Telekom, la trappola fu preparata 2 anni fa



"Onorevole gentiluomo", "gentiluomo onorevole", "Vostro Onore"? Questo
avvocato Trantino da Catania è una miniera di sorprese...
Ecco la seconda puntata della Telekom-Story.

J.F.Padova



Telekom, la trappola fu preparata 2 anni fa

Carlo Bonini e Giuseppe D'Avanzo ("la Repubblica", 3 ottobre 2003)



L’uomo chiave della Grande Trappola organizzata in Commissione Telekom,
contro Prodi, Fassino e Dini, è stato, almeno fino al 1993, un
"collaboratore del Sismi", il servizio segreto militare. Si chiama Antonio
Volpe. È uno spione "frammassone" specializzato nel ramo disinformazione.
Muove lui, dunque, le fila di un affaire che, di giorno in giorno, ravviva
il suo disegno, portandone alla luce il canovaccio, gli interpreti, gli
sceneggiatori, le variazioni falsarie che ne truccano la genesi e ne
confondono il percorso, le omissioni del presidente della commissione Enzo
Trantino o di Palazzo Chigi (o, insieme, di Palazzo Chigi e di Trantino).

Quel che segue è la storia della più grave operazione di disinformazione
venuta alla luce dopo la morte della Prima Repubblica, giunta a sfiorare
addirittura il Presidente della Repubblica. È una storia che stringe in un
solo nodo due intrecci. Nello sfondo e al proscenio del primo, sono in
azione uomini collaterali a una intelligence fangosa e personaggi
dall'opaco passato ricattati per farsi avanti e accusare Romano Prodi. Vi
appaiono Antonio Volpe, il "collaboratore del Sismi", il suo compare Pio
Maria Deiana e, infine, una faccia nota: Francesco Pazienza. È il direttore
"occulto" del Sismi infiltrato da Licio Gelli a scrivere la trama della
cospirazione, due anni fa. Repubblica è in grado di produrre un appunto
scritto di suo pugno sequestratogli in carcere. Vi si legge: «Se una
persona si presenta da questo stronzo (è Pio Maria Deiana, ndr, vedremo che
ruolo ha in commedia) e gli mostra questo foglio, l'unica cosa che può fare
è mettersi completamente a disposizione. Altrimenti per lui sarebbe la fine
(...) D'altronde, il solo fatto che il Bolognese abbia avuto rapporti con
un personaggio simile - se esce fuori - è la fine per lui. Basta pomparlo
un po' sui giornali e il gioco è fatto».

Il secondo intreccio ha il segno della politica (di una politica impastata
di violenza e inquinata dalla calunnia). Ne emergono le mosse abusive di
Enzo Tantino; un dossier del Sisde (l'intelligence civile) che già nel
febbraio scorso indica il metodo corruttivo e addirittura i nomi e i
cognomi dei sospetti beneficiari delle tangenti Telekom. Un dossier rimasto
per sette mesi insabbiato tra la presidenza del Consiglio e la commissione
di inchiesta parlamentare.



1. ( Dove si dà conto che l'impresa di Antonio Volpe muove da lontano )

E' Antonio Volpe il manovratore di Igor Marini. Stando alla verità
ufficiale, i due li si può associare soltanto a partire dal 31 luglio di
quest'anno, quando Volpe consegna alla commissione Telekom documenti che
confermano le accuse del compare. Secondo la ricostruzione di Repubblica, i
due cominciano a lavorare gomito a gomito quattordici mesi prima.

Siamo nel maggio 2002. Marini si è fatto informatore dei carabinieri,
protetto come testimone di accusa e utilizzato quale "agente provocatore"
contro l'avvocato romano Fabrizio Paoletti, che fa arrestare. Marini
sostiene che Paoletti ha riciclato titoli esteri e sta tentando di
negoziarli attraverso lo IOR, l'Istituto Opere Religiose, la cassaforte del
Vaticano. Paoletti si ritrova con le manette ai polsi.

