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(Fwd) N.E. Balcani #603 - Kosovo
- Subject: (Fwd) N.E. Balcani #603 - Kosovo
- From: "Davide Bertok" <davide at bertok.it>
- Date: Wed, 11 Dec 2002 17:39:25 +0100
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------- Forwarded message follows ------- Date sent: 11 Dec 2002 12:04:36 -0000 To: <free at notizie-est.com> From: "Notizie Est" <info at notizie-est.com> Subject: N.E. Balcani #603 - Kosovo Send reply to: info at notizie-est.com "Notizie Est" - http://www.notizie-est.com N.E. BALCANI #603 - KOSOVO 11 dicembre 2002 IL KOSOVA NEGATO di Andrea Speranza - (da "Reds", dicembre 2002) [Ringraziamo Andrea Speranza e la rivista "Reds" per averci messo a disposizione la versione integrale di questo dettagliato articolo sul Kosovo] Tre anni e mezzo dopo la fine della guerra, il Kosova amministrato dalle Nazioni Unite si trova in una situazione a dir poco problematica. Sotto l’aspetto istituzionale la provincia fa riferimento alla risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e l’amministrazione internazionale guidata dal tedesco Michael Steiner, in carica dal gennaio 2002, “governa” sulla base del documento pubblicato nel maggio 2001, il Constitutional Framework for Provisional Self-Government in Kosovo . Tale documento regolamenta ogni aspetto della vita politica e delinea i poteri delle istituzioni del Kosova, tra cui Parlamento (eletto il 17 novembre 2001) e Governo. Il Presidente è espressione del partito di maggioranza dell’etnia albanese, la LDK, che ha designato Ibrahim Rugova a tale carica, mentre il governo è guidato da Bajram Rexhepi , esponente del PDK di Hashim Thaqi, seconda forza politica della provincia. Tra i sette ministeri, tra cui non risultano quelli che caratterizzano le prerogative di uno stato sovrano (Difesa, Esteri, Giustizia e Interni) cinque sono guidati da esponenti dei principali partiti albanesi (LDK, PDK e AAK) e due sono stati riservati, indipendentemente dal risultato elettorale, alla minoranza serba. Steiner, così come i suoi predecessori Kouchner e Haekkerup, ha comunque il potere di veto sulle risoluzioni dell’Assemblea e ha la facoltà di scioglierla in qualunque momento. Senza dubbio la questione più importante non ancora risolta e che ha le più vaste ripercussioni non solo sul clima politico ma anche sulle condizioni sociali ed economiche del Kosova e dei suoi abitanti è quella dello status definitivo della provincia, a tutt’oggi irrisolto. Sono note le posizioni delle due etnie principali sulla questione: gli albanesi non hanno rinunciato all’indipendenza, che è presente al primo punto nei programmi di tutti i partiti politici, mentre la comunità serba non vuole rinunciare ai legami istituzionali con Belgrado, in questo appoggiata chiaramente dall’apparato statale serbo. E’ paradossale come entrambe le parti si richiamino alla risoluzione 1244 come al testo che inequivocabilmente supporta le loro rivendicazioni! La formula che la comunità internazionale ha trovato al termine del conflitto è stata infatti lasciata di proposito aperta a ogni interpretazione. Nell’allegato 1 della risoluzione vengono richiamati esplicitamente gli accordi di Rambouillet del 23 febbraio 1999 , nei quali è stabilito che uno dei criteri con cui sarà definito lo status finale della provincia sarà “la volontà del popolo – “the will of the people” , quindi sul principio dell’autodeterminazione; ciò costituisce una sorta di garanzia che in futuro la schiacciante maggioranza albanese non potrà vedersi negata la prospettiva tanto agognata di staccare finalmente e una volta per tutte il legame con Belgrado e con quella Federazione Jugoslava ormai già di fatto defunta. A loro volta i serbi ed i loro rappresentanti politici, insieme con la Serbia istituzionale, si sentono tutelati dal riferimento esistente nell’allegato 1 della risoluzione 1244 ai principi di integrità e di sovranità territoriale della Federazione Jugoslava, da cui si deduce che per ora il Kosova resti a fare parte della Federazione, nonostante