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Speciale del Corsera sul Kossovo (1 e 2)
- Subject: Speciale del Corsera sul Kossovo (1 e 2)
- From: Marco Trotta <mrta at bfsf.it>
- Date: Sat, 29 Nov 2003 11:26:07 +0100
[Il Corsera sta pubblicando a puntante uno speciale sul Kossovo. Queste le prime due. MT] giovedì, 27 novembre, 2003 RELIGIONE Pag. 015 Rugova, il Kosovo e la conversione «Simpatia per il cristianesimo» «E' stata la prima fede del nostro popolo. Le moschee sono venute dopo» Il «Gandhi dei Balcani» indica come sua priorità la vera tolleranza fra le confessioni diverse nella provincia serba a maggioranza albanese Battistini Francesco DAL NOSTRO INVIATO PRISTINA (Kosovo) - Presidente Rugova, è vero che si è convertito al cristianesimo? Un sorriso, un lungo silenzio. Ibrahim Rugova è pur sempre il capo d' uno Stato «multietnico» al 90 per cento musulmano, sostenuto dai soldi (anche) di molti Paesi islamici. L' antico allievo di Roland Barthes sa pesare le parole: «Diciamo così: oggi nutro una certa simpatia nei confronti dell' educazione cristiana e occidentale». Possiamo chiamarlo un percorso spirituale, quello che sta compiendo? «La nostra educazione di provenienza è occidentale. E anche storicamente, la prima fede praticata dal popolo albanese è stata il cristianesimo. Le moschee e il resto sono arrivati dopo. Già con gli Illiri, coi Romani ci furono in questa terra fermenti di cristianesimo. E invece, con gli Ottomani, una parte di questa popolazione è stata portata all' Islam con la violenza. Questo è accaduto anche dopo Skanderbeg e la sua resistenza all' invasione dei Turchi». Un ritorno alle radici... «C'è stata una penetrazione musulmana molto profonda e questa, ancora oggi, si traduce nei nomi e nei costumi del nostro popolo. Cristiani e musulmani si sono integrati con una certa armonia. L' unico presupposto della nostra esistenza è la tolleranza reciproca. Senza questa, saremmo scomparsi: noi kosovari, ma anche gli albanesi e i macedoni. Così oggi, in questo clima, ciascuno di noi può scegliere la religione, la tradizione che meglio lo rappresenta». Lei però è il presidente del Kosovo... «Il mio è un interesse culturale e spirituale del tutto personale. Vede quel quadro? (indica l' olio d' un ritratto su sfondo verde, opera d' un pittore kosovaro) E' un ritratto di Pjeter Bogdani. Fu un grande vescovo del Kosovo, nel ' 600 combatté la penetrazione islamica in questa terra. Una figura straordinaria, molto attuale per chi vuole capire queste epoche di confronto tra civiltà». Quando si farà battezzare? Altro sorriso: «Si vedrà... Ora il mio obbiettivo è soprattutto politico: voglio mirare a una vera tolleranza fra cristiani e musulmani». Rugova folgorato sulla via di Pristina. E' da almeno un anno che circolano voci sulla conversione del «Gandhi dei Balcani», capo storico contestato dalla leadership kosovara, ma ancora forte d' una maggioranza politica. Un sacerdote italiano segue questo cammino di fede fin dal ' 99, dai tempi dell' esilio romano di Rugova, quando questa terra veniva «serbizzata» dalle truppe di Milosevic e bombardata dalla Nato: «Se si è convertito? - si schermì il prete, mesi fa, alla nostra domanda -. Non so se sia opportuno rivelarlo. In ogni caso, chiedetelo a lui». Fatto: una mattina di novembre il presidente del Kosovo, anziché sottrarsi, s' alza dalla sua poltrona rosso impero, primo piano del palazzo sui colli di Pristina, e ci accompagna in una sala vicina, davanti al plastico color alabastro d' una cattedrale. «E' il mio sogno: un mausoleo per Madre Teresa di Calcutta, grande cristiana e grande albanese. L' hanno disegnato due architetti italiani, Bruno Valente e Giuseppe Durastanti. Sono stato in Vaticano. Ho mostrato il progetto anche al vostro ministro Buttiglione». Ma quei soldi non si potrebbero usare per cose