Qualche ora dopo l'arresto, secondo quanto accertato dalla Procura di
Torino, Antonio Volpe è in Vaticano per preparare qualche ragionevole
riscontro alle parole del compare (Marini). E' impegnato in misteriosi
colloqui con padri della Compagnia di Gesù. Ma, soprattutto, ha in mano un
documento - un prospetto finanziario su carta intestata dello Ior - che
certifica un piano di trasferimento di importi da 512 mila dollari per 36
settimane su conti accesi a san Marino. E' lo stesso documento che i
carabinieri hanno trovato nello studio di Paoletti al momento dell'arresto
e che - ai loro occhi - «prova» che l'avvocato denunciato da Marini è un
riciclatore.

Il prospetto Ior che Volpe si rigira tra le mani nel maggio del 2002, è un
pezzo di carta importante. Non ha evidentemente nulla a che fare con
Telekom Serbia. MaVolpe ne ha bisogno. Perché quel pezzo di carta va
manipolato per sistemare l'esca nella Grande Trappola. Il 2 dicembre 2002,
Volpe (o forse Volpe e Marini insieme, dal momento che solo loro sono in
possesso del documento) infilano in una busta quel prospetto finanziario e
una lettera di poche righe che indica nell'avvocato Paoletti e in quel
piano di pagamento dello Ior la pista da battere e la prima di "molte
prove" per venire a capo della tangente Telekom. E' «l'anonimo», inviato
alla commissione Telekom, che incardina l'avvocato Paoletti come
"collettore" delle tangenti per "Mortadella" (Prodi), "Ranocchio" (Dini) e"
Cicogna" (Fassino). E' «l'anonimo» che il presidente Enzo Trantino renderà
noto soltanto l'8 gennaio e porterà sei giorni dopo, il 14, all'audizione
di Paoletti. E tuttavia questa è soltanto la versione ufficiale e corretta
perché l'anonimo di Volpe ha un incipit. Non conosciuto.

Intervistato dall' Espresso , oggi in edicola, Guido Longo,dirigente
superiore di polizia e ufficiale di collegamento tra la Commissione Telekom
e il Dipartimento di Pubblica sicurezza, nonché riferimento diretto del
presidente Trantino per le indagini della commissione, riferisce che il
documento arrivato a san Macuto in dicembre fu preceduto da una «telefonata
anonima». Racconta il poliziotto all' Espresso : «Alla fine del novembre
2002, mi chiama il Presidente Trantino e mi dice che ha ricevuto una
telefonata anonima. Un signore gli aveva detto che bisognava indagare su un
certo avvocato Paoletti di Roma, che c'entrava con le tangenti Telekom...».

E'ragionevole pensare che non ci sia stata nessuna telefonata anonima. Ma
che una fonte confidenziale, come si dice nelle questure, abbia spifferato
o al presidente o a uno dei commissari Telekom il nome dell'avvocato
Fabrizio Paoletti. Come è altrettanto ovvio ritenere che nella "telefonata"
– che precede e annuncia la lettera anonima - vi sia la più antica traccia
dell'ingresso di Antonio Volpe nei lavori della commissione.

Enzo Trantino lo incontrò direttamente? O fu qualcuno dei commissari a
metterlo in contatto con questa «fonte anonima»? O fu uno dei commissari a
incontrarlo direttamente riferendo poi a Trantino? Anche a voler bere la
storiella della telefonata anonima, è difficile credere che, passando il
filtro del centralino di san Macuto, o utilizzando utenze telefoniche
private di Trantino, un anonimo possa conversare al telefono con il
presidente di una commissione di inchiesta.

Come che sia, la "telefonata" e l'anonimo di Volpe ottengono l'effetto
assegnato dal copione della Grande Trappola. L'8 gennaio il Presidente
Trantino dispone la convocazione di Paoletti in Commissione. Volpe ne è
informato in tempo reale. Addirittura con un qualche anticipo. La sera del
7, si mette in contatto, con un suo ex sodale, Gianni Romanazzi (oggi
riparato a Bangkok), per ottenere subito quel che gli serve. Volpe spiega
che i «suoi amici della Commissione e delle istituzioni» stanno indagando
su tale società Lannock, una delle beneficiarie su san Marino del piano di
trasferimento fondi dallo Ior a San Marino allegato all'anonimo. Aggiunge
che «ha bisogno di tutti i documenti che riguardano quella società». In
cambio, «terrà fuori Romanazzi» dalla storia Telekom.

