La vita da carcere
di massima sicurezza dei detenuti di Guantanamo raccontata da chi c’è
stato Daily Telegraph |
Sono 500 divisi in 3
categorie: collaboranti, obbedienti e 100 irriducibili in
isolamento
Le “commissioni militari” per risolvere il problema
legale Pubblichiamo un articolo del quotidiano britannico Daily
Telegraph, in cui l’autore, Con Coughlin, racconta quel che ha visto nella
base americana di Guantanamo.
Sono le anime perdute della guerra
contro il terrorismo. Quattro anni dopo essere stati catturati sui campi
di battaglia dell’Afghanistan, le varie centinaia di combattenti talebani
e di al Qaida detenuti a Guantanamo si trovano intrappolati in una “legal
no-mans’s land”, in una terra di nessuno dal punto di vista legale. Nel
corso di una rarissima visita che io stesso ho potuto effettuare questa
settimana a Camp Delta (la rete di edifici supersorvegliati nei quali i
prigionieri sono alloggiati), ho visto detenuti di età e retroterra
culturali molti diversi che stanno ancora cercando di adattarsi in qualche
modo al loro incoerente mondo su un’isola caraibica. Ho incontrato un
anziano capotribù pashtun, con una lunga barba bianca e immacolata e fieri
occhi scuri, orgogliosamente eretto sull’attenti davanti alla sua cella.
C’era un gruppo di giovani pachistani sui vent’anni che giocavano a
pallone. Seduti in un angolo tranquillo, sotto un tetto di lamiera che li
proteggeva dal feroce sole di mezzogiorno, ho visto un gruppo di afghani
di mezz’età che pranzavano insieme e discutevano in modo molto cordiale.
Questi, secondo le autorità americane, sono alcuni dei più pericolosi
uomini sulla terra (a Guantanamo non ci sono detenuti donna). Dei circa 70
mila combattenti catturati durante la guerra in Afghanistan, i 750
detenuti di Guantanamo (la base navale di 45 miglia quadrate che il
governo americano ha affittato da Cuba) sono stati identificati, sulla
base dei rapporti dei servizi segreti e di sicurezza, come figure di primo
piano nelle reti terroristiche di al Qaida e dei talebani, che potrebbero
fornire importanti informazioni sulla campagna terroristica contro
l’occidente. I detenuti provengono da 44 paesi diversi, si parlano in
tutto 17 lingue differenti. Sono stati tutti catturati nel corso
dell’operazione Enduring Freedom, la campagna militare guidata
dall’America contro al Qaida e contro i talebani in Afghanistan. La
maggior parte è di nazionalità afghana, pachistana, saudita e yemenita, ma
c’è anche un australiano convertitosi all’islam radicale per entrare in
guerra contro l’occidente. Degli originari 750 detenuti, 250 sono stati
rilasciati. Alcuni perché le autorità americane non li ritenavano più una
minaccia o in possesso di utili informazioni. Altri (come i detenuti
britannici) sono ritornati nei loro paesi d’origine grazie all’intervento
dei loro governi. Ma quelli che ancora rimangono si trovano davanti a un
futuro incerto, in quanto le autorità americane continuano a insistere che
sono troppo pericolosi per essere rilasciati o che posseggono ancora
informazioni considerate di cruciale importanza per il proseguimento della
guerra contro il terrorismo. Insomma, dopo quattro anni di prigionia,
alcuni detenuti posseggono ancora informazioni decisive sulla rete
terroristica internazionale guidata da Osama bin Laden. “Un detenuto
ci ha fornito informazioni fondamentali relative agli attentati di
Londra”, ha dichiarato al Daily Telegraph un importante ufficiale
americano di Guantanamo. “Persino quattro anni dopo la loro cattura
possono ancora dare decisive informazioni sulla rete di al Qaida”. I
militari americani temono anche che, se rilasciati, potrebbero riprendere
a combattere contro le forze della coalizione. Almeno dodici dei detenuti
finora rilasciati in ragione del fatto che non rappresentavano più una
minaccia sono stati coinvolti in attacchi contro la coalizione, compreso
un afghano al quale era stato fornito un arto artificiale durante la sua
detenzione a Guantanamo.
