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centenario di Erich Fromm (1900-1980)
- Subject: centenario di Erich Fromm (1900-1980)
- From: Alessandro Marescotti <kfqma at tin.it>
- Date: Mon, 08 May 2000 12:57:04 +0200
Ciao a tutti, cento anni fa nasceva Erich Fromm, uno degli ispiratori della cultura umanista. Scompariva vent'anni fa lasciando un'eredita' immensa e feconda. Invito tutti gli amici che hanno letto Fromm a scrivere qualcosa su questa lista. Nel frattempo inserisco una scheda tratta da: http://www.geocities.com/Athens/Delphi/6695/Francoforte.html Consiglio inoltre la lettura del saggio "I costi esistenziali del consumo" (di Michele Dorigatti): http://www.col.it/margine/archivio/1998/l9.htm in cui viene citato Fromm, il quale fu uno dei filosofi piu' consapevoli nella critica al consumismo. Ovviamente sono cose che non destano piu' alcun interesse in quegli intellettuali che aspirano a diventare (o a continuare ad essere) i servi fedeli del potere. Per loro Erich Fromm e' stato solo uno sciocco socialista illuso e pacifista. E che per di piu' aveva il vizio di utilizzare la parte umanistica di Marx, come nel libro "Marx e Freud" (Il Saggiatore, 1971), di cui cui citava: "La necessita' di rinunciare alle illusioni sulla propria condizione e' la necessita' di rinunciare a una condizione che ha bisogno di illusioni. La critica non ha strappato i fiori immaginari dalla catena perche' l'uomo continui a trascinarla triste e spoglia, ma perche' la getti via e colga il fiore vivo". Un cordiale saluto a tutti. Alessandro --------------------------------------------------- Erich Fromm e la "Città dell'Essere" La disobbedienza è davvero un vizio? L'uomo nasce, ad avviso di Fromm (1900-1980), quando "viene strappato all'originaria unione con la natura che caratterizza l'esistenza animale". Ma allorché si dà quest'evento, l'uomo rimane fondamentalmente solo. La realtà è che, come Fromm ha messo in evidenza in Fuga dalla libertà (1941), l'uomo che si distacca dal mondo fisico e sociale, l'uomo cioè che diventa libero, responsabile dei propri atti, della propria scelta e dei propri pensieri, non sempre riesce ad accettare il peso della libertà e cede allora al "conformismo gregario " ubbidendo ciecamente a norme stabilite, aggregandosi a un gruppo (e considerando nemici gli altri e gli altri gruppi). In questo modo, l'uomo, che va alla ricerca della sua identità, trova solo surrogati e si perde e perde la sua salute mentale. Per secoli re, sacerdoti, signori feudali, magnati dell'industria e genitori hanno proclamato - afferma Fromm ne La disobbedienza come problema psicologico e morale (1963) - che l'obbedienza è una virtù e che la disobbedienza è un vizio. Ma a questo atteggiamento Fromm contrappone la prospettiva per cui: "la storia dell'uomo è cominciata con un atto di disobbedienza, ed è tutt'altro che improbabile che si concluda con un atto di obbedienza". Adamo ed Eva "stavano dentro la natura così come il feto sta dentro l'utero della madre ". Ma il loro atto di disobbedienza ha scisso il legame originario con la natura e li ha resi individui: "il "peccato originale", lungi dal corrompere l'uomo, lo ha anzi reso libero; è stato esso l'inizio della sua storia. L'uomo ha dovuto abbandonare il paradiso terrestre per imparare a dipendere dalle proprie forze e diventare pienamente umano". E come ci insegna il messianismo dei profeti, come ci insegna il "delitto" di Prometeo (che ruba il fuoco agli dei e "pone le fondamenta dell'evoluzione umana"), come ci insegna il cammino storico dell'uomo, "l'uomo ha continuato ad evolversi mediante atti di disubbidienza. Non soltanto il suo sviluppo spirituale è stato reso possibile dal fatto che nostri simili hanno osato dire "no" ai poteri in atto in nome della propria coscienza o della propria fede, ma anche il suo sviluppo intellettuale è dipeso dalla capacità di disobbedire: disobbedire alle autorità che tentassero di reprimere nuove idee e all'autorità di credenze sussistenti da lungo tempo, e secondo le quali ogni cambiamento era privo di senso ". Una persona diventa libera e cresce mediante atti di disobbedienza. La capacità di disobbedire è, pertanto, la condizione della libertà. Ma, d'altro canto, la libertà rappresenta la capacità di disobbedire: "Se ho paura della libertà non posso osare dire "no", non posso avere il coraggio di essere disobbediente. In effetti, la libertà e la capacità di disobbedire sono inseparabili". E sono esse che stanno alla base della nascita e della crescita dell'uomo in quanto tale. Ebbene, dice Fromm " nell'attuale fase storica, la capacità di dubitare, di criticare e di disobbedire può essere tutto ciò che si interpone tra un futuro per l'umanità e la fine della civiltà ". Avere o essere? All'analisi della crisi della società contemporanea e della possibilità di risolverla, Fromm ha dedicato uno tra i suoi libri più letti: Avere o essere? (1976), dove egli esamina le "due basilari modalità di esistenza: la modalità dell'avere e la modalità dell'essere". Per la prima modalità si dice che l'essenza vera dell'essere è l'avere, per cui "se uno non ha nulla, non è nulla". Ed è in base a questa idea che i consumatori moderni etichettano se stessi con la seguente espressione: io sono = ciò che ho e ciò che consumo. Di fronte a questa modalità di esistenza individuale e sociale, Fromm richiama Buddha il quale insegnò che non dobbiamo aspirare ai possessi; Gesù per il quale nulla giova all'uomo l'aver guadagnato il mondo e poi perdere se stesso; maestro Eckhart che insegnava a non aver nulla; Marx quando afferma che "il lusso è un vizio esattamente come la povertà e che dovremmo proporci come meta quella di essere molto, non già di avere molto. Mi riferisco qui - precisa Fromm - al vero Marx, all'umanista radicale, non alla sua volgare contraffazione costituita dal "comunismo" sovietico". Se, dunque, per la modalità dell’avere, un uomo è ciò che ha e ciò che consuma, i prerequisiti della modalità dell’essere sono " L’indipendenza, la libertà e la presenza della ragione critica ". La caratteristica fondamentale della modalità dell’essere consiste " nell’essere attivo ", che non va inteso nel senso di un’attività esterna, nell’essere indaffarati, ma di attività interna, di uso produttivo dei nostri poteri umani. Essere attivi significa dare espressione alle proprie facoltà e talenti, alle molteplicità di doti che ogni essere umano possiede, sia pure in vario grado. Significa rinnovarsi, crescere, espandersi, amare, trascendere il carcere del proprio io isolato, essere interessato, " Prestare attenzione, dare ". Ebbene, delineate queste due modalità, quella dell'avere e quella dell'essere, Fromm asserisce: "La cultura tardo-medievale aveva come centro motore la visione della Città di Dio; la società moderna si è costituita perché la gente era mossa dalla visione dello sviluppo della Città Terrena del Progresso. Nel nostro secolo, tuttavia, questa visione è andata deteriorandosi, fino a ridursi a quella della Torre di Babele, che ormai comincia a crollare e rischia di travolgere tutti nella sua rovina. Se la Città di Dio e la Città Terrena costituiscono la tesi e l'antitesi, una nuova sintesi rappresenta l'unica alternativa al caos: la sintesi tra il nucleo spirituale del mondo tardo-medievale e lo sviluppo, avvenuto a partire dal Rinascimento, del pensiero razionale e della scienza. Questa sintesi costituisce la Città dell'Essere"Questa Città dell'Essere sarà la città dell'uomo nuovo, ossia sarà quella società che è "organizzata in modo tale - così scriveva Fromm ne L'arte di amare (1956) - che la natura sociale e amante dell'uomo non sia separata dalla sua esistenza sociale, ma diventi un'unica cosa con essa".
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