Rimettiamo in ordine i fatti. Volpe ha in mano, nel maggio 2002, il
documento finanziario necessario a incardinare Paoletti e Marini a San
Macuto. Dunque, già diciassette mesi fa, si prepara ad alzare il sipario
sulla Grande Trappola. Volpe lavora all'anonimo che, nel dicembre 2002,
arriva a san Macuto e che Trantino tratterrà fino a gennaio. Volpe è
ragionevolmente dietro la "telefonata anonima" che, alla fine di novembre
2002, "accende" l'attenzione del Presidente Trantino sull'avvocato Fabrizio
Paoletti.

Non è tutto. Per comprendere come Volpe sia il più prossimo dei manovratori
di Marini, vale la pena annotare qualche altra circostanza.

Ricorderete come l'accusa di corruzione di Igor Marini a Prodi, Dini,
Fassino si serva di un racconto di cartapesta che vuole 120 milioni di
dollari muoversi dalla banca Paribas di Montecarlo verso i conti di
Mortadella, Cicogna e Ranocchio. E' una storia che non regge alle rogatorie
della Procura di Torino, perché quei soldi non esistono e i fondi sono solo
un inganno telematico. E', tuttavia, una storia ben congegnata.

Peccato non sia originale, ma la copia carbone del canovaccio di una truffa
di qualche anno prima ai danni della stessa Paribas. Per la quale è oggi a
giudizio tale Marco Russo. Bene. Volete sapere chi denunciò Russo? Una
segretaria della oscura fondazione dei «Caschi bianchi», di cui Volpe è
presidente. Volpe, dunque, conosce i dettagli di quella truffa e suggerisce
a Marini di utilizzarla per vestire così la sua calunnia politica.

Volpe lascia anche qualche altra traccia. Quando il 14 gennaio Paoletti
viene ascoltato dalla Commissione Telekom (vedi Repubblica del 26
settembre), si sente rivolgere dal presidente Trantino una domanda su due
croati sconosciuti anche al più ricco degli archivi di polizia, Zoran
Persen e Tom Tomic.

Due comprimari del racconto di tangenti che il cacciaballe Marini
sciorinerà nei mesi a venire. Da dove saltano fuori?

Longo ammette con Repubblica : «Sono stato io a fare quei nomi a Trantino.
Se non ricordo male, tra la fine di novembre e l'inizio di dicembre 2002.
Me li aveva fatti una fonte confidenziale. Come di gente collegata a
Milosevic in affari di riciclaggio».

Una fonte confidenziale. Quale? Longo fa spallucce e, ovviamente, ne tace
l'identità, ma non sa dare spiegazione a un'obiezione che lo lascia di
sale. Tomic non si chiama «Tom», ma «Rados», come accerteranno soltanto due
mesi fa le indagini della Procura di Torino. Dunque,chi - tra novembre e
dicembre 2002 - poteva chiamarlo in quel modo? Ci sono due sole persone che
lo facevano: Igor Marini e Antonio Volpe, come raccontano le carte della
Procura di Torino. Sono loro le «fonti confidenziali» della Commissione o
magari le fonti confidenziali di commissari che poi riferiscono a Guido
Longo?

Dunque. Antonio Volpe è il primo contatto della commissione tra novembre e
dicembre 2002. E' il redattore dell'anonimo. Maneggia informazioni
confidenziali che Marini trasformerà in accuse e di cui la Commissione
viene messa al corrente con largo anticipo. Tra gli amici che vanta a san
Macuto ce ne è sicuramente uno, l'onorevole di Forza Italia Alfredo Vito
tangentista confesso e ora implacabile inquisitore. I due si conoscono
almeno a far data dai primi anni '90, quando Volpe è «consulente per la
sicurezza esterna dell'onorevole dc Gaetano Vairo». Li ritroviamo per certo
insieme a san Macuto il 31 luglio, nell'ufficio del presidente Trantino, al
momento della consegna dello scartafaccio che dovrebbe "confermare" le
parole di Marini. E sono insieme, il 4 di settembre, quando li sorprende la
Guardia di Finanza mentre in piazza san Silvestro, a Roma, si stanno
scambiando documenti.