più urgenti? «Il progetto sarà finanziato con le donazioni individuali. In ogni caso, a noi servono questi simboli. E non è con la somma destinata a una chiesa che si cambia l' economia di un Paese». Quale Paese? Lei parla d'indipendenza e gli americani hanno addirittura fissato una data (il 2005), ma il Kosovo dipende ancora da Belgrado, almeno formalmente... «Saremo indipendenti prima del 2005. E' un' ipotesi realistica». Però la guerra del'99 fu fatta, si disse, per un Kosovo multietnico: albanesi musulmani vicino a serbi cristiani. Qui invece è tutto albanesizzato. Pensa che l' Europa possa accettare un Kosovo senza serbi? «Questa diventerà una società multietnica, come l' Europa. E' vero: il primo impatto è che i cartelli, i monumenti, la parlata sono albanesi, ma solo perché la maggioranza della popolazione è ormai albanese. Dopo la guerra, le minoranze serbe, turche, bosniache, rom sono diminuite. Questo non significa che per loro non ci sarà spazio». Uno spazio minimo: i serbi vengono presi a fucilate. E anche lei, quante volte ha incontrato le minoranze? «Talvolta l' ho fatto. Però sono tenuto a limitare le mie uscite ufficiali per motivi di sicurezza». Ma lei è favorevole al ritorno dei serbi in zone come Peja, controllate dai militari italiani, dove la convivenza appare impossibile? «Sì. Ne sono già tornati settemila. Questo però dipende dalle scelte individuali, non dalla propaganda di Belgrado che crea solo destabilizzazione». A Vienna, ai primi colloqui tra albanesi e serbi dal ' 99, c' era soltanto lei. I grandi capi del vecchio Esercito di liberazione del Kosovo, l' Uck, hanno disertato. «Io ero là come presidente del Kosovo. Ho constatato che altri hanno esitato. Ma questo fa parte della normale dialettica in una democrazia». E' vero che Belgrado è disposta a cedere il Kosovo in cambio di 2 miliardi di dollari e d' una scorciatoia per la Ue? «Illazioni. Non ne so niente. Per noi, il prezzo pagato è stata la guerra. Poi, se i serbi vogliono entrare nell' Unione europea, sono affari loro». Il Tribunale dell' Aja sta indagando su crimini commessi non solo da Milosevic, ma anche dagli attuali leader kosovari, Thaci e Agim Ceku in testa. Glieli consegnerete? «Il mandato di Carla Del Ponte si estende a tutti i Balcani e anche all' Occidente. Come tutti i Paesi, noi siamo tenuti a collaborare. Ma se si tratta di eseguire arresti, questo non è compito nostro: è nelle competenze dell' Onu, che per il momento amministra questa regione». Questa parte di Balcani (Kosovo, Albania, Macedonia, Montenegro) è un quadrilatero del crimine. L' Europa è preoccupata da tanti traffici di droga, d' armi, d' esseri umani. Come pensa di rassicurarla? «Il problema è la libera circolazione nell' area. Ora è limitata, se sei una persona perbene, mentre è indisturbata se sei un criminale. Qualcosa non funziona nei controlli. L' Onu, le organizzazioni europee devono capire che i confini vanno guardati in un altro modo, non bloccando chi vuole produrre ricchezza lecita. Ad esempio, io vorrei una grande autostrada da Pristina a Durazzo, per consentire alle merci di arrivare all' Adriatico senza inerpicarsi sulle montagne, dove sono i contrabbandieri a fare le regole. Ma è un progetto difficile da far passare». Quanto deve durare la presenza internazionale in Kosovo? «La missione Onu sta già trasferendo molti poteri alle nostre autorità. Quanto alla Nato, le basi resteranno. Il futuro del Kosovo indipendente è legato al suo ingresso nella Nato». Ma come sarà, questo Kosovo indipendente? Che bandiera avrà? E i confini saranno quelli di adesso? Gli albanesi della Serbia meridionale vorrebbero annettersi a voi, la piazza di Pristina chiede l' annessione a Tirana... «La bandiera è già pronta (Rugova ne mostra una nella sala, vicina a quella albanese). L' aquila schipetara in un cerchio