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(Fwd) N.E. Balcani #603 - Kosovo
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N.E. BALCANI #603 - KOSOVO
11 dicembre 2002
IL KOSOVA NEGATO
di Andrea Speranza - (da "Reds", dicembre 2002)
[Ringraziamo Andrea Speranza e la rivista "Reds" per averci messo a
disposizione la versione integrale di questo dettagliato articolo sul
Kosovo]
Tre anni e mezzo dopo la fine della guerra, il Kosova amministrato
dalle Nazioni Unite si trova in una situazione a dir poco
problematica. Sotto l’aspetto istituzionale la provincia fa
riferimento alla risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU
e l’amministrazione internazionale guidata dal tedesco Michael
Steiner, in carica dal gennaio 2002, “governa” sulla base del
documento pubblicato nel maggio 2001, il Constitutional Framework for
Provisional Self-Government in Kosovo . Tale documento regolamenta
ogni aspetto della vita politica e delinea i poteri delle istituzioni
del Kosova, tra cui Parlamento (eletto il 17 novembre 2001) e
Governo.
Il Presidente è espressione del partito di maggioranza dell’etnia
albanese, la LDK, che ha designato Ibrahim Rugova a tale carica,
mentre il governo è guidato da Bajram Rexhepi , esponente del PDK di
Hashim Thaqi, seconda forza politica della provincia. Tra i sette
ministeri, tra cui non risultano quelli che caratterizzano le
prerogative di uno stato sovrano (Difesa, Esteri, Giustizia e
Interni) cinque sono guidati da esponenti dei principali partiti
albanesi (LDK, PDK e AAK) e due sono stati riservati,
indipendentemente dal risultato elettorale, alla minoranza serba.
Steiner, così come i suoi predecessori Kouchner e Haekkerup, ha
comunque il potere di veto sulle risoluzioni dell’Assemblea e ha la
facoltà di scioglierla in qualunque momento.
Senza dubbio la questione più importante non ancora risolta e che ha
le più vaste ripercussioni non solo sul clima politico ma anche sulle
condizioni sociali ed economiche del Kosova e dei suoi abitanti è
quella dello status definitivo della provincia, a tutt’oggi
irrisolto.
Sono note le posizioni delle due etnie principali sulla questione:
gli albanesi non hanno rinunciato all’indipendenza, che è presente al
primo punto nei programmi di tutti i partiti politici, mentre la
comunità serba non vuole rinunciare ai legami istituzionali con
Belgrado, in questo appoggiata chiaramente dall’apparato statale
serbo. E’ paradossale come entrambe le parti si richiamino alla
risoluzione 1244 come al testo che inequivocabilmente supporta le
loro rivendicazioni!
La formula che la comunità internazionale ha trovato al termine del
conflitto è stata infatti lasciata di proposito aperta a ogni
interpretazione. Nell’allegato 1 della risoluzione vengono richiamati
esplicitamente gli accordi di Rambouillet del 23 febbraio 1999 , nei
quali è stabilito che uno dei criteri con cui sarà definito lo status
finale della provincia sarà “la volontà del popolo – “the will of the
people” , quindi sul principio dell’autodeterminazione; ciò
costituisce una sorta di garanzia che in futuro la schiacciante
maggioranza albanese non potrà vedersi negata la prospettiva tanto
agognata di staccare finalmente e una volta per tutte il legame con
Belgrado e con quella Federazione Jugoslava ormai già di fatto
defunta.
A loro volta i serbi ed i loro rappresentanti politici, insieme con
la Serbia istituzionale, si sentono tutelati dal riferimento
esistente nell’allegato 1 della risoluzione 1244 ai principi di
integrità e di sovranità territoriale della Federazione Jugoslava, da
cui si deduce che per ora il Kosova resti a fare parte della
Federazione, nonostante i suoi legami istituzionali con Belgrado
siano stati “congelati” di fatto con l’ingresso delle Nazioni Unite e
della KFOR nella provincia.
Il quadro “istituzionale” è completato dal famigerato (secondo la
parte albanese) accordo Covic-Haekkerup, con il quale la comunità
internazionale si assicurò in extremis la partecipazione della
comunità serba alle elezioni parlamentari del novembre 2001, che lega
esplicitamente il territorio del Kosova alla Repubblica di Serbia, di
cui era provincia autonoma fino al 1989.
Tale situazione impedisce ogni dialogo tra la componente serba e
quella albanese, tra le quali non c’è spazio per nessun tipo di
mediazione. La mancata definizione dello status finale del Kosova da
parte della comunità internazionale è la causa fondamentale dalla
quale traggono origine i principali problemi con i quali
quotidianamente gli abitanti di questa provincia devono fare i conti.
LA SICUREZZA
Seppur migliorata nel corso degli ultimi due anni, la sicurezza nella
provincia non raggiunge certamente standard soddisfacenti. La
criminalità comune e quella organizzata, la corruzione a livello
pubblico e politico sono fenomeni che ancora permeano il tessuto
sociale della Kosova.
Gli abitanti di etnia serba vivono in énclaves protette da veicoli
armati della Kfor e per loro il tempo della libertà di movimento nel
paese è ancora molto lontano. Le Nazioni Unite stanno portando avanti
il progetto di graduale ritorno dei profughi serbi cacciati o fuggiti
al momento dell’ingresso delle truppe Nato, nel giugno 1999,
implementando il loro rientro “blindato” in alcune delle località
nelle quali erano presenti prima della guerra. I risultati sono
scarsi e di ciò la comunità internazionale è ampiamente responsabile.