Eccolo allora l'uomo chiave dell'affare Telekom. E' Antonio Volpe. Ma chi è
questo tipaccio?

Il «frammassone» è al centro della geografia massonico-criminale che
soffoca i lavori della Commissione. Ha un filo diretto con lo spione
piduista Francesco Pazienza. E' in affari con un tale Pio Maria Deiana
(mandate a mente questo nome). Traffica con i massoni Salvatore e Nicola
Spinello. Ha commerci storti con Renato D'Andria. Assistito dall'avvocato
Carlo Taormina, D'Andria è imputato nelle procure di mezza Italia per
truffe e bancarotte. E' un uomo incline al dossieraggio calunniatore contro
esponenti della magistratura e del centro sinistra, per il quale si serve
di una intelligence privata forte di 20 tra ufficiali e sottufficiali dei
carabinieri.

Leggiamo quanto di Volpe scrivono i pubblici ministeri di Napoli che
indagano sulle «deviazioni» della loggia spuria di Salvatore e Nicola
Spinello. «Antonio Volpe si vanta di essere amico di Marco Affatigato, noto
estremista di destra e tra i fondatori della «Lega» di Stefano Delle
Chiaie». E' «collegato all'avvocato Egidio Lanari, già «Gran segretario
della comunione massonica di Giorgio Paternò» e tra i promotori della«Lega
Meridionale». La stessa che propose la candidatura di Licio Gelli e Vito
Ciancimino». E' «primo vicepresidente, con funzioni di esperto nel settore
della finanza, della «Lega Universale Frammassonica», loggia in contatto
con Gelli, nonché nel piedilista della loggia «Oriente I» di Roma, con
numero di tessera 155».



2. ( Dove si propone qualche domanda sulla condotta del presidente Trantino
e degli apparati per la sicurezza e le informazioni )



Guido Longo, a Repubblica, la racconta così. «Quando vengo a sapere che
Antonio Volpe è stato a san Macuto per presentare dei documenti, sento
puzza di bruciato. Quello lì, quel Volpe, io lo conosco. So che panni veste
e di che carne è fatto. Diffiderei di lui anche se fosse in punto di morte.
Storco la bocca quando vedo l'entusiasmo con cui viene accolto, e mi
preoccupo. Così, anche se una vocina mi suggerisce di starmene al mio posto
di ufficiale di polizia giudiziaria che fa soltanto quel che gli dicono di
fare, mi faccio coraggio e chiedo di incontrare il presidente Trantino. Gli
dico: "Presidente, questo Volpe va preso con le molle, questo è uno
inattendibile assai e bisogna controllare bene che cosa vuole combinare
prima di finire nei guai"». E Trantino? «Il presidente mi ascoltò con
attenzione». E poi? «E poi niente, il colloquio, o meglio il monologo, finì
lì ...».

Quel che accade tra Longo e Trantino sollecita a riflettere su come e
perché il «presidente gentiluomo» ha chiamato accanto a sé un piccolo
gruppo di intelligence (ipse dixit). Il nucleo stretto è fatto di tre
uomini. Tutti vengono da Napoli. Due di essi sono stati cooptati
dall'avvocato Carlo Taormina. Sono magistrati. Si chiamano Salvatore
Sbrizzi e Antonio D'Amato. I due pubblici ministeri hanno nel corso dei
tempo lavorato sulla rosa di nomi e di attività evocate, a quanto sostiene
Guido Longo, dal nome dell'avvocato Fabrizio Paoletti. Massoneria
(nell'indagine contro Salvatore e Nicola Spinello), dossieraggio e calunnia
politica (nell'inchiesta contro Renato D'Andria e il tenente colonnello dei
carabinieri Pietro Sica), l'una e l'altra attraversate dalle scorrerie di
Antonio Volpe.