Le foto le ha fornite Castro Nel
corso di quattro anni, la struttura detentiva di Guantanamo si è
completamente trasformata rispetto alle prime inquietanti immagini dei
prigionieri legati, con gli occhi coperti e vestiti con tute arancioni che
venivano condotti dai soldati americani per essere interrogati. Quelle
immagini erano state fornite grazie alla cortesia del leader cubano Fidel
Castro, che aveva permesso a un fotografo americano di avere accesso
all’estremità del confine cubano con Guantanamo allo scopo di mettere in
imbarazzo i suoi nemici americani. I prigionieri non sono più detenuti in
provvisorie celle di metallo all’aria aperta a Camp X-Ray, dove erano
stati alloggiati i primi all’inizio del 2002. Lo stesso Camp X-Ray è stato
abbandonato ed è già stato ricoperto dalla sterpaglia. Il dipartimento
della Difesa americano ha speso centinaia di migliaia di dollari per
trasformare quella che un tempo era una sonnecchiante e insignificante
base navale in una modernissima prigione di massima sicurezza, capace di
ospitare centinaia di detenuti per tutto il tempo desiderato. In molti
casi, dicono i funzionari del governo americano, questo potrebbe
equivalere a tutta la “durata del conflitto”, il che, tenendo conto
dell’incerta natura della guerra al terrorismo, potrebbe significare
decenni. Infatti, malgrado tutte le critiche piovute su Washington per
il trattamento riservato ai detenuti (o “nemici combattenti”, come il
governo americano preferisce chiamarli), Guantanamo è stata
istituzionalizzata, tanto che si stanno investendo molti milioni di
dollari per costruire altre strutture di massima sicurezza. “In sostanza,
non c’è nessun altro posto dove possiamo tenere prigioniere queste persone
– dice un importante funzionario americano – E finché porranno una
minaccia alla nostra sicurezza o potranno fornire informazioni importanti
per prevenire altri massacri, dobbiamo avere a Guantanamo efficienti
strutture di massima sicurezza per garantire una detenzione rispettosa dei
diritti umani”. Dopo essere stati sottoposti ad accurati controlli e
interrogatori, i detenuti sono ora suddivisi in tre categorie, a seconda
della loro disponibilità ad accettare le peculiari circostanze della loro
prigionia. La maggior parte appartiene alla categoria definita dai
funzionari americani con il termine di “obbedienti”: accettano le regole
del centro di detenzione ed è accordato loro un trattamento simile a
quello delle prigioni normali. Gli “obbedienti” sono ospitati in celle con
l’aria condizionata in edifici a un solo piano appositamente costruiti
nella rete in espansione dei cinque campi di prigionia costituenti Camp
Delta, che ha sostituito Camp X-Ray. Ogni edificio contiene 48 celle ed è
circondato da un doppio anello di filo spinato, con torrette di
sorveglianza sempre operative. Ogni cella ha un gabinetto alla turca e un
lavandino. I detenuti portano vestiti marrone chiaro e sono loro forniti
alcuni articoli per l’igiene personale, alcuni giochi (come il backgammon
e gli scacchi, che giocano urlandosi le mosse da una cella all’altra) e
una copia del Corano. In ogni cella è disegnata una freccia che indica la
direzione della Mecca, per eseguire le preghiere quotidiane rivolti verso
la città santa del Profeta. Sono concesse due ore di esercizio fisico al
giorno e la possibilità di scegliere i tre pasti da un menu che include
gelato, biscotti e burro di arachidi. C’è un ospedale perfettamente
equipaggiato per affrontare qualsiasi emergenza medica, e molti detenuti
sono stati curati non soltanto per le ferite riportate durante la guerra
in Afghanistan, ma anche per numerose altre malattie. Agli “obbedienti”
che sono pronti a collaborare con i servizi segreti americani sono
concessi ulteriori privilegi. Questa seconda categoria di detenuti indossa
tute bianche, ha il permesso di vivere in strutture comuni, di pranzare
insieme agli altri detenuti e di giocare a calcio e pallacanestro.
I “cocktail numero quattro” La terza categoria, invece, quella
dei detenuti “non-obbedienti” che rifiutano di accettare il confinamento,
pone gravi problemi ai militari americani. Molti di questi detenuti sono
irriducibili combattenti di al Qaida, convinti che la loro divina missione
sia uccidere i propri “infedeli” catturatori. Attaccano spesso le guardie
e, quando non possono farlo, tirano loro addosso pallottole fatte di
escrementi – che le guardie chiamano “cocktail numero quattro”. E’ proprio
in caso di incidenti come questi che le guardie hanno reagito in modi
discutibili, per esempio oltraggiando il Corano (il famoso caso di un
Corano gettato dentro un gabinetto è a quanto pare avvenuto in un caso di
questo tipo). Ma, per timore di un ripetersi degli abusi sui prigionieri
verificatisi ad Abu Ghraib, le guardie hanno l’ordine di non rispondere
alle provocazioni. “Abbiamo svolto indagini su 15 guardie accusate di
abusi – dice un funzionario di Guantanamo – Soltanto in cinque casi vi
erano prove concrete, e si sono presi adeguati provvedimenti contro i
colpevoli”. I prigionieri “non-obbedienti” sono detenuti in ali
separate del campo ed è garantito per loro soltanto lo stretto necessario,
comprese le famigerate tute arancioni. Sono concessi loro soltanto tre
periodi di mezz’ora di esercizio fisico alla settimana. Non stupisce che
sia proprio in quest’ala che si verifica la maggior parte degli scioperi
della fame. Lo scorso anno, nel momento di massima intensità degli
scioperi, c’erano oltre cento detenuti che rifiutavano di mangiare. Oggi
ne rimangono cinque, e soltanto uno di essi ha continuato a fare sciopero
della fame fin da quando la protesta è iniziata, lo scorso agosto.