Le ferite della guerra sono ancora aperte: esistono migliaia di
persone scomparse di etnia albanese i cui resti non sono stati ancora
trovati e identificati , ed il fenomeno interessa, seppure in minore
proporzione, anche la comunità serba; la questione dei crimini di
guerra rimasti impuniti ha un effetto devastante su entrambe le
comunità.
In questo contesto l’insicurezza ed il timore da un lato di potere in
un futuro prossimo ritornare sotto l’amministrazione diretta di
Belgrado e con la polizia e l’esercito serbo sotto casa, e dall’altro
della prospettiva di perdere definitivamente i legami con la “madre”
Serbia, costituiscono benzina che va ad alimentare il fuoco della
paura, dell’intolleranza e dell’odio interetnico.
Episodi di violenza nei confronti di membri delle minoranze si
verificano ancora ad un ritmo piuttosto elevato , così come si
susseguono danni materiali a ciò che rappresenta la cultura serbo-
ortodossa . Recentemente la comunità internazionale ha sondato il
terreno, togliendo la scorta in alcuni villaggi ad alcuni scolari
serbi, con scarsi risultati.
La questione della sicurezza per i profughi serbi che vogliono
tornare alle loro case o a quello che ne rimane è di importanza
capitale per la comunità serba. Ad oggi il programma di rientro
procede a rilento, nonostante i leader politici serbi abbiano
strappato a Steiner la costituzione di un Ministero appositamente
creato all’interno del Governo che si occupi di tale problematica e
presieduto chiaramente da un esponente politico serbo . Le mancate
promesse occidentali hanno portato a momenti di estrema tensione,
culminati il tentativo di alcune organizzazioni politicizzate in
Serbia di minacciare una sorta di “marcia” di decine di migliaia di
profughi all’interno del Kosova per metter pressione alla comunità
internazionale.
E’ evidente che l’impasse istituzionale costituisce la causa
principale di tali dinamiche, sfruttate chiaramente dalle élite
politiche, abili a manipolare l’elettorato e a diffondere l’idea che
la stessa sopravvivenza ed identità della etnia di appartenenza siano
in pericolo.
MITROVICA
Non se la passa certo meglio la sparuta comunità albanese che vive a
nord del fiume Ibar, a Mitrovica e nelle municipalità settentrionali
che costituiscono in pratica parte integrante della Serbia e dove
funzionavano fino a ieri istituzioni e amministrazione “parallela”,
dipendente direttamente da Belgrado, dai programmi scolastici alle
strutture ospedaliere.
La situazione di stallo che si è registrata a Mitrovica dalla fine
della guerra ha subito proprio in questi giorni una svolta: il 25
novembre scorso Steiner ha ufficialmente dichiarato che dopo tre anni
e mezzo l’amministrazione internazionale ha preso il controllo della
parte nord della città e le istituzioni parallele sono state sciolte.
Ciò è stato possibile soltanto con l’appoggio di Belgrado
implementato con un accordo politico, i cui retroscena sono a
tutt’oggi sconosciuti. Dopo tre anni e mezzo in cui i cittadini di
Mitrovica nord e le loro rappresentanze politiche hanno negato
qualsiasi legittimità all’amministrazione internazionale, continuando
a mantenersi all’interno del sistema statale serbo (compresa una
propria Assemblea municipale), l’accordo politico costituisce per
Steiner e per l’UNMIK un evidente successo politico. La polizia ONU,
il KPS e la KFOR sono ora riconosciute come le entità a cui viene
affidata la sicurezza; i famigerati “guardiani del ponte ” sono stati
sciolti (almeno sulla carta) ed ora l’UNMIK può vantare di
amministrare tutto il Kosova, seppure con un piccolo ritardo... Il
“governatore” occidentale di Mitrovica ha esteso la sua giurisdizione
anche a nord del fiume Ibar e si parla già di elezioni municipali in
programma nei prossimi mesi all’interno del quadro istituzionale
previsto dall’UNMIK .
L’accordo implica la rinuncia di Belgrado ad amministrare di fatto la
parte settentrionale della Kosova e al tentativo di portare avanti il
progetto di una futura divisione della provincia, soluzione auspicata
e sostenuta da parecchi circoli politici serbi e a cui la popolazione
e la leadership albanese sono stati invece sempre fortemente
contrari. Si aspetta ora di conoscere che cosa la comunità
internazionale avrà concesso a Belgrado in cambio di questo accordo .
La tensione in città resta alta: la comunità albanese ha reagito con
entusiasmo eccessivo alla notizia e centinaia di giovani sono stati
fermati dalla KFOR e dalla polizia UNMIK nel tentativo di marciare al
di là del ponte per simboleggiare la “liberazione” della parte nord
della città.
L’ECONOMIA E L’OCCUPAZIONE
La ricaduta in termini economici dell’incertezza sul futuro del
Kosova è devastante. L’economia prevalentemente rurale e basata sui
commerci (di ogni tipo a dire la verità) del primo dopoguerra rimane
la principale fonte di reddito per la gran parte della popolazione,
insieme alle rimesse dei numerosi immigrati in Svizzera e Germania.