II terzo uomo della "squadra" è Guido Longo. Come egli stesso ammette, è
stato chiamato in Commissione direttamente da Trantino perché, dice,
«abbiamo un amico in comune». L'amico in comune è il portavoce del
«presidente gentiluomo», Domenico Calabrò (capo della redazione della
Gazzetta del Sud a Catania), conoscenza dell'ex-prefetto di Catania
Domenico Salazar, direttore del Sisde dal 1993 al 1994. C'è da chiedersi:
perché questi uomini vengono chiamati in Commissione Telekom? Non si sono
mai occupati di telefonia o di aziende telefoniche né di reati finanziari o
di riciclaggio internazionale. Il nesso che lega il loro background
professionale alla vicenda Telekom, a ben vedere, non è nel passato ma -
sembra di poter dire - nel futuro: ovvero in quello che accadrà, nella
Commissione, dopo il loro arrivo. Quel dopo prevede, con le mosse d'
Antonio Volpe, che il nome di Paoletti piova sui lavori della commissione.
Sarà allora la" squadra", quella squadra messa insieme con lungimiranza, a
far diventare (consapevolmente o inconsapevolmente, qui non importa) quel
nome una corsia utile a condurre l'attenzione di Trantino a un discreto
numero di spioni veri o presunti, massoni, facitori di dossier, costruttori
di calunnie politiche. A un crocicchio di personaggi tutti disponibili per
venir fuori dai guai con qualsiasi mezzo. Sono deboli e ricattabili, come
vedremo.

I tre dell'intelligence "personale" di Trantino appaiono utili a indicare
quei nomi che diventeranno poi bombe al veleno innescate sotto i banchi
dell'aula di San Macuto. Quando Guido Longo sente puzza di bruciato, come
dice, è troppo tardi. La sua parte in commedia è finita e può ormai
abbandonare la scena.

Anche ricostruita così, la trappola non poteva fare molta strada. Antonio
Volpe è troppo compromesso e screditato dalla sua storia personale per non
essere un ordigno innocuo. Ci si poteva aspettare che, al primo apparire
del figuro, venisse fuori un tale pandemonio da metterlo subito in fuga e
con lui i suoi maligni ispiratori. Invece, nulla. Meno di niente. E'
un'altra singolarità di questo affare. Se si esclude Guido Longo, non si ha
notizia (per quel che se ne sa) di forza di polizia, carabiniere,
finanziere, spione civile o militare che abbia indicato alla Commissione di
tenersi al largo da Antonio Volpe. I commerci di quel mestatore framassone
sono stati al setaccio di tutte le forze dell'investigazione, dalla Sicilia
alla Lombardia. Perché questo silenzio? Perché nessuno si è fatto avanti
tirando per la giacca Enzo Trantino, un ministro, qualche sottosegretario,
magari qualche tipo dell'opposizione? Sembra intravedere qui una questione
politica nuova e triste. Dinanzi alla Grande Trappola che si consuma in
pubblico con esperti della disinformazione presentati all'opinione pubblica
dalla politica e dalla stampa addirittura come «supertestimoni», gli
apparati della sicurezza e dell'informazione se ne lavano le mani, guardano
altrove. Come se sapessero o intuissero che in Commissione Telekom fosse in
corso un "regolamento di conti" cruento da cui è meglio star lontani. E' un
segnale che inquieta. Davvero gli apparati dello Stato sono così subalterni
al potere politico da venir meno alle proprie responsabilità istituzionali?



3. ( Dove si racconta di un documento insabbiato per sette mesi )

Gli apparati della sicurezza e l'intelligence non hanno denunciato, come
avrebbero dovuto fare, Antonio Volpe, ma si sono occupati di Telekom
Serbia. Non hanno fatto saltare in aria la Grande Trappola, ma hanno voluto
indirizzare, in almeno un caso, l'investigazione lungo una strada che,
secondo le loro informazioni, conduceva ai corrotti. Ecco che cosa ne è
stato di questo tentativo.

