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(Fwd) N.E. Balcani #615 - Kosovo-Serbia
Interessanti retroscena da un documentario BBC....
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N.E. BALCANI #615 - SERBIA-KOSOVO
31 gennaio 2003
CHI HA VOLUTO LE BOMBE?
di Sinisa Ljepojevic - ("NIN" [Belgrado], 23 gennaio 2003)
Il documentario "La caduta di Milosevic", trasmesso dalla BBC nelle
scorse settimane, raccoglie nuove testimonianze sulla guerra del
Kosovo e sul successivo crollo del regime di Belgrado
I bombardamenti contro la Jugoslavia condotti nella primavera 1999,
così come la successiva caduta del regime di Milosevic, rimangono
ancora, almeno in Occidente, una storia non conclusa. Ne è una
dimostrazione il documentario a puntate "La caduta di Milosevic",
trasmesso nelle prime tre settimane di quest'anno dall'emittente
televisiva britannica BBC. Le tre puntate hanno una durata
complessiva di quattro ore e mezzo e si basano principalmente su
testimonianze dei protagonisti delle vicende. Dal documentario si
evince che i maggiori responsabili della caduta di Milosevic sono: lo
stesso Slobodan Milosevic, che con la sua politica ha portato ai
bombardamenti; il segretario di stato americano Madeleine Albright,
che ha "interpretato meglio di tutti" tale politica; gli albanesi del
Kosmet [Kosovo e Metohija - N.d.T.], che più di altri hanno aiutato
Albright; Mira Markovic, la moglie di Milosevic, che ha convinto
quest'ultimo a indire elezioni presidenziali anticipate. Il
subappaltatore dei lavori, lascia intendere il documentario, è stata
la DOS, che ne ha approfittato più di tutti, perché ha conquistato il
potere. L'inizio della caduta di Milosevic è stato segnato dalla
rivolta armata degli albanesi del Kosmet che, come riconoscono nel
documentario, non si sono sollevati per abbattere il regime di
Slobodan Milosevic, bensì per fare del Kosovo il proprio stato
indipendente. Tale indipendenza è stata loro promessa nell'autunno
del 1998 dall'allora inviato di pace americano per la Jugoslavia,
Richard Holbrooke. Uno degli ex rappresentanti internazionali
dell'Esercito di Liberazione del Kosovo (UCK), Bardhyl Mahmuti, ha
dichiarato nel documentario "La caduta di Milosevic" che a quei
tempi, in occasione di un pranzo svoltosi in Svizzera, Holbrooke gli
ha detto che il Kosovo avrebbe ottenuto l'indipendenza entro un
periodo compreso tra tre e cinque anni. L'UCK, ha detto in
quell'occasione Holbrooke, deve solo seguire gli ordini dell'America
e dell'Occidente.
GLI ALBANESI INGANNATI
Holbrooke, secondo le parole di Mahmuti, ha promesso che l'America, e
lui in persona, "avrebbero spinto Slobodan Milosevic ad adottare
modifiche legali e costituzionali che porteranno all'indipendenza del
Kosovo". Nel documentario "La caduta di Milosevic" si afferma che
Mahmuti è un profugo che abita in Svizzera con la famiglia e vive di
aiuti sociali (Mahmuti, albanese della Macedonia, a quei tempi era
tuttavia un "cittadino della Svizzera" e una persona che girava il
mondo in costosi vestiti e con alti contatti nei ministeri
occidentali). Riguardo all'indipendenza del Kosovo, la storia
raccontata da Madeleine Albright è diversa da quella di Holbrooke.
Albright afferma di avere detto a chiare lettere agli albanesi del
Kosmet che non vi sarebbero state azioni di guerra se non avessero
rinunciato all'indipendenza. Era la condizione fondamentale. I leader
albanesi hanno allora cercato, a Rambouillet e a Parigi, che venisse
almeno pronunciato un impegno per un referendum entro tre anni. Ma il
Gruppo di Contatto (USA, Italia, Russia, Germania, Gran Bretagna e
Francia) non ha accettato e quindi è stata trovata la "soluzione" in
base alla quale gli albanesi avrebbero rivolto tale richiesta in una
"lettera privata" a Madeleine Albright. Rispetto a questa idea,
secondo il documentario della BBC, avrebbe avuto serie riserve un
uomo chiave, Hashim Thaqi, ma l'intera faccenda è stata "mediata" da
Veton Surroi, editore del quotidiano "Koha Ditore". Albright ha
quindi accettato tale "proposta privata" ma, ricorda, si tratta di un
atto privato che non ha status di documento ufficiale, come
successivamente è stato confermato anche dalla "Cornice
costituzionale temporanea" dell'UNMIK. Dal punto di vista dell'UCK,
quindi, i leader albanesi e gli albanesi del Kosovo in generale sono
stati ingannati riguardo alle loro richieste politiche.