i suoi legami istituzionali con Belgrado siano stati “congelati” di fatto con l’ingresso delle Nazioni Unite e della KFOR nella provincia. Il quadro “istituzionale” è completato dal famigerato (secondo la parte albanese) accordo Covic-Haekkerup, con il quale la comunità internazionale si assicurò in extremis la partecipazione della comunità serba alle elezioni parlamentari del novembre 2001, che lega esplicitamente il territorio del Kosova alla Repubblica di Serbia, di cui era provincia autonoma fino al 1989. Tale situazione impedisce ogni dialogo tra la componente serba e quella albanese, tra le quali non c’è spazio per nessun tipo di mediazione. La mancata definizione dello status finale del Kosova da parte della comunità internazionale è la causa fondamentale dalla quale traggono origine i principali problemi con i quali quotidianamente gli abitanti di questa provincia devono fare i conti. LA SICUREZZA Seppur migliorata nel corso degli ultimi due anni, la sicurezza nella provincia non raggiunge certamente standard soddisfacenti. La criminalità comune e quella organizzata, la corruzione a livello pubblico e politico sono fenomeni che ancora permeano il tessuto sociale della Kosova. Gli abitanti di etnia serba vivono in énclaves protette da veicoli armati della Kfor e per loro il tempo della libertà di movimento nel paese è ancora molto lontano. Le Nazioni Unite stanno portando avanti il progetto di graduale ritorno dei profughi serbi cacciati o fuggiti al momento dell’ingresso delle truppe Nato, nel giugno 1999, implementando il loro rientro “blindato” in alcune delle località nelle quali erano presenti prima della guerra. I risultati sono scarsi e di ciò la comunità internazionale è ampiamente responsabile. Le ferite della guerra sono ancora aperte: esistono migliaia di persone scomparse di etnia albanese i cui resti non sono stati ancora trovati e identificati , ed il fenomeno interessa, seppure in minore proporzione, anche la comunità serba; la questione dei crimini di guerra rimasti impuniti ha un effetto devastante su entrambe le comunità. In questo contesto l’insicurezza ed il timore da un lato di potere in un futuro prossimo ritornare sotto l’amministrazione diretta di Belgrado e con la polizia e l’esercito serbo sotto casa, e dall’altro della prospettiva di perdere definitivamente i legami con la “madre” Serbia, costituiscono benzina che va ad alimentare il fuoco della paura, dell’intolleranza e dell’odio interetnico. Episodi di violenza nei confronti di membri delle minoranze si verificano ancora ad un ritmo piuttosto elevato , così come si susseguono danni materiali a ciò che rappresenta la cultura serbo- ortodossa . Recentemente la comunità internazionale ha sondato il terreno, togliendo la scorta in alcuni villaggi ad alcuni scolari serbi, con scarsi risultati. La questione della sicurezza per i profughi serbi che vogliono tornare alle loro case o a quello che ne rimane è di importanza capitale per la comunità serba. Ad oggi il programma di rientro procede a rilento, nonostante i leader politici serbi abbiano strappato a Steiner la costituzione di un Ministero appositamente creato all’interno del Governo che si occupi di tale problematica e presieduto chiaramente da un esponente politico serbo . Le mancate promesse occidentali hanno portato a momenti di estrema tensione, culminati il tentativo di alcune organizzazioni politicizzate in Serbia di minacciare una sorta di “marcia” di decine di migliaia di profughi all’interno del Kosova per metter pressione alla comunità internazionale. E’ evidente che l’impasse istituzionale costituisce la causa principale di tali dinamiche, sfruttate chiaramente dalle élite politiche, abili a manipolare l’elettorato e a diffondere l’idea che la stessa sopravvivenza ed identità della etnia di appartenenza siano in pericolo. MITROVICA Non se la passa certo meglio la sparuta comunità albanese che vive a nord del fiume Ibar, a Mitrovica e nelle municipalità settentrionali che costituiscono in pratica parte integrante della Serbia e