E' il 7 febbraio del 2003, il Sisde (servizio segreto civile) indirizza al
comando generale della Guardia di Finanza (II Reparto) e per conoscenza al
Cesis (Comitato esecutivo per i servizi di informazione e sicurezza, alle
dirette dipendenze del governo e del sottosegretario con delega ai servizi
segreti Gianni Letta) il documento numero2003.med. 0000534. Vi si legge:
«L'acquisto del 29 per cento diTelekom Serbia è staio fatto a prezzo
notevolmente superiore al valore reale. Tale surplus sarebbe poi tornato
nella disponibilità dei vertici della società italiana attraverso la
sovrafatturazione di acquisti di beni, servizi e infrastrutture necessari
per la modernizzazione di Telekom Serbia e il successivo trasferimento ai
destinatari degli importi differenziali, con pagamento estero su estero su
conti cifrati».

«Tali acquisti daparte di Telekom Serbia - prosegue il Sisde - sono stati
facilitati dall'inserimento nella società di dirigenti Telecom Italia i
quali operando in territorio estero in seno a una società di diritto serbo,
avrebbero agevolmente evitato il loro coinvolgimento in responsabilità
penali». Gli 007 giungono a indicare i nomi degli «artefici del disegno
criminoso: Giovanni Garau, all'epoca vice direttore generale di Telekom
Serbia; Giordano Cristofoli, dirigente» (Repubblica svela i nomi
appellandosi al diritto di cronaca ben consapevole che le loro
responsabilità, se ci sono, dovranno essere accertate soltanto dalla
magistratura). Il Sisde conclude indicando anche due appalti sospetti:
l'installazione di una rete "Wireline local loop", una fornitura di ponti
radio. Il documento ha in allegato tre «filmini».

Le informazioni dei Sisde, se confermate, aprono orizzonti interessanti al
lavoro della Commissione di Trantino perché finalmente si comprende come e
chi movimenta il denaro: le tangenti dell'affare Telekom si muovono nella
sovrafatturazione degli acquisti e vengono movimentate e percepite estero
su estero da dirigenti della Telecom Italia. E' un'informazione che
potrebbe chiudere, già in febbraio, la pantomima del conte Igor Marini, del
suo manovratore Antonio Volpe, spegnere l'aggressività di Carlo Taormina o
diradare gli incontri dell'onorevole Alfredo Vito con il «collaboratore dei
Sismi» framassone. E' lecito pensare, fino a prova contraria, che proprio
perché scrive la parola "fine" al killeraggio politico di Prodi Fassino e
Dini quel documento è stato insabbiato per sette mesi. Per capire come sono
andate le cose, occorre fare attenzione alle date.

Il 7 febbraio del 2003 il Sisde invia il documento a Palazzo Chigi.
Soltanto nella seduta dei 12 settembre 2003, Enzo Trantino comunica che «la
Commissione ha acquisito i seguenti atti segreti: (...) un documento
trasmesso dal Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica
(Sisde), pervenuto in data 10 settembre 2003 (...)».

7 febbraio 2003 / 10 settembre 2003. Dove è stato quel documento per i
sette lunghi mesi in cui la GrandeTrappola comincia a macinare le vittime
designate? Delle due, l'una. O Palazzo Chigi l'ha trattenuto nei suoi
archivi non ritenendo di doverlo inviare alla Commissione nemmeno quando
all'orizzonte appare il profilo di Antonio Volpe. O, al contrario, Palazzo
Chigi invia il documento a san Macuto ed è Enzo Trantino, appassionato
spettatore della pantomima del conte Igor Marini e delle manipolazioni di
Antonio Volpe, a tenerselo chiuso in un cassetto tirandolo fuori soltanto
quando le frottole del conte si sgonfiano come un malfatto soufflé. Quale
che sia la risposta, quei sette mesi sono preziosi perché Antonio Volpe ha
il tempo e il modo di farsi spalleggiare nella sua operazione di
depistaggio da un suo compare, Pio Maria Deiana. L'uomo si fa avanti in
agosto con due lettere.



