Li
chiamano "morti civili", vittime degli effetti collaterali USA in Iraq,
vittime dei bombardamenti israeliani in Palestina ed in Libano, scudi
inermi immolati dalla guerriglia Hezbollah nel sud del Libano, casuali
agnelli sacrificali di Al Qaeda in Iraq, ignari lavoratori prescelti
dai kamikaze di Hamas in Israele, vittime della quotidiana repressione
baathista in Siria o della quotidiana repressione degli imam in Iran.
In
realtà, sono decine di migliaia di uomini e donne, uccisi dalla guerra
e dal nazionalismo degli Stati, centinaia di migliaia di sfollati verso
una salvezza precaria, appesi ai corridoi umanitari... sotto controllo
militare.
In
realtà sono milioni di uomini e donne, divisi strumentalmente da
differenze religiose, etniche, linguistiche, su cui soffia il
nazionalismo ed il razzismo militarista degli Stati, impegnati nel
ritagliarsi il ruolo migliore all’interno degli interessi
imperialistici nell’area.
Ecco
i grandi esclusi dalla conferenza di Roma. Ecco i diseredati senza
rappresentanza, senza potere politico che non siano i capi di Stato,
senza potere economico che non siano ancora una volta i capi di Stato,
la Banca Mondiale, il Fondo Monetario e le grandi multinazionali del
petrolio in mano alle borghesie arabe ed occidentali. Ecco i lavoratori
senza i loro sindacati, più e più volte vietati, repressi e disciolti
in tutto il Medio Oriente, fino all’eliminazione fisica dei loro
esponenti come Hadi Sahel in Iraq, ucciso nel 2005.
Essi
non avranno un futuro nel nazionalismo dei loro Stati o aspiranti tali,
non saranno liberati dai vecchi arnesi del terzomondismo che ancora
oppone un popolo oppresso ad un popolo oppressore, senza riuscire a
capire che la vera opposizione è - in ogni paese, in ogni popolo - tra
proletariato e borghesia, tra sfruttati e sfruttatori, tra i miseri
sfollati allo sbando del sud del Libano ed i ricchi di Beirut sfollati
negli alberghi di Damasco, tra i palestinesi d’Israele e con loro gli
ebrei africani in fondo alla scala sociale israeliana e la borghesia al
potere a Tel Aviv.
Non
è il sionismo ebraico il nemico del proletariato arabo, non è l’islam
sunnita o sciita il nemico del proletariato israeliano, ma le
rispettive borghesie nazionali e quelle internazionali.
La
tragedia del Libano rappresenta l’enormità di questi interessi. Israele
deve mantenere i territori conquistati nella guerra del 1982; la Siria
sunnita - che non mai lasciato in realtà la sua "colonia" libanese - ne
pretende la restituzione ed arma Hezbollah sciita per tenere sotto
pressione Israele; Hezbollah forse pensa di aver dato una mano ai
Palestinesi distogliendo Israele dal massacro a Gaza, ma in realtà
quello che succede a Gaza appare oggi meno importante di quello che
accade nel sud del Libano; la Siria sunnita passa dall’alleanza
anti-Saddam del 1991 all’alleanza con l’Iran sciita per agganciarsi
alla potenza imperialista nascente nell’area in chiave anti-USA tra
Iraq e Afghanistan; e dietro tutto in un crocevia di corridoi e di
sfruttamento di materie prime negli Stati, tra gli Stati, dell’area
medio-orientale e turanica, tutti alla ricerca del miglior interesse e
del maggior potere all’ombra dell’imperialismo. Quello statunitense,
quello russo, quello cinese, forse quello europeo.
Il
nuovo governo italiano riesce ad accreditarsi, in forza di una antica
reputazione nei paesi arabi, come mediatore credibile utile agli Stati
Uniti con Siria e Iran, ma se così facendo riconquista un ruolo in
politica estera più consono alla tradizione nazionale, con un filo
diretto con la politica estera che fu di Craxi e Andreotti, dopo il
lacchettismo dell'ultimo governo, resta assolutamente funzionale agli
interessi egemoni americani, tra l'altro con spazi di manovra
assolutamente esigui.
E
intanto a Gaza e in Cisgiordania e nel sud del Libano si continua a
morire. Morti civili di una guerra sub-imperialista e non di una guerra
di liberazione.
La
conferenza di Roma ha messo in conto altre vittime; il cessate il fuoco
non c’entra nulla con l’umana pietà per lo scempio di vite inermi, deve
invece attendere la mediazione tra le borghesie in gioco. I lavoratori
libanesi devono attendere, ripararsi e sperare; così i palestinesi e
gli israeliani. Ma il proletariato del medio-oriente non può più
attendere le conferenze internazionali: è necessario che rinasca una
speranza di riscatto, di autonomia, di riaggregazione di classe,
attraverso l’opposizione antimilitarista dei refusnik e dei disertori
israeliani, attraverso la costruzione della lotta nonviolenta contro il
Muro fatta da militanti israeliani e palestinesi insieme, attraverso la
rinascita dei sindacati in Iraq e in Siria, attraverso le lotte operaie
nei pozzi petroliferi del sud dell’Iraq e dell’Iran, attraverso il
superamento delle divisioni religiose ed nazionali.
L’unità
dei lavoratori è la miglior arma contro le guerre e lo sfruttamento. In
medio-oriente come in tutto il mondo. Un nuovo internazionalismo, di
classe e solidale, è sempre più urgente.
FEDERAZIONE DEI
COMUNISTI ANARCHICI
28 luglio 2006