Per quanto riguarda l’amministrazione e gli impieghi “pubblici” (se
così si può dire), lo stipendio medio si aggira sui 120-140 Euro al
mese, una cifra al di sotto della soglia di sussistenza per mantenere
una famiglia . E’ doveroso sottolineare come i fondi amministrati
dalle Nazioni Unite in Kosovo (UNMIK) provengano da un “budget”
definito di anno in anno dalle Nazioni Unite, che include anche
imposte e diritti doganali, e che Steiner e compagnia devono
amministrare distribuendo i fondi tra le 30 municipalità della
provincia. Tale budget è tra l’altro in continua diminuzione in
corrispondenza del graduale disimpegno dei paesi “donatori”.
La disoccupazione rimane attestata su livelli impressionanti e
colpisce sia la fascia di età più giovane, tra cui diplomati e
laureati, sia quella meno giovane, composta dagli ex impiegati
statali alle dipendenze dell’amministrazione serba o di fabbriche ed
industrie. A questo proposito, la gran parte delle strutture
industriali sono ancora gravemente danneggiate o comunque dismesse, a
partire dal complesso minerario di Trepca, presso Mitrovica, che dava
lavoro a migliaia di persone di entrambe le etnie e che ora conta
poche decine di lavoratori attivi.
L’Agenzia per la Privatizzazione, prevista dall’UNMIK e da poco in
funzione, non ha un futuro roseo. In mancanza di una vera e propria
amministrazione statale, i posti di lavoro per i locali sono
garantiti quasi esclusivamente dalle agenzie internazionali operanti
sul posto (UNMIK, KFOR e OSCE) e dalle ONG ancora presenti sul
territorio .
Nella condizione di incertezza riguardo al futuro della provincia,
che comporta certamente anche rischi di radicalizzazione se non di
ripresa del conflitto, è impensabile che si crei il clima favorevole
ad investimenti che possano creare nuovi posti di lavoro. I kosovari
sono costretti a sperare che qualche impresa occidentale provi
l’azzardo di acquistare, di ristrutturare e di rimettere in attività
i vecchi complessi industriali, e tale prospettiva è chiaramente poco
esaltante...
Esiste inoltre un altro grosso problema irrisolto, quello della
proprietà del suolo e dei terreni, ancora di fatto appartenenti alla
Repubblica di Serbia o di singoli privati che ne sono stati
espropriati, che costituisce un altro degli ostacoli insormontabili
per la ripresa economica della Kosova.
UNO SGUARDO D’INSIEME AGLI EVENTI DEGLI ULTIMI MESI
Il paesaggio del Kosova non è cambiato granché. Prishtina rimane la
stessa, con mucchi di immondizia nelle strade e le rovine della
vecchia sede della polizia serba, bombardata dalla Nato, ancora non
rimosse. Davanti al Teatro Nazionale, l’amministrazione locale ha
eretto una grande statua a cavallo di Skanderbeu, l’eroe nazionale
albanese, inaugurata il 28 novembre 2001, ricorrenza
dell’anniversario dell’indipendenza dell’Albania. La vera novità è
che in città può capitare di sentire parlare serbo in alcuni locali,
cosa impensabile fino a due anni fa.
La ricostruzione di abitazioni civili è continuata a pieno ritmo,
prevalentemente con fondi privati, anche se rimangono ancora aree
rurali nelle quali i segni della guerra sono ancora visibili. In
alcune aree della Drenica il tempo sembra essersi fermato alla fine
della guerra: a Skenderaj/Serbica l’unica cosa che salta all’occhio
di nuovo, tra strade piene di buche, appartamenti in stato fatiscente
e una disoccupazione dilagante, è la nuova e scintillante moschea,
costruita in pieno centro nel 2001 da una ONG del Qatar, peraltro
regolarmente semideserta.
Per quanto riguarda la vita politica del Kosova, nell’ultimo anno,
dall’elezione del Parlamento e dalla nomina del Governo della
Provincia, si sono registrati frequenti scontri dialettici tra la
comunità internazionale, rappresentata da Michael Steiner, e i
politici locali.
Il Parlamento a larga maggioranza albanese ha in un paio di occasioni
approvato delle risoluzioni che hanno creato problemi a livello
diplomatico alla comunità internazionale.
Nel corso del 2001 un primo forte momento di crisi nei rapporti con
l’UNMIK è sopravvenuto al momento dell’accordo tra la Macedonia e la
Federazione Jugoslava sui confini, che ha comportato il passaggio di
alcuni ettari di territorio facente parte di alcune municipalità
orientali del Kosova alla Serbia meridionale, il tutto senza che ai
cittadini venisse sottoposta la questione. L’accordo è stato
ratificato dai due Parlamenti e nel silenzio della comunità
internazionale.
Più recentemente un altro momento di tensione è sopravvenuto al
momento della approvazione del preambolo della Costituzione del nuovo
Stato di Serbia e Montenegro , che ha citato il Kosova come “parte
integrante” della Serbia, per cautelarsi nei confronti delle
rivendicazioni all’indipendenza del nuovo Parlamento della provincia.
In entrambi i casi l’Assemblea (con l’eccezione chiaramente della
componente serba, che ha lasciato l’aula in segno di protesta) si è
espressa votando risoluzioni di netta condanna politica, che sono
state “cassate” d’autorità dal governatore dell’UNMIK.