rosso su sfondo blu, che è il colore del nostro cielo, della tolleranza e dell' Europa. Ci sono anche la scritta "Dardania", antico nome del Kosovo, e una stella a sei punte, quella di Skanderbeg. I confini? No, sono intoccabili. Se li toccassimo, si riaprirebbero contenziosi in tutti i Balcani». La bandiera sventolerà sulla cattedrale di Madre Teresa? «E' presto per dirlo. Il terreno c'è, la prima pietra della chiesa è già stata posata. Nel 2004 cominceranno i lavori. Abbiamo fretta di finirla». Perché? «Ho chiesto al Papa di venire a inaugurarla». Francesco Battistini venerdì, 28 novembre, 2003 GUERRA CRIMINI Pag. 015 Kosovo, la strage rimasta senza prove Cinque anni dopo ancora introvabili le fosse comuni denunciate all' epoca. Dal ' 99 a oggi l' Unione Europea ha speso qui due miliardi e 877 milioni di euro, il più grande investimento mai fatto all' estero, senza contare il costo dei 18 mila soldati inquadrati nella missione Kfor-Nato cui partecipano 38 Paesi. Questa regione per il momento non è nulla Il mondo non ha deciso che farne IL REPORTAGE: VIAGGIO NEI BALCANI. La provincia non più serba e non ancora indipendente è in realtà governata dalle mafie locali e internazionali Battistini Francesco DAL NOSTRO INVIATO KACANIK (Kosovo) - Ci ha piantato la colza: «Cresce prima e si vende meglio». Le gelate venture non spaventano Qamil Berani, 42 anni, mani usurate d' un emigrato a Zurigo prima di tornare a questi campi di Kacanik. A impensierirlo non è che tempo fa: è il tempo che lo separa dal ritorno dei cercatori di fosse. Lui pianta solo roba che si raccolga in fretta. Perché da quattro anni gli ripetono che sotto la sua colza ci sono altri cadaveri, sepolti nel ' 99. Tutti sanno: «Però nessuno viene mai a scavare». Ne trovarono alla pompa di benzina, nel pozzo della moschea, sulle montagne. Erano poche decine di corpi, però, non le centinaia che si pensava. Da allora tutti giurano che è impossibile, a Kacanik ce n' è altri. Basta cercare. Per esempio, sotto la colza di Qamil: «Io non ho mai trovato neanche un osso. Che vengano a controllare, purché dicano quando: ho famiglia, senza raccolto faccio la fame». Le grandi fosse comuni del Kosovo sono un po' come le armi chimiche di Saddam: introvabili. Non che servano prove, della pulizia etnica: in pochi mesi, Milosevic massacrò duemila albanesi e ne provocò un esodo. Però gli stermini bosniaci tipo Srebrenica, denunciati da Clinton e dall' Europa, non sono mai stati dimostrati. E nessuno oggi ha troppa voglia d' indagare se è vero, come sosteneva l' Uck, che all' appello mancano almeno 9mila persone. «Sono state scoperte solo le piccole fosse, non quelle di massa - ammette Laurie Weisberg, commissario Onu per i profughi -. Il problema principale è la mancanza d' informazioni che ci mettano in grado d' identificare dove sono». Do you remember Kosovo? Sono passati cinque anni da Racak, il massacro d' albanesi che finì per scatenare i bombardamenti Nato su Belgrado; ne sono passati tre, dalla cacciata del feroce Slobo. Eppure questa regione non è ancora nulla: non è più Serbia, non è ancora uno stato. Governa (male) l' Onu, una folla strapagata di ghanesi che organizzano i municipi o di pakistani che regolano il traffico. Un' amministrazione così chiacchierata da obbligare a istituire perfino una task-force d' investigatori sulla corruzione: è comandata da un finanziere italiano, ha già scoperto una dirigente delle poste (kosovara) che intascava decine di milioni di euro. Ci costa molto, stare in Kosovo: l' Ue ha speso 2 miliardi e 877 milioni di euro, il più grande investimento all' estero, senza contare i 18mila soldati Nato di 38 Paesi. I 2.800 militari italiani, sistemati nel campo superlusso di Peja, sono il contingente più grosso dopo quello americano. La nostra ambasciata a Belgrado ha aperto una legazione