dove funzionavano fino a ieri istituzioni e amministrazione “parallela”, dipendente direttamente da Belgrado, dai programmi scolastici alle strutture ospedaliere. La situazione di stallo che si è registrata a Mitrovica dalla fine della guerra ha subito proprio in questi giorni una svolta: il 25 novembre scorso Steiner ha ufficialmente dichiarato che dopo tre anni e mezzo l’amministrazione internazionale ha preso il controllo della parte nord della città e le istituzioni parallele sono state sciolte. Ciò è stato possibile soltanto con l’appoggio di Belgrado implementato con un accordo politico, i cui retroscena sono a tutt’oggi sconosciuti. Dopo tre anni e mezzo in cui i cittadini di Mitrovica nord e le loro rappresentanze politiche hanno negato qualsiasi legittimità all’amministrazione internazionale, continuando a mantenersi all’interno del sistema statale serbo (compresa una propria Assemblea municipale), l’accordo politico costituisce per Steiner e per l’UNMIK un evidente successo politico. La polizia ONU, il KPS e la KFOR sono ora riconosciute come le entità a cui viene affidata la sicurezza; i famigerati “guardiani del ponte ” sono stati sciolti (almeno sulla carta) ed ora l’UNMIK può vantare di amministrare tutto il Kosova, seppure con un piccolo ritardo... Il “governatore” occidentale di Mitrovica ha esteso la sua giurisdizione anche a nord del fiume Ibar e si parla già di elezioni municipali in programma nei prossimi mesi all’interno del quadro istituzionale previsto dall’UNMIK . L’accordo implica la rinuncia di Belgrado ad amministrare di fatto la parte settentrionale della Kosova e al tentativo di portare avanti il progetto di una futura divisione della provincia, soluzione auspicata e sostenuta da parecchi circoli politici serbi e a cui la popolazione e la leadership albanese sono stati invece sempre fortemente contrari. Si aspetta ora di conoscere che cosa la comunità internazionale avrà concesso a Belgrado in cambio di questo accordo . La tensione in città resta alta: la comunità albanese ha reagito con entusiasmo eccessivo alla notizia e centinaia di giovani sono stati fermati dalla KFOR e dalla polizia UNMIK nel tentativo di marciare al di là del ponte per simboleggiare la “liberazione” della parte nord della città. L’ECONOMIA E L’OCCUPAZIONE La ricaduta in termini economici dell’incertezza sul futuro del Kosova è devastante. L’economia prevalentemente rurale e basata sui commerci (di ogni tipo a dire la verità) del primo dopoguerra rimane la principale fonte di reddito per la gran parte della popolazione, insieme alle rimesse dei numerosi immigrati in Svizzera e Germania. Per quanto riguarda l’amministrazione e gli impieghi “pubblici” (se così si può dire), lo stipendio medio si aggira sui 120-140 Euro al mese, una cifra al di sotto della soglia di sussistenza per mantenere una famiglia . E’ doveroso sottolineare come i fondi amministrati dalle Nazioni Unite in Kosovo (UNMIK) provengano da un “budget” definito di anno in anno dalle Nazioni Unite, che include anche imposte e diritti doganali, e che Steiner e compagnia devono amministrare distribuendo i fondi tra le 30 municipalità della provincia. Tale budget è tra l’altro in continua diminuzione in corrispondenza del graduale disimpegno dei paesi “donatori”. La disoccupazione rimane attestata su livelli impressionanti e colpisce sia la fascia di età più giovane, tra cui diplomati e laureati, sia quella meno giovane, composta dagli ex impiegati statali alle dipendenze dell’amministrazione serba o di fabbriche ed industrie. A questo proposito, la gran parte delle strutture industriali sono ancora gravemente danneggiate o comunque dismesse, a partire dal complesso minerario di Trepca, presso Mitrovica, che dava lavoro a migliaia di persone di entrambe le etnie e che ora conta poche decine di lavoratori attivi. L’Agenzia per la Privatizzazione, prevista dall’UNMIK e da poco in funzione, non ha un futuro roseo. In mancanza di una vera e propria amministrazione statale, i posti di lavoro per i locali sono garantiti