Il documentario, che non indaga più di tanto sul modo in cui si è
arrivati ai bombardamenti, si occupa più di ogni altra cosa del
panico che ha preso l'Occidente durante le azioni della NATO. Per
quanto riguarda il periodo prima dei bombardamenti stessi, viene
messa in evidenza una dichiarazione dell'ex presidente della Serbia,
Milan Milutinovic, il quale ha rivelato di avere proposto
all'imbarazzato inviato americano Christopher Hill, durante un
incontro svoltosi in un hotel di Parigi, che le truppe dell'alleanza
entrassero in Kosovo, ma che allo stesso tempo la Jugoslavia venisse
accolta nella NATO, consentendo in tal modo di risolvere il problema
del Kosovo. La proposta è stata rifiutata. Nel documentario si
suggerisce che la NATO e i leader occidentali siano andati ai
bombardamenti relativamente impreparati, poiché erano convinti che
sarebbero durati al massimo tre giorni. Così è stato detto ai piloti
della NATO, alcuni dei quali hanno pregato i loro superiori di essere
tra i primi a gettare le bombe, perché temevano che dopo sarebbe
stato troppo tardi e tutto sarebbe finito. Il presidente francese
Jacques Chirac ha raccontato di essersi recato in vacanza in montagna
appena prima dell'inizio dei bombardamenti. Il presidente Clinton
aveva allora disposto che in tale villa di montagna venissero
installate linee telefoniche speciali per le sue comunicazioni con
Chirac. Ma nonostante i mezzi di cui dispone il presidente degli USA,
le linee telefoniche non funzionavano e quindi i due hanno dovuto
comunicare mediante normali telefoni. Era impreparata anche la
Jugoslavia. Mira Markovic ha raccontato come lei personalmente e
tutta la dirigenza jugoslava fossero convinti che i bombardamenti non
sarebbero durati più di 24 ore. Ma sono durati 78 giorni e
l'Occidente, hanno ammesso i suoi leader, è precipitato in un vero e
proprio panico. I bombardamenti sulla Jugoslavia hanno portato
(dietro la scena pubblica, le conferenze stampa e la campagnia
propagandistica) a profonde incomprensioni tra i paesi occidentali,
tanto da minacciare l'unità della NATO. Sembra quasi che Milosevic,
accettando infine un accordo, abbia "salvato" la NATO. L'ex
presidente russo Boris Eltsin, va ricordato, ha scritto nelle sue
memorie intitolate "Diario notturno" che l'errore fondamentale di
Milosevic è stato quello di non avere capito il significato della
missione di Cernomyrdin e i motivi per cui gli era stata affidata. Il
compito di Cernomyrdin, scrive Eltsin, era quello di aiutare
l'Occidente, e non Milosevic. Queste opinioni di Eltsin non vengono
citate nel documentario "La caduta di Milosevic". Nel panico generale
al quale si è giunti quando i bombardamenti non hanno causato un
rapido collasso di Belgrado, il più inquieto era il premier
britannico Tony Blair, mentre il ministro degli esteri Joschka
Fischer ha ammesso che per lui si è trattato di un periodo
eccezionalmente difficile. Blair si era recato allora in visita
presso il comando generale della NATO a Bruxelles. L'allora
comandante delle forze NATO, generale Wesley Clark, ha dichiarato che
Blair gli ha chiesto: "sa che dall'esito dei bombardamenti dipende il
futuro di quasi tutti i leader occidentali? Perderemo il potere, e
non dobbiamo assolutamente uscire sconfitti". Il generale Clark, come
ha dichiarato, ha detto a Blair di non potere prevedere ancora nulla
e che per "la vittoria finale sarà forse necessaria un'invasione
della Jugoslavia via terra".
IL CELLULARE DI DJUKANOVIC
Successivamente, come mostra il documentario, il premier Blair ha
avviato una campagna per convincere gli altri leader occidentali
della necessità di un'invasione via terra, ma, nei fatti, nessuno ha
dato il proprio sostegno alla sua idea. Allora Blair ha detto che
rimaneva solo la propaganda e che l'Occidente doveva almeno
minacciare un'invasione. Sono interessanti anche i retroscena del
bombardamento di obiettivi in Montenegro, il cui governo, come si
afferma nel documentario della BBC, ha dato sostegno ai piani della
NATO. Il presidente Clinton ha raccontato di avere ricevuto, dopo
l'inizio dei primi attacchi contro obiettivi in Montenegro, una
telefonata del leader francese Chirac, il quale gli chiedeva
spiegazioni. Clinton gli ha detto che il bombardamento di obiettivi
in Montenegro gli era stato chiesto dal presidente montenegrino Milo
Djukanovic. Il presidente degli Stati Uniti ha affermato di avere
ottenuto informazioni secondo cui Djukanovic avrebbe chiesto il
bombardamento delle zone dove erano concentrati i suoi oppositori,
favorevoli a Milosevic. Il presidente Chirac racconta di avere
chiamato immediatamente Djukanovic sul suo cellulare e di avergli
chiesto se era vero. Djukanovic nel documentario della BBC dice
solamente di avere fatto capire a chiare lettere a Chirac che il
bombardamento di obiettivi in Montenegro metteva in pericolo il suo
governo e la sua posizione personale. Dopo questa conversazione, la
NATO non ha più bombardato il Montenegro. Nel documentario rimane non
chiarito se ciò che ha detto Clinton è preciso oppure no.
