iniziative in occasione del processo per lo speronamento della nave albanese Kater I Rades




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Il 9 novembre alle ore 8,30 presso la Corte d’Appello di Lecce avrà luogo una delle ultime udienze del processo relativo all’affondamento della nave Kater I Rades.


La vicenda di cui oggi si dibatte risale al 28 marzo 1997, quando, in un clima di isteria generalizzata contro gli albanesi che arrivavano dal mare, una nave militare italiana (la Sibilla) speronò in acque internazionali la carretta del mare Kater I Rades, provocandone l’affondamento con la morte di circa ottanta persone, molte delle quali donne e bambini, in fuga dalla rivolte scoppiate in Albania in seguito alla crisi delle “Piramidi Finanziarie”.


Nonostante le testimonianze dei sopravvissuti che da subito hanno denunciato lo speronamento ad opera della nave Sibilla, oggi si tenta di archiviare quella tragedia come un errore accidentale provocato da chi era al timone della Kater I Rades.

Un tentativo, che oltre ad affossare la verità storica, nasconde le evidenti responsabilità politiche del Governo Italiano e dei Vertici della Marina Militare.


Quella tragedia, infatti, fu una delle conseguenze della politica dei respingimenti generalizzati inaugurata in quegli anni dal governo italiano.

Quella stessa politica che ha trasformato il mar Mediterraneo in uno dei più grandi cimiteri senza lapidi della storia recente (l’ONU denuncia che in 10 anni, sono state più di 10.000 le persone morte nel Mediterraneo nel tentativo di raggiungere l’Europa).


Uno Stato democratico non può accettare che in nome della presunta sicurezza di un Paese, si innalzino barriere che impediscono ogni forma di accoglienza e che violano il diritto internazionale.


La politica dei respingimenti, in aperta violazione con la Convenzione di Ginevra, nega il principio non refoulement che è uno dei principi cardine del diritto internazionale del rifugiato. Un principio che sancisce il divieto per gli Stati nazionali di respingere il richiedente asilo o il rifugiato verso luoghi dove la sua libertà e la sua vita sarebbero minacciati.


L’Italia, così come è avvenuto in passato con gli accordi bilaterali con il governo albanese, continua oggi, con il trattato di Amicizia, Partenariato e Cooperazione siglato con la Libia, a non rispettare La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (art.13 diritto alla libertà di movimento) e i diritti dei richiedenti asilo.