quasi esclusivamente dalle agenzie internazionali operanti sul posto (UNMIK, KFOR e OSCE) e dalle ONG ancora presenti sul territorio . Nella condizione di incertezza riguardo al futuro della provincia, che comporta certamente anche rischi di radicalizzazione se non di ripresa del conflitto, è impensabile che si crei il clima favorevole ad investimenti che possano creare nuovi posti di lavoro. I kosovari sono costretti a sperare che qualche impresa occidentale provi l’azzardo di acquistare, di ristrutturare e di rimettere in attività i vecchi complessi industriali, e tale prospettiva è chiaramente poco esaltante... Esiste inoltre un altro grosso problema irrisolto, quello della proprietà del suolo e dei terreni, ancora di fatto appartenenti alla Repubblica di Serbia o di singoli privati che ne sono stati espropriati, che costituisce un altro degli ostacoli insormontabili per la ripresa economica della Kosova. UNO SGUARDO D’INSIEME AGLI EVENTI DEGLI ULTIMI MESI Il paesaggio del Kosova non è cambiato granché. Prishtina rimane la stessa, con mucchi di immondizia nelle strade e le rovine della vecchia sede della polizia serba, bombardata dalla Nato, ancora non rimosse. Davanti al Teatro Nazionale, l’amministrazione locale ha eretto una grande statua a cavallo di Skanderbeu, l’eroe nazionale albanese, inaugurata il 28 novembre 2001, ricorrenza dell’anniversario dell’indipendenza dell’Albania. La vera novità è che in città può capitare di sentire parlare serbo in alcuni locali, cosa impensabile fino a due anni fa. La ricostruzione di abitazioni civili è continuata a pieno ritmo, prevalentemente con fondi privati, anche se rimangono ancora aree rurali nelle quali i segni della guerra sono ancora visibili. In alcune aree della Drenica il tempo sembra essersi fermato alla fine della guerra: a Skenderaj/Serbica l’unica cosa che salta all’occhio di nuovo, tra strade piene di buche, appartamenti in stato fatiscente e una disoccupazione dilagante, è la nuova e scintillante moschea, costruita in pieno centro nel 2001 da una ONG del Qatar, peraltro regolarmente semideserta. Per quanto riguarda la vita politica del Kosova, nell’ultimo anno, dall’elezione del Parlamento e dalla nomina del Governo della Provincia, si sono registrati frequenti scontri dialettici tra la comunità internazionale, rappresentata da Michael Steiner, e i politici locali. Il Parlamento a larga maggioranza albanese ha in un paio di occasioni approvato delle risoluzioni che hanno creato problemi a livello diplomatico alla comunità internazionale. Nel corso del 2001 un primo forte momento di crisi nei rapporti con l’UNMIK è sopravvenuto al momento dell’accordo tra la Macedonia e la Federazione Jugoslava sui confini, che ha comportato il passaggio di alcuni ettari di territorio facente parte di alcune municipalità orientali del Kosova alla Serbia meridionale, il tutto senza che ai cittadini venisse sottoposta la questione. L’accordo è stato ratificato dai due Parlamenti e nel silenzio della comunità internazionale. Più recentemente un altro momento di tensione è sopravvenuto al momento della approvazione del preambolo della Costituzione del nuovo Stato di Serbia e Montenegro , che ha citato il Kosova come “parte integrante” della Serbia, per cautelarsi nei confronti delle rivendicazioni all’indipendenza del nuovo Parlamento della provincia. In entrambi i casi l’Assemblea (con l’eccezione chiaramente della componente serba, che ha lasciato l’aula in segno di protesta) si è espressa votando risoluzioni di netta condanna politica, che sono state “cassate” d’autorità dal governatore dell’UNMIK. E’ evidente che la classe politica albanese rivendica uno spazio di autonomia maggiore rispetto a quello concessogli dalla comunità internazionale, che ha fatto in modo di fare nascere un Parlamento ed un Governo di fatto privi della possibilità di legiferare e di governare. Il grado di autonomia e di indipendenza delle nuove istituzioni della provincia è limitato ad alcune materie “minori”: scuola, viabilità, cultura, commercio e “industria”... per