E’ evidente che la classe politica albanese rivendica uno spazio di
autonomia maggiore rispetto a quello concessogli dalla comunità
internazionale, che ha fatto in modo di fare nascere un Parlamento ed
un Governo di fatto privi della possibilità di legiferare e di
governare. Il grado di autonomia e di indipendenza delle nuove
istituzioni della provincia è limitato ad alcune materie “minori”:
scuola, viabilità, cultura, commercio e “industria”... per lo più
senza la possibilità di stanziare delle risorse e un budget con un
minimo grado di autonomia. Il sistema giudiziario è organizzato sulla
base di giurie miste presiedute da un giudice internazionale.
Per ognuna delle 30 municipalità, l’organo locale deve rapportarsi
con il funzionario ONU, una sorta di “governatore” a cui spettano le
decisioni ultime relative a ciò che concerne l’amministrazione
comunale e che lavora sotto la diretta responsabilità di Steiner.
La classe politica albanese non si è dimostrata capace di andare
oltre vane proteste verbali, in ciò confermando in pieno il rapporto
“paternalistico” che la lega alla comunità internazionale. Senza
rilevanti eccezioni tra LDK, PDK e AAK , tutte le principali forze
politiche albanesi continuano a mostrarsi zelanti davanti al giudizio
dell’Occidente, pronti a beneficiare dei dividendi e dei vantaggi in
termini di affidabilità politica derivanti dall’apparire come
interlocutore privilegiato nei confronti della comunità
internazionale. In ciò i due acerrimi rivali Rugova e Thaqi si
assomigliano moltissimo...
Per quanto riguarda la classe politica serba, la sua partecipazione
ai lavori del Parlamento è spesso condizionata a richieste fatte alla
comunità internazionale. E’ infatti chiaro che i serbi hanno più di
un motivo per ritenersi insoddisfatti dei risultati del lavoro
dell’UNMIK in questi tre anni e mezzo. Hanno guadagnato una
rappresentanza in parlamento e nel governo sovradimensionata rispetto
ai rapporti di forza sul piano demografico , ma rimangono in netta
minoranza ed esercitano in pratica un boicottaggio delle sedute nelle
quali vengono approvati a maggioranza risoluzioni a cui sono
contrari. Il concetto occidentale di “maggioranza” (in questo caso
albanese) ed “opposizione” (serba e rappresentanti delle altre etnie
) non si confà alla situazione politica del Kosova.
La questione della sicurezza ancora molto precaria per i cittadini
serbi e le promesse non mantenute della comunità internazionale
rispetto al rientro dei profughi, un programma che non ha possibilità
di avere successo in questa situazione di stallo istituzionale, sono
due temi di importanza capitale per i serbi del Kosovo.
In questo contesto emerge la frustrazione e la rabbia della
popolazione, che assume forme di radicalizzazione politica e
costituisce terreno fertile per la propaganda di populisti vecchio
stampo. Alle recenti elezioni presidenziali in Serbia (settembre
2002), è stata data la possibilità ai cittadini residenti in Kosovo
di esprimere il proprio voto da parte di Belgrado. La decisione ha
creato inevitabilmente momenti di grande tensione e l’UNMIK ha deciso
di prendere ancora una volta una posizione ambigua, impedendo ai
candidati a Presidente di condurre la campagna elettorale nella
provincia, ma dichiarando che non avrebbe “nè ostacolato nè
incoraggiato” che le elezioni si svolgessero anche in Kosova. In
alcune enclaves serbe e in tutto il Kosova settentrionale a nord del
fiume Ibar sono stati allestiti numerosi seggi ed i risultati hanno
visto una schiacciante affermazione del Partito Radicale Serbo (SRS)
di Voijslav Seselj , che ha attinto dal Kosovo un gran serbatoio di
voti raggiungendo punte del 70% di consensi. Al secondo turno gli
elettori serbi del Kosovo hanno seguito fedelmente le indicazioni di
Seselj astenendosi in massa. I serbi del Kosovo verranno chiamati
ancora una volta alle urne l’8 dicembre, nelle seconde consultazioni
nel giro di tre mesi per l’elezione del successore di Milutinovic a
presidente della Serbia .
L’equilibrio politico in Kosova oggi è critico, con gli esponenti
delle due comunità etniche principali che non riescono a trovare
punti su cui dialogare seriamente e con la comunità internazionale
alla perenne ricerca di compromessi per non scontentare troppo le due
parti, con scarsi risultati.
Anche la questione dei presunti crimini di guerra commessi da
esponenti dell’UCK è stata ampiamente strumentalizzata dalle due
parti. E’ noto che sono in corso indagini da parte del Tribunale
Internazionale per la ex-Jugoslavia delle Nazioni Unite riguardo a
fatti e misfatti attribuiti ad esponenti e a dirigenti dell’ex UCK,
tra cui ci sarebbero anche i massimi leader militari come Ceku e
Haradinaj (ma si parla anche dello stesso Thaqi). L’arresto da parte
della polizia dell’UNMIK di esponenti del movimento guerrigliero e in
particolar modo di Rrustem Mustafa ha causato nei mesi scorsi momenti
di grande tensione, sfociati in grandi manifestazioni di protesta ed
in scontri tra la popolazione albanese e le forze internazionali.