I bombardamenti sono poi finiti, la NATO ha preso il controllo del
Kosovo e subito dopo il principale punto all'ordine del giorno è
diventata la lotta politica per abbattere Milosevic. Nell'estate del
2000 Madeleine Albright ha convocato tutti i suoi più stretti
collaboratori e ha comunicato loro che la caduta di Milosevic era la
sua "priorità personale assoluta". L'America ha avviato una massiccia
campagna di aiuti all'opposizione serba. Nel documentario si parla di
circa 30 milioni di dollari in aiuti, anche se in passato la stessa
Washington aveva comunicato di avere investito circa 70 milioni di
dollari. A quei tempi il maggiore mistero era perché Milosevic avesse
indetto elezioni presidenziali anticipate. Sua moglie Mira Markovic
ha dichiarato alla BBC di avere convinto Milosevic a indire tali
elezioni, perché era convinta che le avrebbe nettamente vinte. Nel
documentario racconta anche di avere convinto il marito, nel 1996, a
non riconoscere i risultati delle elezioni locali. Le proteste di
massa causate dal mancato riconoscimento di tali elezioni sono state
di fatto, si suggerisce nel documentario, il vero inizio della fine
del potere di Milosevic.
IL TRADIMENTO DEI "BERRETTI"
In Serbia il lavoro doveva essere condotto dalla DOS, con l'aiuto
degli americani. Ma come? Il problema principale, racconta Zoran
Djindjic, era chi proporre come candidato presidenziale. All'inizio
si è pensato di scegliere tra Djindjic e Vuk Draskovic. Ma,
soprattutto dopo gli scontri fisici, di cui si sa poco, tra le
guardie del corpo dei due leader nel corso di una manifestazione
dell'opposizione, è diventato chiaro che nessuno dei due poteva
essere candidato. Draskovic non ha nemmeno accettato di entrare a
fare parte della DOS, perché, come ha spiegato, "non potevo più
credere a Djindjic". Nel documentario si osserva che dopo la rissa
tra le guardie del corpo si è verificato l'incidente sull'autostrada
dell'Ibar, nel quale sono morti funzionari del partito di Draskovic.
La scelta è allora caduta su Vojislav Kostunica. Quest'ultimo,
tuttavia, non ha accettato subito e ha dato una risposta positiva
solo dopo cinque giorni. Zoran Zivkovic ha dichiarato che a quei
tempi Djindjic gli aveva detto preoccupato: "speriamo proprio che
Kostunica non ci ripensi e non rinunci". I leader della DOS, in
realtà, erano molto disorientati anche durante le elezioni. Più di
ogni altra cosa li preoccupava il pensiero di cosa fare se Kostunica
avesse vinto e Milosevic non avesse riconosciuto i risultati delle
elezioni. Di fronte a questo dilemma ha preso l'iniziativa Nebojsa
Covic, come riconosce lui stesso. Covic ha invitato i sette leader
della DOS a una riunione segreta durante la quale è stato deciso di
lottare fino alla fine. Non c'è più tempo, ha detto Covic. A tale
riunione non ha partecipato Kostunica, che è stato tenuto all'oscuro
di tutto. Covic racconta di avere messo a punto una strategia sulla
base dell'esperienza accumulata lavorando con Milosevic [Covic, ex
sindaco di Belgrado, è stato una figura importante del Partito
Socialista Serbo - N.d.T.]. "Conosco l'uomo", ha detto. E' stato
adottato un piano in base al quale se Milosevic non avesse
riconosciuto la validità del voto, la DOS si sarebbe battuta contro
il regime. Sono state create anche formazioni armate all'interno
della DOS, il cui compito era quello di condurre una vera e propria
guerra se la polizia avesso sparato contro i dimostranti. Covic ha
confermato apertamente che sono stati organizzati gruppi armati,
pronti a combattere. Il documentario della BBC lascia intendere che
il principale stratega della DOS fosse lo stesso Covic. Zoran
Djindjic ha raccontato anche i dettagli dei suoi contatti con il
comandante dei "berretti rossi", l'Unità per le Operazioni Speciali
dei servizi segreti, menzionato solo con il suo soprannome di Legija.