lo più senza la possibilità di stanziare delle risorse e un budget con un minimo grado di autonomia. Il sistema giudiziario è organizzato sulla base di giurie miste presiedute da un giudice internazionale. Per ognuna delle 30 municipalità, l’organo locale deve rapportarsi con il funzionario ONU, una sorta di “governatore” a cui spettano le decisioni ultime relative a ciò che concerne l’amministrazione comunale e che lavora sotto la diretta responsabilità di Steiner. La classe politica albanese non si è dimostrata capace di andare oltre vane proteste verbali, in ciò confermando in pieno il rapporto “paternalistico” che la lega alla comunità internazionale. Senza rilevanti eccezioni tra LDK, PDK e AAK , tutte le principali forze politiche albanesi continuano a mostrarsi zelanti davanti al giudizio dell’Occidente, pronti a beneficiare dei dividendi e dei vantaggi in termini di affidabilità politica derivanti dall’apparire come interlocutore privilegiato nei confronti della comunità internazionale. In ciò i due acerrimi rivali Rugova e Thaqi si assomigliano moltissimo... Per quanto riguarda la classe politica serba, la sua partecipazione ai lavori del Parlamento è spesso condizionata a richieste fatte alla comunità internazionale. E’ infatti chiaro che i serbi hanno più di un motivo per ritenersi insoddisfatti dei risultati del lavoro dell’UNMIK in questi tre anni e mezzo. Hanno guadagnato una rappresentanza in parlamento e nel governo sovradimensionata rispetto ai rapporti di forza sul piano demografico , ma rimangono in netta minoranza ed esercitano in pratica un boicottaggio delle sedute nelle quali vengono approvati a maggioranza risoluzioni a cui sono contrari. Il concetto occidentale di “maggioranza” (in questo caso albanese) ed “opposizione” (serba e rappresentanti delle altre etnie ) non si confà alla situazione politica del Kosova. La questione della sicurezza ancora molto precaria per i cittadini serbi e le promesse non mantenute della comunità internazionale rispetto al rientro dei profughi, un programma che non ha possibilità di avere successo in questa situazione di stallo istituzionale, sono due temi di importanza capitale per i serbi del Kosovo. In questo contesto emerge la frustrazione e la rabbia della popolazione, che assume forme di radicalizzazione politica e costituisce terreno fertile per la propaganda di populisti vecchio stampo. Alle recenti elezioni presidenziali in Serbia (settembre 2002), è stata data la possibilità ai cittadini residenti in Kosovo di esprimere il proprio voto da parte di Belgrado. La decisione ha creato inevitabilmente momenti di grande tensione e l’UNMIK ha deciso di prendere ancora una volta una posizione ambigua, impedendo ai candidati a Presidente di condurre la campagna elettorale nella provincia, ma dichiarando che non avrebbe “nè ostacolato nè incoraggiato” che le elezioni si svolgessero anche in Kosova. In alcune enclaves serbe e in tutto il Kosova settentrionale a nord del fiume Ibar sono stati allestiti numerosi seggi ed i risultati hanno visto una schiacciante affermazione del Partito Radicale Serbo (SRS) di Voijslav Seselj , che ha attinto dal Kosovo un gran serbatoio di voti raggiungendo punte del 70% di consensi. Al secondo turno gli elettori serbi del Kosovo hanno seguito fedelmente le indicazioni di Seselj astenendosi in massa. I serbi del Kosovo verranno chiamati ancora una volta alle urne l’8 dicembre, nelle seconde consultazioni nel giro di tre mesi per l’elezione del successore di Milutinovic a presidente della Serbia . L’equilibrio politico in Kosova oggi è critico, con gli esponenti delle due comunità etniche principali che non riescono a trovare punti su cui dialogare seriamente e con la comunità internazionale alla perenne ricerca di compromessi per non scontentare troppo le due parti, con scarsi risultati. Anche la questione dei presunti crimini di guerra commessi da esponenti dell’UCK è stata ampiamente strumentalizzata dalle due parti. E’ noto che sono in corso indagini da parte del Tribunale Internazionale