Dall’altra parte il mandato di cattura emesso da parte dell’UNMIK nei
confronti di Milan Ivanovic, uno dei leader della comunità serba di
Mitrovica nord, accusato di aggressione e lesioni nei confronti di
esponenti della polizia internazionale nel corso di gravi disordini
scoppiati a Mitrovica nello scorso aprile, ha causato una rottura
grave nei rapporti con la comunità serba, ricuciti con grande fatica
e con una marcia indietro dall’UNMIK .
Con l’avvicinarsi delle elezioni municipali del 26 ottobre scorso, i
leader serbi, appoggiati da Belgrado, hanno ancora una volta cercato
di condizionare la loro partecipazione al voto, essenziale per la
comunità internazionale, all’accelerazione nell’agenda di Steiner
delle promesse e dei programmi rivolti alla comunità serba, primo tra
tutti il programma di rientro dei profughi.
LE ELEZIONI MUNICIPALI
La popolazione del Kosovo si è presentata alle elezioni municipali
con uno stato d’animo molto meno positivo rispetto agli anni scorsi:
nel 2000 l’entusiasmo alle stelle aveva portato gli albanesi alla
sorprendente affluenza del 79%, ma già nelle parlamentari del 2001 il
dato relativo all’affluenza era sceso al 64,3%.
Nel contesto che si è descritto è risultato inevitabile il dato della
scarsa affluenza alle urne in occasione della consultazione
elettorale, con le quali si sono rinnovati i 30 consigli municipali
della provincia, eletti per la prima volta due anni prima, in quelle
che erano state le prime vere consultazioni libere per la popolazione
kosovara e che i serbi avevano disertato in massa . I nuovi
amministratori locali resteranno in carica per i prossimi quattro
anni.
La campagna elettorale si è svolta in maniera piuttosto corretta e
senza incidenti di rilievo e a ciò ha contribuito non solo la
maggiore maturità politica dei kosovari, ma anche la mancanza di
interesse della popolazione e la sfiducia nei confronti dei leader
politici.
Le elezioni sono state organizzate ancora una volta dall’OSCE, che
per la terza volta si è occupata di tutte le procedure relative, a
partire dalla registrazione dei votanti e delle entità politiche fino
alla supervisione delle operazioni di voto e di scrutinio. L’Osce ha
avuto a disposizione un budget molto più ridotto rispetto alle
precedenti consultazioni elettorali e ha impiegato 900 osservatori
internazionali che hanno monitorato circa 1400 seggi.
La prossima consultazione, quella per il rinnovo del Parlamento che
avrà luogo a fine 2004, dovrebbe essere organizzata per la prima
volta dai locali e l’Osce dovrebbe avere soltanto la funzione di
osservatore esterno. Il ruolo di tale agenzia internazionale è
comunque oggetto di forti critiche: lo scorso 20 novembre Steiner, su
diretto suggerimento di Kofi Annan in visita in Kosova, ha imposto la
presenza di funzionari dell’Osce ai lavori del Parlamento del Kosovo,
condizione richiesta come essenziale dal gruppo di deputati serbi,
guidati da Rada Trajkovic, per mettere fine al boicottaggio dell’aula
parlamentare. Tale fatto è stato comprensibilmente interpretato dai
partiti albanesi della maggioranza come un’ingerenza nei lavori
dell’Assemblea .
Così come nel 2001, è stata data la possibilità di votare anche ai
cittadini serbi residenti in Kosova prima del giugno 1999 e non
ancora rientrati, con l’allestimento di decine di seggi elettorali in
territorio serbo e montenegrino.
Nei mesi precedenti la consultazione elettorale, sono stati
registrati in totale 1.320.481 persone , oltre a più di 11.000
persone residenti all’estero, a cui è stata data la possibilità di
votare via email . In palio le cariche dei 920 membri delle assemblee
delle 30 municipalità del Kosova, sulla base di un sistema
proporzionale. Sono state 68 le entità politiche presentatesi, tra
partiti, coalizioni, liste civiche o individuali, di cui ben 38 in
rappresentanza della comunità serba.
Ogni partito ha presentato una lista bloccata di candidati, eletti a
seconda del risultato dell’entità politica, non avendo modo gli
elettori di indicare sulla scheda una preferenza, a differenza di
quanto successo nel 2000.
Le settimane precedenti il voto sono state caratterizzate da una
serie di decisioni vincolanti prese dalla CEC (Central Election
Commission) presieduta dal francese Pascal Fieschi, alla guida
dell’OSCE in Kosova, l’organo a cui è stata data carta bianca
nell’infliggere sanzioni che sono andate a volte fino alla
eliminazione di partiti o singoli candidati dalle schede elettorali
in caso di infrazione delle regole fissate dalla CEC .
La partecipazione della comunità serba è stata ancora una volta in
dubbio fino all’ultimo momento. Poche settimana prima della
consultazione, Steiner ha enunciato un piano in sette punti per il
“decentramento”, a partire da Mitrovica, che dovrebbe garantire un
maggiore grado di autonomia alle municipalità e che verrebbe incontro
agli interessi di quelle a maggioranza serba. I leader serbi hanno
accolto con interesse tale proposta, che tra l’altro condizionava la
sua attuazione alla partecipazione al voto della comunità serba delle
enclaves e delle municipalità settentrionali a schiacciante
maggioranza serba. Il tal modo l’UNMIK è riuscita ad ottenere
l’appoggio delle principali formazioni politiche serbe alla
partecipazione al voto, ad eccezione del Consiglio Nazionale Serbo di
Mitrovica e di altri partiti minori .