diplomatica nuova di zecca, guidata da Pasquale Salzano, mille metri quadri di palazzina e un enorme lavoro sui visti Schengen che altri (i tedeschi) rilasciano con fin troppa disinvoltura. In Kosovo è l' Europa a pagare, ma è New York a comandare. S' è visto in giugno, quand' era pronta la nomina a governatore d' un italiano, Antonio Armellini, e invece è giunto il veto di Kofi Annan che ha imposto un ex premier finlandese, Henry Holkeri, entrato subito in collisione con Hashim Thaci, il guerriero-liberatore del ' 99 che nei giorni scorsi ha ricominciato ad agitare le piazze e lo spettro della Grande Albania, cortei per chiedere la cacciata dell' Onu. Lo riconosce anche Rugova: c' è già una piccola Albania, qui. Il progetto multietnico è fallito. I serbi non tornano e se lo fanno, li ammazzano. Una trentina di morti negli ultimi sei mesi, bambini compresi. «Il nostro è un piccolo martirio che si consuma nell' indifferenza del mondo», enfatizza padre Sava, storica voce della comunità ortodossa. L' albanesizzazione è fatta di mille segni e l' unica cosa in cirillico che puoi ancora trovare, a Pristina, è l' edizione russa di Playboy. Le strade si chiamano via Madre Teresa, le statue sono dedicate all' eroe albanese Skanderbeg, le macellerie non vendono maiale, il logo della lotteria nazionale è l' aquila su fondo rosso, l' aula del Parlamento viene ristrutturata da Pacolli, l' ex marito di Anna Oxa. I partigiani dell' Uck hanno finto di disarmarsi, ma intanto è comparsa anche qui l' Ana, la falange albanese che mette bombe nella Serbia meridionale. Quando la polizia slovena ha arrestato un capo storico dell' Uck, Agim Ceku, braccio destro di Thaci ricercato per crimini vari, i commercianti di Pristina hanno rovesciato in strada tutti i prodotti importati da Lubiana. Chi risolverà il cubo di Rubik kosovaro? L' 11 settembre ha accelerato tutto. Impazienti di sterzare sull' Iraq, gli americani hanno fissato una data: indipendenza nel 2005. Gli interessi dell' America non sono quelli dell' Europa, però. Il Kosovo è uno stato-canaglia di droga, armi, nuovi schiavi. La strada Skopje-Pristina è una mappa del potere mafioso, ogni mezzo chilometro c' è un motel di ragazze moldave o una pompa di benzina: «Sono i soldi riciclati dal partito di Thaci - spiega un funzionario Onu -. Ma c' è anche gente di Rugova che s' arricchisce con questi affari. Qui non esiste un' economia e i soldi arrivano solo da due canali: quello che spendiamo noi delle missioni internazionali, quello che vendono loro alla mafia russa, italiana, turca». Gli affari interessano più delle fosse, in Kosovo. E la visita di Bloomberg, sindaco di New York, sui giornali ha più spazio di quella del segretario Nato. «Il nostro sogno è diventare un paradiso fiscale nel cuore d' Europa», ha le idee chiare Edi Limani, 36 anni, che fa soldi con le Mercedes taroccate in Albania. Mica per niente, lui come tutti, usa un cellulare col prefisso 00377: quello del Principato di Monaco. Francesco Battistini (2 - continua). L' intervista con Rugova è stata pubblicata il 27 novembre KACANIK Nel giugno del 1999 le forze inglesi scoprono una fossa comune nei pressi del villaggio di Kacanik, al confine con la Macedonia, contenente 85 corpi IZBICA Alla fine del marzo 1999 le truppe serbe attaccarono il villaggio di Izbica, separarono gli uomini dalle donne, condussero via 130 uomini divisi in due gruppi e li giustiziarono LJUBENICA La popolazione locale ritrova i resti di 58 kosovari trucidati dalle truppe serbe nella città di Ljubenica il primo aprile del 1999. Sul caso hanno investigato le truppe italiane BELA CRVKA Miliziani dell' Esercito di liberazione del Kosovo rendono omaggio ai corpi di 64 uomini, donne e bambini trucidati dai serbi nel villaggio di Bela Crvka nel marzo 1999
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