4. ( Dove contro Prodi s'avanza un altro burattino )

L'8 e il 25 agosto giunge in commissione un altro lungo dossier. In due
parti. Non è anonimo. È firmato Pio Maria Deiana. Appare ben documentato.
Svela questa storia.

La «Janua Dei Italia srl», e la «Progetto Cina srl.», società di Deiana,
chiudono nel '94, un contratto per la realizzazione in Cina di un impianto
per il «trattamento di un milione di tonnellate annue di rifiuti
tossico-nocivi». L'accordo ha come partner la Ansaldo. «Con espressa
benedizione - scrive Deiana - dell'allora presidente dell'Iri, Romano
Prodi». E, ancora, «usufruendo dei servizi di intermediazione di "Nomisma",
società, guarda caso, fondata e costituita dal sig. Romano Prodi e alla
quale è stata pagata a Londra la relativa intermediazione». E' una commessa
di «un miliardo di dollari» che non va a buon fine, perché"rivela"
l'imprenditore - appesantita da «tangenti di cui non ho mai beneficiato».
Di più: Deiana spiega che nella controversia che aveva opposto le sue
società alla Ansaldo era apparso tale Roland Straub, avvocato svizzero
utilizzato dall'Ansaldo di Prodi per «ingessarlo». Professionista che lui -
Deiana - aveva "scoperto" destinatario con Fabrizio Paoletti di misteriosi
denari provenienti da Mosca ("tangenti", va da sé). Quello stesso Roland
Straub che Igor Marini colloca nella galleria dei mediatori del suo
racconto farlocco di tangenti. Lo stesso Roland Straub di cui il Presidente
della Commissione Telekom Enzo Trantino ha chiesto conto a Paoletti
nell'audizione del 14 gennaio (in quell'occasione il nome viene declinato
come Roland Strauber).

Deiana dunque è l'anello che tiene insieme Prodi e Paoletti. Che stringe in
un'unica trama accusatoria un affare finito male in Cina (Ansaldo) e un
affare finito peggio nei Balcani (Telekom). Con un denominatore comune,
Prodi, uno stesso odore di "faccendieri" - gli avvocati Roland Straub e
Fabrizio Paoletti - e - ovviamente - la stessa certezza che tangenti furono
pagate. Nel suo dossier alla commissione, Deaiana si dice «a disposizione»
per essere ascoltato. E non manca di ricordare che le sue ragioni -
«sdegnate» dalle procure della Repubblica cui si è rivolto - sono state
riproposte, in estate, alla Procura di Torino.

Non basta. Deiana fa continuo riferimento nel dossier ai suoi legami con
Antonio Volpe. Spendere quel nome per iscritto - per quanto ne sa - deve
essere sinonimo di garanzia con gli interlocutori. Volpe è stato suo socio
e Deiana lo colloca ora nell'ufficio dell'ex presidente dell'lri «Franco
Nobili», a Roma. Ora, in Zaire, «con persone dei servizi segreti italiani»
interessati all'acquisto di materiali sensibili.

Dell'esistenza del dossier, il Presidente Trantino dà comunicazione il 12
settembre. La storia finirà a pagina 3 del Giornale domenica 28 settembre.
Era già finita su un sito ucraino in lingua inglese e italiana
(www.forumpress.it).

Bisogna ora interrogarsi sul protagonista di quest'ultimo dossier. Che
incrocia Volpe e vedremo chi altri.



5 ( Dove si ricostruisce la vita felice di Pio Maria Deiana e la sua
infelicissima amicizia con Francesco Pazienza ).

