Bhubaneshwar (AsiaNews) – Non ha fine il calvario dei cristiani in
Orissa: il governo sta chiudendo tutti i campi profughi e sta cacciando via i
cristiani. Allo stesso tempo, nessuno garantisce loro sicurezza contro le
violenze e vi sono ancora segnali di odio e rifiuto verso di loro.
P. Nithiya, ofm, è fra i testimoni di queste nuove sottili violenze
contro i cristiani di Kandhamal. Nella zona, dall’agosto scorso, gruppi di
radicali indù hanno ucciso centinaia di persone, bruciato chiese e case,
distrutto coltivazioni. Degli oltre 50 mila sfuggiti ai massacri, circa 20 mila
hanno trovato rifugio in campi approntati dal governo. P. Nithiya, segretario
esecutivo di Giustizia e pace, ha visitato alcuni di questi scampati nel
villaggio di Gobalpur, usando terapie neuro-linguistiche per aiutare le persone
a superare i traumi che ne sono seguiti.
“I campi di rifugio del governo vengono chiusi – dice ad AsiaNews – e
la gente viene mandata via con un piccolo compenso di 10 mila rupie (circa 153
euro). La gente, piena di paura sta tentando di emigrare in altri distretti o
altri Stati. La sicurezza la si mantiene nei grandi centri, ma nei villaggi
lontani nulla è sicuro per i cristiani. É davvero ridicolo che il governo si
sbarazzi dei cristiani con questo misero dono di 10 mila rupie”.
Kesamati Pradhan del villaggio di Kajuri, insieme ad altri suoi
compagni di sventura, hanno presentato una denuncia all’Alta Corte dell’Orissa
contro l’evacuazione forzata dei campi per le vittime di Kandhamal, senza
“adeguate misure protettive per la vita, l’assistenza e il compenso per i
danni”.
Le vittime, oltre a 10 mila rupie ricevono anche 50 kg di riso e un
rotolo di polietilene, per riparare alla meglio le loro case danneggiate. Molti
di loro ritornati nei villaggi, vivono fra le rovine; fogli di plastica vengono
usati come tetto e qualche legno o pianta usata come muro. “I cristiani di
Kandhamal sono trattati come animali: vivono ormai nella paura e non trovano
riparo da nessuna parte. Non possono vivere con dignità: la somma data loro non
è sufficiente nemmeno a comprare il cibo; i loro campi sono stati bruciati; le
loro case sono ormai distrutte”.
Insicurezza e razzismo
La sicurezza però non esiste. “Due giorni fa – racconta una fonte da
Raikia, dove sono avvenuti diversi massacri – nel villaggio di Mokobili, i
gruppi estremisti indù hanno rintracciato i cristiani ritornati dai campi
profughi, li hanno svegliati nella notte e li hanno minacciati. Davanti a
questo, i ritornati non hanno nemmeno il desiderio di mettersi a riparare le
loro case, per paura che i radicali indù gliele distruggano ancora. Si fa
pressione su di loro perché ritirino le denunce contro le violenze perpetrate
dai loro vicini, ma questo non è possibile. In più, da quando sono state
presentate le denunce, non è stato compiuto nessun arresto e la nostra gente è
costretta a vivere nelle loro case distrutte, a fianco dei loro persecutori o
assassini”.
Fratel Oscar Tete, superiore dei Missionari della carità, il ramo
maschile dell’ordine fondato da Madre Teresa, confessa che anche per loro “non
vi è futuro certo”. La loro case e il lebbrosario a Srasananda (Kandhamal) sono
stati distrutti due volte: nel dicembre 2007 e nell’agosto 2008. Ora essi hanno
base a Berhampur, ma ogni settimana vanno a visitare i cristiani e i lebbrosi a
Srasananda perché la loro presenza “è un conforto per la nostra
gente”.
“Non sappiamo ancora se ripareremo la casa a Srasananda. Aspettiamo che
si concludano le elezioni, poi ci penseremo. Ma la situazione è ancora più
dolorosa per tanti nostri fedeli: questi sono lavoratori a giornata e nessuno
offre loro lavoro. Anche se qualcuno ha dei soldi, i negozianti si rifiutano di
vedere qualunque roba ai cristiani, perfino il
cibo”.