«Lei è un’ignorante, è falsa», peggio ancora «lei
semina l’odio, è un’infedele ». L’accusa pesantissima, che in termini
coranici si traduce con la condanna a morte, è diretta all’onorevole
Daniela Santanchè di An. A scagliarla è Ali Abu Shwaima, imam della
moschea di Segrate, appena conclusa una già rovente puntata di
«Controcorrente» negli studi milanesi di Sky sulla questione cruciale del
velo islamico. Nel corso della trasmissione condotta da Corrado Formigli e
andata in onda venerdì sera, la Santanchè aveva sostenuto che «il velo non
è un simbolo religioso, non è prescritto dal Corano».
Ciò in risposta all’affermazione della giovane
Asmae Dachan, figlia del presidente dell’Ucoii (Unione delle comunità
e organizzazioni islamiche in Italia), secondo cui «il velo è un atto di
fede come la preghiera e l’elemosina, è un fattore di adorazione di Dio».
La replica di Abu Shwaima è stata impietosa eminacciosa: «Non è vero che
nel Corano non ci sia l’obbligo del velo. Io sono un imam e non permetto a
degli ignoranti di parlare di islam. Voi siete degli ignoranti di islam e
non avete il diritto di interpretare il Corano ». Successivamente, rivolto
all’altra ospite negli studi di Sky a Roma, Dunia Ettaib, rappresentante
dell’Unione delle donne marocchine in Italia, tenacemente contraria al
velo, Abu Shwaima ha sentenziato con un italiano approssimativo (quasi la
dimostrazione della difficoltà di integrarsi per un integralista che
risiede da circa 40 anni nel nostro Paese ma che coltiva l’ambizione di
convertire gli italiani all’islam): «Il velo è una legge che Dio ha
mandato. È Dio che lo dice, l’uomo non può negarlo. Se uno crede
nell’islam lo segue. Senza essere uno che non crede, di dire che non lo
deve portare».
A questo punto Dunia chiede lumi (questo
scambio di battute non è però andato in onda): «E quelle che non portano
il velo non sono musulmane?». Secca la risposta di Abu Shwaima: «Il velo è
un obbligo di Dio. Quelle che non credono in questo non sono musulmane».
Quindi le musulmane che non portano il velo sarebbero delle miscredenti e
delle apostate, altra accusa che si trasformerebbe nella condanna a morte.
È un nuovo episodio che dovrebbe spingere gli italiani a guardare in
faccia la realtà per quella che è e non per quella che immaginano che sia
o sperano che diventi, partendo dal vissuto dei suoi protagonisti e
affrancandosi dai filtri ideologici, culturali e religiosi che portano
alla mistificazione della realtà. E la questione del velo islamico va
considerata per il significato che le danno coloro che in Italia si ergono
a rappresentanti dei musulmani. Prendiamo atto del fatto che Abu Shwaima,
autodesignatosi imam della moschea di Segrate, nonché «emiro del Centro
islamico di Milano e Lombardia», è sia fondatore e membro del «Consiglio
dei saggi» d e l - l’Ucoii, sia responsabile della Da’wa, ovvero della
propaganda islamica, della Fioe (Federazione delle organizzazioni
islamiche in Europa), che è la cornice unitaria delle organizzazioni
affiliate ai Fratelli musulmani nel nostro continente.
Prendiamo atto del fatto che Asmae Dachan è
portavoce dell’Admi (Associazione delle donne musulmane in Italia),
creatura dell’Ucoii. Ebbene per entrambi il velo è un obbligo islamico,
con la conseguenza esplicita della condanna, implicitamente anche a morte,
delle donne che non lo indossano o si schierano contro il velo perché
sarebbero delle infedeli, miscredenti e apostate. Questa è la realtà di
cui dovrebbero finalmente rendersi conto i politici di sinistra e di
destra che hanno legittimato il velo islamico sulla base del «buonsenso»
(una versione islamicamente corretta di equidistanza o equivicinanza tra
il velo integrale e il capo scoperto), o se ne sono addirittura innamorati
perché sarebbe esteticamente bello, i magistrati che hanno accreditato nel
nostro codice laico con una sentenza definitiva il velo come una
prescrizione islamica, i religiosi cattolici che dicono sì al velo
islamico purché non si metta in discussione il sì al crocifisso nella
sfera pubblica, le donne italiane che risultano indifferenti alla sorte
delle musulmane.
Prendano atto che il velo è lo strumento
principale di penetrazione sociale dei Fratelli musulmani perché porta
alla sottomissione della donna e alla formazione di una «comunità
islamica» forgiata dalla sharia. Mobilitiamoci pertanto per salvaguardare
il diritto delle musulmane a non portare il velo, per sostenere una
maggioranza di musulmane che oggi è sostanzialmente laica e liberale, per
difendere l’Italia dall’ideologia oscurantista e totalitaria che si
nasconde dietro al velo. Prima che sia tardi.
Magdi Allam