Djindjic dice che Legija lo ha chiamato al telefono e gli ha chiesto
un incontro immediato. Nella DOS prevaleva la convinzione che egli
non dovesse recarsi a tale incontro, perché Legija lo avrebbe ucciso.
Ha deciso tutto la moglie di Djindjic, come ha spiegato quest'ultimo,
la quale gli ha detto che doveva comunque andare, perché "che
differenza c'è se ti uccide oggi o domani, nel caso in cui lo volesse
fare". Così, secondo il documentario, la polizia e i "berretti rossi"
hanno dato il sostegno decisivo alla DOS, tradendo quello che fino ad
allora era stato il loro capo, Milosevic. Djindjic, da parte sua, ha
osservato che la DOS è stata aiutata più di tutti dallo stesso
Milosevic. Perché nei fatti, ha raccontato, Milosevic ha perso le
elezioni presidenziali, ma non il potere. I suoi partiti hanno
ottenuto la maggioranza in parlamento, oltre a continuare a tenere in
mano il potere in Serbia, e quindi non avevano perso la loro
posizione di potere. Milosevic ha però commesso degli errori che ci
hanno aiutato, ha detto Djindjic. Alla fine Milosevic è "caduto". E'
seguito il suo arresto per "atti criminali interni" e successivamente
l'Aia. Nel documentario si afferma che le condizioni per l'"arresto
interno" sono state rese formalmente possibili dal suo ex stretto
collaboratore Mihalj Kertes. In alcune reazioni della stampa
britannica si fa capire che, oltre alla necessità di continuare a
giustificare in pubblico la politica dell'Occidente durante i
bombardamenti, il documentario "La caduta di Milosevic" è il
risultato dell'interesse dell'Occidente per l'eventuale scenario da
applicare in Iraq. Ma secondo il "Financial Times" si tratta di un
errore, perché la "lezione del Kosovo" non può essere applicata
all'Iraq. I bombardamenti della NATO, osserva il giornale, non hanno
fatto che portare a problemi ancora più grandi e non hanno fatto
cadere Milosevic. E' solo un'illusione, precisa il "Financial Times",
che le bombe della NATO abbiano fatto cedere Milosevic... Lo hanno
fatto cadere i cittadini della Serbia alle elezioni. Milosevic ha
perso il potere grazie alle urne elettorali, e non alle bombe e alla
violenza.
[RIQUADRO:]
Il "Times" di Londra ha pubblicato nel suo numero del 21 gennaio una
lettera di Richard Crampton, professore di Storia dell'Europa
Orientale presso l'università di Oxford, il quale si dice convinto
che Slobodan Milosevic non solo non sia stato indebolito dalle bombe
della NATO, ma che addirittura le bombe lo abbiano aiutato a
indebolire l'opposizione, che non ha potuto contrapporglisi con
successo nel momento in cui il paese si trovava esposto
all'aggressione della NATO. Crampton ricorda che Milosevic è caduto
15 mesi dopo la fine dei bombardamenti dell'alleanza atlantica, vale
a dire nonostante le bombe della NATO, e non grazie a esse. Crampton
ha reagito negativamente alle affermazioni dell'establishment
laburista britannico secondo cui i bombardamenti sul Kosovo sono una
dimostrazione del fatto che la guerra in Iraq è giustificata perché
Milosevic sarebbe caduto grazie alle bombe della NATO.
[COMMENTO: Le testimonianze raccolte dal documentario della BBC
confermano molte delle interpretazioni che a suo tempo "Notizie Est"
aveva dato, a caldo, della guerra del Kosovo. A partire innanzitutto
dall'"inganno" nei confronti degli albanesi, rafforzato dalle frasi
che Holbrooke avrebbe pronunciato in via privata di fronte al
rappresentante di una parte, l'UCK, con la quale allora si evitava di
trattare ufficialmente: un rapido calcolo porta a concludere che il
Kosovo, secondo le promesse, avrebbe dovuto ottenere l'indipendenza
tra l'estate del 2001 e i prossimi mesi. E' interessante notare che,
secondo Holbrooke, a tale ipotetica indipendenza si sarebbe arrivati
non con la guerra, ma spingendo Milosevic a riforme costituzionali:
ne consegue che la rimozione di Milosevic all'epoca (autunno 1998)
non veniva nemmeno presa in considerazione. Le testimonianze
confermano anche il grande panico dell'Occidente per una guerra che
non avrebbe dovuto essere così lunga e che era Blair a spingere ben
più degli USA per posizioni più attive. L'intervento di terra è stato
quindi una minaccia puramente propagandistica, soprattutto da parte
USA. Curioso infine il particolare di Djindjic che, come Milosevic,
adotta importanti decisioni affidandosi alla "consulenza" della
moglie - A.
Ferrario]
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