(segue dalla prima pagina) Il governo americano è stato fortemente
criticato dall’Onu e dalle organizzazioni per i diritti umani per essersi
arrogato il diritto di nutrire a forza i prigionieri in sciopero della
fame. Ma gli ufficiali medici di Guantanamo rifiutano le critiche:
“Abbiamo il dovere di trattare queste persone in modo umano e di salvar
loro la vita, ed è esattamente ciò che facciamo”. Oltre ai problemi
connessi con gli scioperi della fame, nel corso di questi quattro anni il
personale medico di Guantanamo ha dovuto affrontare circa trenta tentativi
di suicidio. Per soddisfare le esigenze di supersicurezza imposte
dalla necessità di detenere sia i prigionieri “non-obbiedienti” sia quelli
in possesso di importanti informazioni, gli americani hanno completato la
costruzione di Camp Five, una prigione di massima sicurezza progettata sul
modello di un penitenziario federale in Indiana. Vi sono quattro edifici
di celle, ognuno con una sala per interrogatori. La prova che, per il
prossimo futuro, Washington è determinata a mantenere Guantanamo come
propria principale struttura di detenzione nella guerra contro il
terrorismo la si può vedere nel fatto che ha appena investito 31 milioni
di dollari per la costruzione di una nuova struttura. Malgrado tutte le
critiche, Washington non ha alcuna intenzione di rinunciare al diritto di
tenere prigionieri nella sua base cubana. La polemica nasce sul
terreno della definizione legale dei detenuti. Per gli americani, i
detenuti di Guantanamo sono “nemici combattenti”, guerriglieri fanatici
che non appartengono a nessun paese, non indossano alcuna uniforme e non
fanno alcuna distinzione tra uccidere soldati o civili nella loro
devozione alla guerra contro l’occidente scatenata dal leader di al Qaida,
Osama bin Laden. Come tali – sostengono gli americani – non sono coperti
dalla Convenzione di Ginevra e non si qualificano come prigionieri di
guerra, per quanto il trattamento include buona parte di quanto richiesto
dal diritto internazionale. Ma la creazione di una nuova categoria di
detenuti catturati sul campo di battaglia è stata aspramente criticata
dalle associazioni per i diritti umani e dall’Onu, secondo cui i detenuti,
se non sono classificati come prigionieri di guerra, devono essere o
accusati di qualcosa oppure rilasciati. Per controbattere queste critiche,
le autorità statunitensi, il 27 febbraio, apriranno alcune “commissioni
militari” (o corti militari) per processare i detenuti accusati di crimini
di guerra. Finora soltanto dieci hanno ricevuto quest’accusa, ed è
probabile che solo una piccola percentuale di loro sarà portata davanti
alla commissione. “Il problema è trovare le prove per processarli – ha
spiegato un ufficiale – Queste persone sono state catturate sul campo di
battaglia, e questo non è certo un luogo dove si possono mandare i
poliziotti a raccogliere le prove”. Le autorità americane continuano a
valutare i detenuti per stabilire se possano essere rilasciati o no. Ma si
trovano di fronte a un problema, perché non possono rilasciare detenuti
appartenenti a paesi dove potrebbero essere torturati. In questo momento
ci sono circa cento detenuti (compresi alcuni cinesi) che gli americani
vorrebbero rilasciare e rimandare nei loro paesi, ma non possono a causa
del trattamento che potrebbero subire da parte dei loro governi. Almeno
per il prossimo futuro, dovranno restare, insieme con tutti gli altri, a
languire nella terra di nessuno di Guantanamo Bay. “Certo, non è la cosa
ideale, ma, date le circostanze, riteniamo che sia la soluzione migliore –
dichiara un importante funzionario del Pentagono – Se qualcuno ha un’idea
migliore, si faccia avanti, siamo pronti ad ascoltarlo”. Con Coughlin
© Daily Telegraph (traduzione Aldo
Piccato)
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