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[REP] l I boicottatori "made in Italy"



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6 luglio 2001


I boicottatori "made in Italy"
Da un podere in Toscana la sfida alle multinazionali
Sull'esempio americano si moltiplicano le iniziative per chiedere il
rispetto dell'ambiente e dei diritti dei lavoratori nel sud del mondo

STEFANIA DI LELLIS

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VECCHIANO - La sfida made in Italy alle multinazionali parte da una cascina
nella campagna pisana. Qui, a un passo dal paesino di Vecchiano, in uno
stanzone con le travi a vista sul soffitto e le pareti di pietra coperte di
opuscoli e riviste contro la globalizzazione selvaggia, un ex allievo di
don Milani ha inventato i "consumatori critici" all'italiana. Non ancora
potenti come quelli che in America hanno sfidato McDonald, Nike o Reebok,
ma forti abbastanza da aver obbligato un big come la Del Monte a dire sì
alle rivendicazioni dei lavoratori della piantagione kenyana da cui
arrivano ananas per le nostre tavole.
Il "guru" toscano antimultinazionali si chiama Francesco Gesualdi,
"Francuccio" per gli amici e i compagni di battaglia del suo "Centro nuovo
modello di sviluppo", nato sottovoce nel 1985 e ora esploso sull'onda della
popolarità crescente del popolo di Seattle, di cui è una delle tante anime.
«Quello che noi proviamo a fare da anni è spiegare alla gente che opporsi
alle multinazionali è possibile», spiega seduto nel casolare dove abita con
altre due famiglie. «Basta mettere la testa nell'armadio per capire che i
nostri acquisti non sono un fatto privato. Ogni volta dobbiamo chiederci se
dietro le cose che usiamo ci sono lavoratori sfruttati, bambini
schiavizzati, ambienti devastati. Solo così possiamo scegliere, solo così
non diventiamo complici delle imprese che sfruttano il sud del mondo».
"Francuccio" e i suoi saranno a Genova tra gli antiG8 della «Rete
Lilliput»: «Protesteremo pacificamente - precisa - per evitare che i
contenuti della contestazione passino in secondo piano rispetto agli
scontri. Vogliamo che Genova sia uno strumento per far crescere il numero
dei sostenitori delle nostre battaglie».
Già ora, comunque, il piccolo centro dell'ex ragazzo di Barbiana (che di
mestiere fa l'infermiere a Viareggio), ha un seguito invidiabile: il
manuale "Guida al Consumo critico - Informazioni sul comportamento delle
imprese per un consumo consapevole" ha collezionato sette edizioni e dodici
ristampe. Si calcola inoltre che le campagne di pressione sulle aziende
messe all'indice dall'associazione di Vecchiano e dalle tante altre sigle
impegnate sul fronte degli acquisti responsabili (Manitese, Altromercato,
Equo mercato, solo per citarne alcune) siano in grado di mobilitare più di
un milione di consumatori italiani. «Per ironia della sorte poi - commenta
Gesualdi - proprio la globalizzazione ci darà sempre più forza perché
facilita le alleanze tra i consumatori di varie parti del nord del mondo, e
tra noi e i lavoratori del Sud contro multinazionali, governi tiranni e
istituzioni internazionali».
Uno spettro non da poco per produttori e distributori. Uno spettro con cui
la Del Monte ha già dovuto fare i conti. Il gigante della frutta è entrato
nel mirino del Centro nuovo modello di sviluppo nel '98: «Avevamo avuto
notizie delle pessime condizioni di lavoro nella piantagione di ananas
della Del Monte a Thika, da persone vicine al missionario comboniano Alex
Zanotelli - racconta Gesualdi - Metà della manodopera era costituita da
finti avventizi, assunti il lunedì e licenziati al fine settimana, le paghe
giornaliere non superavano le 3 mila lire, gli operai erano costretti a
usare pesticidi pericolosi senza protezione». La campagna vera e propria è
scattata nel novembre del '99: «Abbiamo chiesto ai consumatori di inviare
tre cartoline: una a Cragnotti che tramite la Cirio possedeva il 70% della
Del Monte, la seconda alla Coop che vendeva con marchio proprio ananas
provenienti da Thika, la terza alla Lazio, sponsorizzata dalla Del Monte».
Le risposte all'appello sono state migliaia in poco tempo. La Coop che
aveva chiesto ai suoi fornitori di sottoscrivere il codice SA8000 (il
marchio che distingue le aziende socialmente responsabili, ndr) ha
minacciato la Del Monte di bloccare l'acquisto degli ananas, una
possibilità ventilata a catena da altri distributori italiani timorosi di
diventare bersagli del popolo delle cartoline. Quanto è bastato per
spingere la società a prendere provvedimenti. La direzione di Thika è stata
cambiata, i salari dei braccianti aumentati del 27%, le condizioni di
lavoro migliorate, i rapporti sindacali ripristinati.
Un successo destinato con ogni probabilità a non rimanere isolato. La
vigilanza dei consumatori italiani sull'etica delle aziende sta crescendo e
le iniziative si moltiplicano. Come quella contro le "Banche armate"
firmata dalla rivista dei missionari Nigrizia, insieme con "Pax Christi" e
il mensile Missione oggi: ai cattolici, ma anche ai laici, è stato chiesto
di scrivere alle proprie banche per verificare che non siano coinvolte in
operazioni di importexport di armi. Una mobilitazione con un certo
successo: l'Unicredito ha già annunciato l'abbandono del settore militare.
Sempre di banche si sta occupando proprio in questi giorni pure il "Centro
nuovo modello di sviluppo" con la "Campagna banche trasparenti", che invita
i consumatori di sincerarsi che i propri istituti bancari non finanzino
«progetti o imprese devastanti per l'ambiente o per i poveri del sud del
mondo».
Ma se il mondo dell'associazionismo si dimostra attivo, non altrettanto fa
la politica. Un cartello di organizzazioni guidate da "Manitese" dal '96 ha
raccolto 160 mila firme chiedendo una legge per obbligare le aziende a
pubblicare annualmente un rapporto sugli aspetti sociali e ambientali della
loro produzione, creare un'Autorità di vigilanza, istituire un marchio
qualità sociale. Alcuni parlamentari Ds e Verdi nel '98 hanno presentato
una proposta di legge, ma - ricorda Gesualdi - «senza troppa convinzione».
«Quando il testo è arrivato in aula era stravolto, prevedeva solo un
marchio di qualità che escludeva l'utilizzo del lavoro minorile. Alla fine
non è passato neanche questo compromesso». «Insomma - conclude - è più
facile fare pressioni sulle multinazionali che sui politici italiani».

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