La novità maggiore nel panorama politico albanese, rispetto alle
precedenti consultazioni, è stata costituita dalla presenza del PreK
(Nuovo Partito del Kosova), nato da pochi mesi e presieduto da Bujar
Bukoshi , ex Primo Ministro del Governo del Kosova, l’istituzione
parallela in esilio nata ad inizio degli anni ’90 all’epoca del
regime di Milosevic.
L’unica formazione politica albanese che ha, seppure solo in un
secondo momento, invitato al boicottaggio elettorale in segno di
protesta con la politica dell’UNMIK, soprattutto per quanto riguarda
la questione dell’indipendenza negata, è stato l’LKCK, piccola
formazione con radici marxiste-enveriste .
Nel campo opposto, alla consultazione si sono presentati per la prima
volta anche tutti i principali partiti politici presenti in Serbia.
Dal canto loro tutte le altre comunità etniche minoritarie sono state
rappresentate, nelle aree in cui gli elettori residenti si sono
registrati.
La piattaforma politica dei partiti albanesi, pur orientandosi su
tematiche locali, ha posto come punto fondamentale la questione
dell’indipendenza futura della Kosova ed in ciò i programmi delle
principali formazioni politiche non registra differenze. Ancora una
volta il risultato del voto è stato determinato dal grado di
popolarità dei maggiori leader, tra i quali è sempre esistita una
grandissima rivalità sfociata purtroppo, dal termine della guerra, in
numerosi incidenti e uccisioni a sfondo politico interni al campo
albanese e che hanno coinvolto esponenti di tutti i partiti albanesi.
All’avvicinarsi della consultazione gli organi di stampa locali hanno
montato una feroce campagna denigratoria contro gli avversari
politici , che ha contribuito a radicalizzare le posizioni della
popolazione.
Le operazioni di voto si sono svolte regolarmente e non si sono
registrati incidenti, ma le tensioni interne alla vita politica
albanese sono rimaste molto alte, come testimoniano gli scontri di
piazza registrati a Kacanik ed in altre città della provincia la
notte delle elezioni, dopo la proclamazione dei risultati. L’episodio
più grave è stato comunque l’assassinio il giorno dopo il voto, in un
villaggio nei pressi di Suhareka, del sindaco uscente, esponente
dell’LDK di Rugova .
Se prendiamo invece in considerazione i partiti e le coalizioni serbe
che si sono presentate, i temi di maggiore rilievo dei programmi sono
stati sicuramente la sicurezza, la libertà di movimento, la necessità
di accelerare il programma di rientro dei profughi, la determinazione
a rimanere sotto il controllo politico di Belgrado, la rivendicazione
del “Kosmet (Kosovo e Methoija) ” come una componente essenziale
della Madre Serbia e territorio culla della cultura, dell’identità
nazionale e dell’ortodossia serba.
L’AFFLUENZA
Il dato che ha connotazioni più positive è quello relativo alla
percentuale di donne elette nei consigli municipali, in una società
ancora tradizionalista come quella kosovara: il 28,5% degli eletti,
corrispondente a 262 consiglieri. Ciò è stato possibile grazie anche
al sistema delle liste bloccate ed alle linee guida della CEC, che ha
imposto un certo numero di esponenti femminili ai primi posti della
lista di candidati di ogni partito.
Per quanto riguarda l’affluenza alle urne, i dati sono invece
tutt’altro che entusiasmanti. Come ampiamente previsto, c’è stato un
vistoso calo rispetto agli anni precedenti e ciò dipende solo in
parte dalla terza consultazione in tre anni che i cittadini kosovari
sono stati chiamati a sostenere.
Il dato complessivo (Kosova e seggi in Serbia ed in Montenegro)
registra un’affluenza del 53,86%. Se si tiene in considerazione i
voti dei residenti in Kosova, escludendo coloro che hanno votato in
Serbia ed in Montenegro, la percentuale arriva al 58%.
Il fenomeno della minore affluenza alle urne è piuttosto
generalizzato ed è andato a colpire l’elettorato albanese così come
quello serbo. Per quanto riguarda i cittadini serbi, si nota in
particolar modo l’alto astensionismo registrato nella parte
settentrionale della Kosova, a stragrande maggioranza serba, come
scelta politica e segno di protesta nei confronti
dell’amministrazione internazionale.
La comunità serba si è mobilitata invece nelle municipalità della
Kosova dove i serbi costituiscono la maggioranza: a Shterpce/Strepce,
nel sud del Kosova, ha votato il 69%; a Novo Brdo l’80%. Insieme ai
tre comuni settentrionali (Leposavic, Zvecan e Zubin Potok), i serbi
si sono garantiti il diritto di amministrare anche Shterpce/Strepce e
Novo Brdo per i prossimi quattro anni, dove i partiti albanesi
saranno all’opposizione.
Nel Kosova a maggioranza albanese l’affluenza è risultata piuttosto
scarsa e non ha superato il 50% nelle municipalità con minoranza
serba o bosgnacca : Fush Kosoves/Kosovo Polje, Obiliq/Obilic,
Kamenice/Kamenica, Viti/Vitina, Mitrovica, Dragash
Ciò è da considerarsi frutto non solo della scelta politica di parte
della comunità serba ma anche del minore grado di entusiasmo nelle
fila dell’elettorato della maggioranza albanese, che avrebbe dovuto
essere maggiormente stimolata dalla competizione politica
“interetnica”, con in gioco l’amministrazione della propria
municipalità. I partiti albanesi si sono comunque assicurati una
maggioranza schiacciante in consiglio comunale in tali municipalità.
