Vogliono un mega-attentato in Europa?



George P. Schultz - Berlino, 31 gennaio 2006
 
Riunione dell'Associazione germanica per i rapporti con l'estero, DGAP.
 
Ad un certo punto, il dibattito viene egemonizzato dagli americani del «Center for Transatlantic Studies» della John Hopkins University, Daniel Hamilton, Heiko Borchart e Gerd Foehrendbach. Costoro hanno dato voce, furiosamente, a tutto il loro dispetto per la «passività» europea nella lotta al terrorismo globale di Bush e neocon.
Gli abitanti del vecchio continente, hanno detto, vivono nella «devastante convinzione che l'Europa sia in qualche modo immune da grandi attacchi terroristici».
Un atteggiamento, hanno aggiunto, che cambierà di colpo quando gli europei si troveranno di fronte a un «mega-attentato».
Che «non è questione di se, ma di quando».
Per chi sappia chi sono i veri mandanti dell'11 settembre, questa è una chiara minaccia.
Specie se si considera che viene pronunciata su uno sfondo da «scontro di civiltà» provocato dai cartoons anti-islamici, e che è stato volutamente organizzate in Europa per concentrare sugli europei la rabbia delle masse islamiche fanatiche.
Su tale orchestrazione il Movimento Solidarietà fornisce nuovi particolari (1).
Il giornale danese da cui tutto è cominciato, il Jylland Posten, appare tra le forze che hanno fondato (il 10 marzo 200) un nuovo centro-studi in Danimarca, il CEPOS (Centro Danese di Studi Politici): ricalcato sulle cosiddette «fondazioni culturali» USA, il CEPOS - focolaio della politica anti-islamica - si è subito collegato ai centri nei conservatori americani (i quali del resto lo hanno fatto nascere), l'American Enterprise di Richard Perle, Leeden e Wolfowitz, e la Heritage Foundation, «pensatoio» dell'estrema destra liberista repubblicana, com'è del resto il danese Posten; il CEPOS è collegato anche a due think-tank di Londra, l'Adam Smith Institute e l'Institute for Economic Affairs.
E su Jylland Posten, si apprende ora che il giornale si era rivolto all'associazione dei disegnatori danesi commissionando esplicitamente le immagini islamofobe.
Lo stesso giornale, nel 2003, aveva rifiutato una serie di vignette ugualmente diffamatorie su Gesù, rispondendo al disegnatore, tale Christoffer Zieler, che le immagini erano «offensive per i lettori» (2).
Ma torniamo al CEPOS danese.
Lo presiede un super-conservatore danese, Bernt Johan Collett, che è stato ministro della Difesa, ed oggi è gran ciambellano della Corte danese nonché Maestro della Caccia Reale (è un ambientalista sfegatato, sua moglie dirige Europa Nostra, ala internazionale di Italia Nostra).
Nel comitato dei consiglieri figura George P. Schultz, eminenza grigia del potere occulto americano: membro distinto della Hoover Institution (un'altra fondazione «culturale», potentissima), già ministro, è stato presidente della Bechtel (la multinazionale delle attrezzature petrolifere) di cui è tutt'ora consigliere d'amministrazione; è inoltre presidente dell'International Council della banca d'affari J.P. Morgan Chase, legata ai Rockefeller e al vecchio potere finanziario USA.
Insieme a James Woolsey, ex capo della CIA (che si distinse nel cercare autonomamente «prove» delle armi di distruzione di massa di Saddam, ed annunciò, dopo l'11 settembre, che cominciava «la quarta guerra mondiale»), George P. Schultz dirige il Committee on the Present Danger.
Storica istituzione questo CPD, la cui importanza non può essere sottovalutata.
I più irriducibili guerrafondai americani nel sistema di potere lo fondarono ai tempi di Carter, da loro giudicato troppo «molle» con Mosca, per diffondere nelle stanze del governo la loro idea fissa: l'URSS sta per superare l'America nella corsa agli armamenti, anzi progetta di sferrare un attacco atomico a sorpresa contro gli USA (era questo il «present danger», il pericolo imminente).
Come conseguenza, i dottor Stranamore proponevano: un aumento enorme delle spese militari, l'abbandono di ogni trattativa con Mosca per il controllo degli armamenti e anzi, stracciare subito i trattati di controllo già in atto («sono trucchi di Mosca per disarmarci»), e - ovviamente - armare pesantemente Israele, «unico alleato nel Medio Oriente»: molti membri del CPD erano, non stupirà, ammiratori del Likud e di Sharon.
Sotto la presidenza Clinton, un altro «molle» da spingere su strade belliciste, il Committee on Present Danger si è sdoppiato in due nuove fondazioni «culturali» che sono in realtà le lobby congiunte dell'apparato militare industriale e della lobby likudnik: uno è il Jewish Institute for National Security Affairs (JINSA), e l'altro è il Center for Security Policy (CPS).
Membri dell'uno e dell'altro «pensatoio»?
I soliti neocon, che non sono poi tanti e devono quindi fare molte parti in commedia: Richard Perle, Douglas Feith (numero 3 al Pentagono l'11 settembre), Paula Dobriansky, Elliott Abrams…tutte personalità che oggi troviamo al fianco di Daniel Pipes come promotori della crociata anti-musulmana mondiale.
Oggi il Commitee on Present Danger, rinato a nuova vita, predica che l'imminente pericolo non viene più dalla Russia, bensì dall'Iran.
E propone le solite ricette: riarmo colossale americano, riarmo di Israele (ormai la terza potenza mondiale), nessuna trattativa ma politica della pura forza.
Non è strano che personaggi del genere guardino con rabbia lo scarso entusiasmo europeo per la guerra al terrorismo.