Povero Deiana, non poteva far altro che tirare fuori la testa e venire a
raccontare le sue frottole contro Romano Prodi. l tempi della sua entrata
in scena erano scritti nel copione da due anni, come dimostra un documento
sequestrato a Francesco Pazienza dai pubblici ministeri di Roma. Il
direttore occulto del Sismi infiltrato da Licio Gelli si ritiene il padrone
della vita di Pio Maria Deiana. In una lettera scritta in carcere (di cui
Repubblica è entrata in possesso), l'agente segreto della P2 racconta la
vita del poveretto e che cosa Pazienza ne vuole fare. Leggiamo: «Pio Maria
Deiana. La persona di origini sarde ha risieduto nell'area di Chiavari fino
alla metà degli Anni Sessanta. Emigrava negli Stati Uniti dove operava in
affari di piccolo cabotaggio con una società denominata Italia
International. Suoi soci erano all'epoca un certo Mario Maggini e un certo
Frank Tammaro. (....) Trasferitosi a New York era utilizzato per bassi
lavori di manovalaggio dalle locali famiglie mafiose. Nel 1971 Deiana
veniva arrestato a Bogotà (Colombia), per avere tentato di acquistare una
partita di smeraldi con traveller cheque rubati. Sarebbe restato in carcere
per più di un anno. Altri 5 anni di carcere li avrebbe trascorsi in Angola
per traffico illegale di diamanti e processato insieme a un gruppo di
mercenari americani. La Drug Enforcement Agency ha un dossier su Deiana
avendolo sospettato di un traffico di eroina negli StatiUniti (...). Tra il
1987 e il 1988 riuscì a turlupinare un ricchissimo finanziere svizzero
truffandolo di circa 22 miliardi di lire italiane. (...) Sposatosi nel 1990
o 1991 risiederebbe in una villa sui colli romani. Egli cerca, ovviamente,
di nascondere il suo burrascoso e criminale passato con donazioni a enti
religiosi e opere di beneficenza. Suo socio nella Janua Dei srl era un
certo Volpe. Napoletano, in odore di camorra, truffatore arrestato più
volte. (...) Nel 1993, Volpe divenne segretario del Presidente per le
autorizzazioni a procedere della Camera e fu attaccato, per queste
frequentazioni, da Bettino Craxi. (...) Il Deiana si troverebbe
completamente spiazzato nel caso in cui qualcuno si dimostrasse a perfetta
conoscenza del suo curriculum vitae».

È proprio quello che consiglia di fare Francesco Pazienza nella lettera a
un misterioso e «carissimo Giulio». Ecco cosa gli scrive: «Se una persona
si presenta a questo stronzo di Deiana e gli mostra questo foglio (dove
Pazienza ha raccolto il curriculum del malvissuto, ndr), l'unica cosa che
può fare è quella di mettersi completamente a disposizione. Altrimenti per
lui sarebbe la fine. Comunque se dobbiamo mettere assieme il dossier
completo io so sia come fare e come e dove andare. D'altronde il solo fatto
che il Bolognese (Prodi, ndr), abbia avuto rapporti con un personaggio
simile - se esce fuoni – è la fine per lui, basta pomparlo un po' sui
giornali e il gioco è bello che fatto (...)».



6. ( A mo'di provvisoria conclusione )



Francesco Pazienza non ha capacità divinatorie, conosce da un lato Volpe,
dall'altro Deiana. Scrive il copione di ciò che accade, di ciò che è
accaduto. È certo che il suo obiettivo è colpire Romano Prodi. Tutti i
tasselli, alla luce delle circostanze raccontate, sembrano andare al loro
giusto posto. C'è una «corte dei miracoli» che viene chiamata intorno alla
Commissione per annientare con false accuse la credibilità e l'immagine del
presidente della Commissione europea, del segretario del maggior partito di
opposizione, dell'ex presidente dei Consiglio del 1995. Quel che non si sa
è chi ha permesso a questi avanzi di un «piduismo» che sembrava
definitivamente seppellito, di approssimarsi a una commissione di inchiesta
parlamentare. Quel che è documentato è che il presidente della Commissione
d'inchiesta parlamentare Enzo Trantino gli ha aperto le le porte e gli ha
preparato il desco. Quel che è certo è che un documento che avrebbe
condotto altrove l'indagine, ben lontano dalle vittime politiche designate,
è stato dimenticato per sette mesi lungo la breve strada che separa Palazzo
Chigi dal palazzo san Macuto. Quel che accadrà, poi si vedrà.

(hanno collaborato Ettore Boffano e Alberto Custodero)