L’affluenza alle urne nelle aree abitate quasi esclusivamente da
albanesi si è mantenuta tra il 52% ed il 67% (a Shtime/Stimlje).
L’affluenza registrata nelle maggiori città del Kosova è
particolarmente indicativa: a Prishtine/Pristina ha votato il 51,81%,
a Gjilan il 54,14%, a Mitrovica il 48%, a Peja/Pec il 57,3%, a
Prizren il 55,3% a Gjakove/Dakovica il 54,2%.
IL VOTO DEGLI ALBANESI
Confrontando i risultati elettorali con quelli di un anno prima, il
dato più significativo è il seguente: la LDK ha perso quasi 39.000
elettori, mentre il PDK ne ha guadagnati 5000 e l’AAK è rimasto
stabile. Tali risultati indicano due tendenze ben precise:
l’astensionismo che ha colpito gli elettori del partito di Ibrahim
Rugova e lo spostamento di consensi dalla LDK verso il PDK di Hashim
Thaqi e l’AAK di Ramush Haradinaj. Un fenomeno che è in corso dalle
municipali del 2000: la LDK aveva perso circa 38.000 voti nel
novembre 2001 rispetto al trionfo registrato un anno prima e come
abbiamo visto altrettanti nel corso degli ultimi 12 mesi. Il calo di
consensi nei confronti dell’LDK registra quindi un andamento continuo
da due anni a questa parte.
Al contrario, il PDK è in crescita: +15.000 nel 2001 rispetto ad un
anno prima, mentre alle ultime consultazioni è riuscito a registrare
un aumento dei votanti nonostante il maggiore astensionismo. Lo
stesso discorso vale più o meno per l’AAK, che pur rimanendo a debita
distanza dai due principali partiti, si è riconfermata la terza forza
politica nel panorama albanese, registrando più o meno lo stesso
numero di votanti rispetto ad un anno fa (dopo un incremento di 8500
voti nel 2001 rispetto ad un anno prima).
Tali dati possono essere interpretati come il risultato di due cause
principali: la LDK, che ha amministrato la maggior parte delle
municipalità in questi due anni, paga lo scotto dei fallimenti e del
non mantenimento delle promesse da parte sia della comunità
internazionale sia dei funzionari di partito locali. I grossi
problemi sociali ed economici e la disoccupazione dilagante hanno
fatto in modo che l’elettorato abbia punito le classi dirigenti
elette negli anni precedenti. In questo contesto hanno avuto buon
gioco partiti come il PDK, che ha saputo raccogliere, almeno in
parte, i frutti di questo malcontento ed i vantaggi derivanti dallo
stazionare all’opposizione nella maggior parte dei consigli
municipali. L’altra principale spiegazione dell’andamento del voto
risiede nella maggior radicalizzazione dell’elettorato albanese,
fenomeno che come abbiamo visto ha portato ad una perdita di voti
dell’LDK a favore di partiti considerati più “radicali” o comunque
guidati da personalità considerati nell’immaginario collettivo meno
disposti a compromessi, come gli ex leader guerriglieri Thaqi e
Haradinaj. Entrambi questi fenomeni sono diretta conseguenza della
problematica situazione attuale della Kosova e dell’aumentare, col
passare degli anni, della disillusione e della frustrazione
dell’elettorato per il mancato raggiungimento degli obiettivi
promessi dai leader politici locali, primo tra tutti quello
dell’indipendenza.
Astensionismo e radicalizzazione dell’elettorato hanno evidentemente
la stessa matrice.
Pur avendo ridotto le distanze dagli acerrimi rivali, il PDK rimane
ancora lontano dal partito del Presidente del Kosova, che rimane la
formazione politica principale.
Delle 25 municipalità a maggioranza albanese, la LDK ne amministrerà
19, mentre il PDK ne ha conquistate 6.
Il divario continua a diminuire nelle grandi città: a Pristina 54.4-
25 (rispetto al 57.8-20.4 di un anno fa), a Prizren 37.8-28.1 (42.3-
26.3 nel 2001), a Mitrovica 53.4-34.2 (56.4-28 nel 2001), a
Ferizaj/Urosevac 59.1-29 (62.8-27.4); la LDK ha tenuto invece a
Gijlane, dove i rapporti di forza sono 51.1-28.9, stabili rispetto ad
un anno fa.
Il vantaggio di cui dispone la LDK, pur diminuito, è comunque ancora
elevato: Dragash 36.5-28.9 , Istog/Istok 59.4-18.1, Klina 39.9-32.2,
Fush Kosove/Kosovo Polje 50.5-23.3, Kamenice 45.2-27.3, Obiliq/Obilic
52.7-28.1, Rahovec/Orahovac 48.8-32, Podujevo 59.3-27.5,
Suhareke/Suvareka 59.8-24.3, Viti 52.2-28.5, Vushtri/Vucitrn 57.1-
31.5.
Anche nelle tre municipalità in cui la LDK ha avuto come principale
rivale l’AAK, il divario è diminuito: a Gjakove/Dakovica 39.9-23.2
(49.9-24.1 nel 2001), a Peja/Pec 45.8-30.3 (55.4-22.9), a Decani è
quasi sparito (48.6-45.8).