La forza e pericolosità di questa rabbia è stata descritta così da Peter van Ham (3), un insider olandese (dirige il Netherlands Institute of International Relations): «non solo i neocon, ma la vasta maggioranza dei duri americani oggi considerano l'Unione Europea come una provocazione, che indebolisce la fibra morale di un intero continente e mina la visione 'realista' in cui gli USA possono giocare il ruolo di egemone senza rivali».
Ciò perché «la UE, con la sua stessa esistenza, mostra la possibilità di un modello totalmente diverso, che svaluta la forza e la realpolitik ed esalta il ruolo del diritto e della fiducia…fino a rendere la forza militare irrilevante».
«Mentre l'Europa abolisce i confini, gli americani li induriscono, sia nelle loro teste sia sul terreno», aggiunge l'olandese.
Ciò provoca negli Stati Uniti «una marea crescente di anti-europeismo, segno che la politica estera americana diventa sempre più autistica e meno disposta ad ascoltare i suoi amici».
E infine: «sia i realisti sia i neocon americani ora dicono: se gli europei sono così volonterosi di rafforzare la loro unione per competere con gli USA su tutti i fronti, finiremo per dare loro quello che chiedono: rivalità e, al bisogno, conflitto».
Ancora: questo disprezzo e rabbia per l'Europa configura una chiara e concreta minaccia.
Specie se si considera che a nutrirlo sono i dottor Stranamore «autistici» (e un po' Lubavitcher (4)) del Commitee on the Present Danger, per i quali «conflitto» non è una metafora: è l'aggressione militare e l'eversione, la guerra convenzionale e non-convenzionale.
Con tutti i mezzi, e senza rispetto dei trattati sottoscritti.
Gli europei non sono più «amici», sono nemici particolarmente insidiosi, perché «pacifisti».
Ora, alla riunione del tedesco DGAP del 31 gennaio, questi americani hanno dettato l'agenda, dal titolo: «Un nuovo dialogo USA-Europa sulla difesa del territorio».
Ecco cosa sono venuti a dirci: se volete la nostra «amicizia», un «nuovo dialogo transatlantico», voi europei dovete estendere all'Europa e alla NATO le misure di polizia e leggi speciali emanate da Bush dopo l'11 settembre.
In USA ormai non solo le intercettazioni extralegali sono ammesse, ma la NSA (National Security Agency) sta allestendo campi di concentramento (da riempire con americani dissidenti, «complici oggettivi» del terrorismo islamico), e il Pentagono - in violazione della Costituzione - si sta preparando al mantenimento dell'ordine interno: insomma l'apparato specifico di un colpo di Stato, messo in atto con la giustificazione di uno «stato d'emergenza» imminente, che sarà un'ottima occasione per mettere sotto controllo anti-democratico la popolazione USA.
Si fanno i primi passi per mettere internet sotto controllo, attraverso l'obbligo di pagamento per i contenuti e per le @ mail.
Il potere dell'esecutivo è assoluto e incontrollato.
Chi entra in USA anche solo per prendere un aereo di coincidenza viene fotografato e gli vengono prese le impronte digitali.
Gli Stati Uniti sono ormai un regime poliziesco che somiglia ogni giorno di più alla Germania Est dei bei tempi.
Ma non basta.
Ora i golpisti dell'11 settembre esigono che queste misure da stato d'eccezione siano adottate anche dall'Europa e dalla NATO; per esempio consentendo alle polizie e alle forze di sicurezza americane di operare sul territorio europeo, insomma estendendo alla «vecchia» quel che la «nuova Europa», Romania e Polonia, hanno già fatto ospitando i campi d'internamento e d'interrogatorio della CIA. In questo quadro, gli americani vogliono che la NATO diventi la forza di sicurezza interna,
che controlli il territorio e i cittadini europei, tutto naturalmente nel nome della «lotta al terrorismo» e dell'«ordine pubblico» interno.
Non è un'ipotesi.
E' l'ordine del giorno che si dovrà discutere al vertice della NATO programmato per l'autunno a Riga («nuova Europa»).
Il quadro di un controllo militare sui propri cittadini.
L'Europa nicchia un po'.
Ecco la rabbia americana.
Voi, ci hanno detto, vivete «nella devastante convinzione che l'Europa sia immune da mega-attacchi» perché siete rammolliti, senza fibra morale, pacifisti (le tesi di Giuliano Ferrara).
Invece no, il mega-attentato arriverà.
Islamico, naturalmente: e già vedete che i musulmani bruciano le vostre ambasciate.
«Non è questione di se, ma di quando»: una minaccia chiarissima.
Il nostro nemico è il nostro alleato.

Maurizio Blondet

Note
1) Eir Strategic Alert, 6-9 febbraio 2006.
2) G. Fouché, «Danish paper rejected Jesus cartoons», Guardian, 6 febbraio 2006.
3) Peter van Ham, «Trans-atlantic tensions - How a relationship goes sour», International Herald Tribune, 7 febbraio 2006.
4) La setta messianica dei Lubavitcher scrive nei suoi opuscoli: «siamo in guerra. Non è solo una lotta per il potere, i beni o qualche vantaggio materiale; è uno scontro titanico sul futuro della civiltà mondiale [..] Questa guerra già dilaga in ogni nazione, in ogni istituzione, in ogni attività umana, Per questo è 'guerra mondiale' nel significato più radicale». E' l'esatto programma dei neocon, dello scontro di civiltà e…di Giuliano Ferrara. Confronta il mio «Chi comanda in America», Effedieffe, 2004, pagina 30.
 
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Sent: Friday, February 10, 2006 11:12 AM
Subject: Ansu News del 10/02/2006.