riconosciuto che in alcuni casi le Regioni stanno tentando
di fare in modo che coloro che gestiscono le sorgenti, comincino a pagare di
più. Ad esempio la Regione Toscana sta per approvare una Legge Regionale che
lega la tassa di concessione alla effettiva produzione della sorgente. In
tal caso avverrebbe che l'acqua Panna ad esempio passerebbe dai 46.482 euri
di ora a una fascia compresa fra i 72 mila e i 216 mila euri; l'Uliveto dai
17 mila di ora potrebbe pagare da 113 mila a 339 mila euri l'anno. Il danno
ambientale riguarda anzitutto lo spreco: degli otto miliardi di litri di
acqua che vengono estratti, ne vengono imbottigliati solamente 2,5 miliardi.
Il resto viene sprecato. Per un lungo periodo di tempo, le uniche bottiglie
di acqua che si potevano trovare in vendita erano di vetro: un materiale
ottimo, ma pesante. Alla fine degli anni '60 si è iniziato ad usare PVC
(policloruro di vinile), per arrivare, negli anni '80 ad un nuovo tipo di
plastica: il PET (polietilene terftalato) che sta progressivamente
rimpiazzando il PVC. Attualmente la plastica, sia PVC che PET, è il
materiale più frequentemente usato: circa il 70% delle bottiglie di acqua
minerale sono fatte in plastica. Considerando che una bottiglia di PET pesa
circa 25g/ litro, che nel mondo vengono consumati 89 miliardi di litri di
acqua in bottiglia e che il 70% delle bottiglie di acqua minerale è in
plastica, ne deriva che ogni anno vengono utilizzati 1,5 milioni di
tonnellate di plastica per creare bottiglie di acqua minerale. Per produrre
la plastica è necessario il petrolio e la plastica è un materiale
difficilmente riciclabile. Bruciarlo produce diossina e crea polveri
tossiche che poi si depositano sulla terra. Inoltre non va dimenticato che
molte acque minerali vengono esportate fuori dalla propria zona se non
addirittura in altri paesi. Ad esempio la Ferrarelle viene prodotta in
Campania ma si trova in tutta Italia. La Volvic (gruppo Danone), un acqua
minerale prodotta in Francia, è la più venduta in Germania, la n°1 per le
importazioni in Giappone, Taiwan e Tailandia e la n° 2 per Inghilterra e
Irlanda. Ne consegue che un'acqua imbottigliata in un posto e venduta in un
altro assume su di se una percentuale di inquinamento e di spreco delle
risorse legato all'energia consumata per trasportarla da un posto all'altro
del mondo. Quindi, se proprio non potete fare a meno di bere acque, sarebbe
preferibile scegliere acque imbottigliate in bottiglie di vetro in posti non
troppo lontani da dove si abita. Ridurrete sicuramente l'impatto ambientale
della vostra bevuta. Ma cosa succede nello stabilimento dove si produce l'
acqua Lete? Siamo a Pratella, in provincia di Caserta, dove ha sede la
Società Generale delle Acque Minerali, che è l'azienda che controlla i due
marchi di acque minerali "Lete" e "Prata". Secondo quanto afferma il
sindacato di categoria della CGIL, la FLAI, il comportamento del
proprietario, signor Nicola Arnone, non è molto improntato al rispetto dei
diritti dei lavoratori. Il sindacato, nella forma di un Rsa (rappresentante
sindacale non eletto dagli addetti, ma delegato dalla stessa organizzazione
dei lavoratori) è entrato in fabbrica soltanto nel 2001. Fino ad allora,
pare non fossero rispettati neanche i diritti minimi: buste paga più basse
rispetto al salario nazionale, mansioni e turni non rispettati. Alcuni
lavoratori raccontano che agli addetti all'imbottigliamento veniva imposto
di passare a lavare i bagni prima di mettersi alle macchine, e chi si
rifiutava veniva sanzionato con lettere di contestazione. I turni erano
stabiliti solo formalmente, dato che potevi essere avvertito anche il giorno
stesso che la sera non dovevi andare a lavorare, o che dopo il turno di
notte avresti dovuto fare pure la mattina. Le buste paga erano differenziate
da lavoratore a lavoratore, non venivano retribuite le indennità di mensa, e
mentre l'azienda ha sempre usufruito dei fondi pubblici della legge 488, le
veniva comminata nel 2000 una sanzione di oltre 400 milioni di lire per
illeciti amministrativi. Pare inoltre che i lavoratori in malattia subiscano
pressioni di varia natura: il sindacato spiega che spesso sono state inviate
a casa ispezioni non proprio «ortodosse». Anziché i medici fiscali, il capo
manda il suo autista personale a verificare la situazione. La Federazione
di categoria, assieme alla CGIL della Campania e alla Federconsumatori,
hanno iniziato una campagna di sensibilizzazione sulle condizioni di lavoro
all'interno dello stabilimento. Colpisce favorevolmente la posizione della
Federconsumatori e si spera che questo voglia essere il primo passo verso un
percorso che porterà la associazioni di difesa dei consumatori fuori dai
loro ambiti tradizionali di pur giusta difesa degli interessi dei
consumatori, che li conduca ad occuparsi anche dell'aspetto etico della
produzione. Il 23 dicembre 2003 Benedetto Arricale, segretario provinciale
della Flai - CGIL ha dichiarato: "Circa un centinaio di dipendenti dell'
Acqua Lete con a capo i tre direttori di stabilimento, hanno invaso il
salone della Cgil dove tenevamo una conferenza stampa per denunciare la
mancanza di sicurezza e di relazioni sindacali all'interno dell'azienda, e
ci hanno apostrofato con epiteti pesanti". La dichiarazione continua: "Ieri
abbiamo visto che i lavoratori che seguivano i dirigenti e hanno invaso il
salone della Cgil, stavano recitando una parte. Insomma vengono in qualche
modo ricattati e si tenta di isolare il sindacato perché pone problemi seri
come la sicurezza all'interno dei luoghi di lavoro. Ma l'azienda da questo
orecchio non vuol sentire e preferisce criminalizzare i rappresentanti
sindacali."
Ha dichiarato invece Michele Gravano, Segretario Generale della CGIL
campana: "Continueremo la nostra battaglia fin quando non cambierà il clima
all'interno dello stabilimento, non verranno rispettati i diritti e
l'azienda non risponderà ad un codice di comportamento etico, caratterizzato
sul terreno della responsabilità sociale. Conforme ad un azienda che tende
ad assumere un ruolo leader nel settore delle acque minerali, così come
emerge dalla grande operazione pubblicitaria che realizza con dispiego di
mezzi spropositato rispetto alle dimensioni stesse dell'impresa. (.) Le
questioni che solleviamo sono di sicurezza, di libertà sindacale ma ci
battiamo anche per la qualità del prodotto. Su questo, abbiamo inoltrato una
istanza alla Magistratura perché attivi tutte le certezze a tutela del
consumatore". Insomma, l'acqua Lete oltre a essere carente di sodio sembra
pure carente di diritti.