Per quanto riguarda le 6 municipalità conquistate dal PDK, oltre al
confermato dominio in Drenica (a Skenderaj/Srbica 81.6-12.3 a favore
del partito di Thaqi, a Gllogovc 82.2-11.4) il Partito Democratico si
è confermato a Malishevo (51.8-42.2), a Shtime/Stimlje (52.7-43.3) e
a Kacanik (48.4-44.4), mentre a Lipjan/Lipljan è avvenuto il sorpasso
(43.5 PDK- 41.9 LDK).
La piana del Dukagijn, la parte occidentale del Kosova, si è
confermato il serbatoio di voti principale per l’AAK di Ramush
Haradinaj, che ha di gran lunga superato il PDK (che non arriva al
10%) e si è accreditato come un rivale temibile per il partito di
Rugova, ottenendo un successo considerevole a Peja/Pec e a Decani.
Buoni risultati l’Alleanza per il Futuro del Kosova ha ottenuto anche
a Istog/Istok (9.6), Klina (11.3), Kamenice (11.2), Rahovec/Orahovac
(9.1) e a
Pristina (6.9).
Le altre formazioni politiche del campo albanese hanno raccolto
scarsi
risultati, raccogliendo un basso numero di seggi .
IL VOTO DEI SERBI
Il voto si presenta invece piuttosto frammentato se si passa
all’analisi nel
campo serbo, dove si è registrato un buon successo di alcuni dei
partiti
“belgradesi”, che si sono presentati per la prima volta in Kosova e
che hanno
dato filo da torcere alla Coalizione Povratak (Ritorno), unica
formazione
politica serba alle parlamentari del 2001.
A Shterpce/Strepce il partito più votato è risultato il SSZ
(Socialisti della
vallata di Sirina) con il 18.42, seguito dall’SDP (Movimento
Democratico Serbo
con il 14.14); il DSS (Partito Democratico di Serbia) del presidente
Kostunica
ha ottenuto l’11.68, la coalizione Povratak il 9.2, il PKM (Movimento
per il
Kosovo e Metohija di Momcilo Trajkovic) l’8.38, la SPO di Vuk
Draskovic il
6.76.
Nella piccola municipalità mista di Novo Brdo, Povratak ha ottenuto
il 25.16,
il DSS il 9.41, la lista DZZ (Vivere Insieme) il 15.98. I partiti
serbi hanno
ottenuto una lieve maggioranza rispetto alla somma dei voti dei
partiti
albanesi ed hanno i numeri per amministrare la città per la prima
volta.
Per quanto riguarda le municipalità settentrionali, a Leposavic buoni
risultati
per il DSS (25), la lista civica socialista (19.3) e per l’SNV di
Milan
Ivanovic (18.07); Povratak è al 13.3, la SPO al 7.86. Il DSS di
Kostunica è
risultato il maggiore partito anche a Zubin Potok (45.8), mentre a
Zvecan la
prevalso l’SNV (34.5 contro il 30 del DSS) .
Infine il voto nelle “enclaves” serbe ha visto predominare Povratak ,
con buoni
risultati anche per il DSS .
La scelta dei partiti che hanno maggior seguito in Kosova tra i
cittadini di
etnia serba, l’SPS (Partito Socialista Serbo) e soprattutto il
Partito Radicale
Serbo (SRS) di Seselj, è stata quella di non registrarsi invece per
queste
elezioni, non riconoscendo l’autorità dell’UNMIK sul “sacro suolo del
Kosmet”.
Ciò ha contribuito inevitabilmente alla bassa scarsa affluenza degli
elettori
serbi, che si è attestata intorno al 50%.
Da segnalare a Prizren la consistente minoranza turca, che ha
raggiunto il 9.8,
con 4 consiglieri eletti nella municipalità.
Gli amministratori eletti il 26 ottobre scorso avranno quattro anni
per
affrontare le sfide e i problemi irrisolti del Kosova e chiederanno
all
’amministrazione internazionale maggiore autonomia e
decentralizzazione. Nel
frattempo i partiti sono già proiettati verso la scadenza
fondamentale delle
elezioni parlamentari del 2004.
Gli obiettivi che hanno di fronte i leader politici eletti sono più
che
stimolanti: l’emancipazione dalla tutela internazionale e
l’autodeterminazione,
la piena tutela, il rispetto e la sicurezza per le minoranze, la
costruzione di
istituzioni locali dotate di reale potere decisionale, la trasparenza
e la
correttezza al livello pubblico ed amministrativo, l’avvio di
investimenti, la
riapertura delle fabbriche, l’aumento dell’occupazione, l’avvio di
attività
economiche e produttive autonome e non assistite, la creazione di un
sistema
giudiziario gestito in ultima istanza dai locali, una reale giustizia
rispetto
ai crimini di guerra…
L’impressione è che il Kosova abbia ancora molta strada da
percorrere; per
questo è necessaria la definizione del suo status e della sua propria
identità.
Tuttavia ciò che i cittadini kosovari possono aspettarsi in questo
senso dalla
comunità internazionale e probabilmente anche dalla loro leadership
politica
non corrisponde alle loro aspettative; per l’UNMIK i tempi difficili
potrebbero
ancora arrivare.
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