per la ex-Jugoslavia delle Nazioni Unite riguardo a fatti e misfatti attribuiti ad esponenti e a dirigenti dell’ex UCK, tra cui ci sarebbero anche i massimi leader militari come Ceku e Haradinaj (ma si parla anche dello stesso Thaqi). L’arresto da parte della polizia dell’UNMIK di esponenti del movimento guerrigliero e in particolar modo di Rrustem Mustafa ha causato nei mesi scorsi momenti di grande tensione, sfociati in grandi manifestazioni di protesta ed in scontri tra la popolazione albanese e le forze internazionali. Dall’altra parte il mandato di cattura emesso da parte dell’UNMIK nei confronti di Milan Ivanovic, uno dei leader della comunità serba di Mitrovica nord, accusato di aggressione e lesioni nei confronti di esponenti della polizia internazionale nel corso di gravi disordini scoppiati a Mitrovica nello scorso aprile, ha causato una rottura grave nei rapporti con la comunità serba, ricuciti con grande fatica e con una marcia indietro dall’UNMIK . Con l’avvicinarsi delle elezioni municipali del 26 ottobre scorso, i leader serbi, appoggiati da Belgrado, hanno ancora una volta cercato di condizionare la loro partecipazione al voto, essenziale per la comunità internazionale, all’accelerazione nell’agenda di Steiner delle promesse e dei programmi rivolti alla comunità serba, primo tra tutti il programma di rientro dei profughi. LE ELEZIONI MUNICIPALI La popolazione del Kosovo si è presentata alle elezioni municipali con uno stato d’animo molto meno positivo rispetto agli anni scorsi: nel 2000 l’entusiasmo alle stelle aveva portato gli albanesi alla sorprendente affluenza del 79%, ma già nelle parlamentari del 2001 il dato relativo all’affluenza era sceso al 64,3%. Nel contesto che si è descritto è risultato inevitabile il dato della scarsa affluenza alle urne in occasione della consultazione elettorale, con le quali si sono rinnovati i 30 consigli municipali della provincia, eletti per la prima volta due anni prima, in quelle che erano state le prime vere consultazioni libere per la popolazione kosovara e che i serbi avevano disertato in massa . I nuovi amministratori locali resteranno in carica per i prossimi quattro anni. La campagna elettorale si è svolta in maniera piuttosto corretta e senza incidenti di rilievo e a ciò ha contribuito non solo la maggiore maturità politica dei kosovari, ma anche la mancanza di interesse della popolazione e la sfiducia nei confronti dei leader politici. Le elezioni sono state organizzate ancora una volta dall’OSCE, che per la terza volta si è occupata di tutte le procedure relative, a partire dalla registrazione dei votanti e delle entità politiche fino alla supervisione delle operazioni di voto e di scrutinio. L’Osce ha avuto a disposizione un budget molto più ridotto rispetto alle precedenti consultazioni elettorali e ha impiegato 900 osservatori internazionali che hanno monitorato circa 1400 seggi. La prossima consultazione, quella per il rinnovo del Parlamento che avrà luogo a fine 2004, dovrebbe essere organizzata per la prima volta dai locali e l’Osce dovrebbe avere soltanto la funzione di osservatore esterno. Il ruolo di tale agenzia internazionale è comunque oggetto di forti critiche: lo scorso 20 novembre Steiner, su diretto suggerimento di Kofi Annan in visita in Kosova, ha imposto la presenza di funzionari dell’Osce ai lavori del Parlamento del Kosovo, condizione richiesta come essenziale dal gruppo di deputati serbi, guidati da Rada Trajkovic, per mettere fine al boicottaggio dell’aula parlamentare. Tale fatto è stato comprensibilmente interpretato dai partiti albanesi della maggioranza come un’ingerenza nei lavori dell’Assemblea . Così come nel 2001, è stata data la possibilità di votare anche ai cittadini serbi residenti in Kosova prima del giugno 1999 e non ancora rientrati, con l’allestimento di decine di seggi elettorali in territorio serbo e montenegrino. Nei mesi precedenti la consultazione elettorale, sono stati registrati in totale 1.320.481 persone , oltre a più di 11.000 persone residenti all’estero, a cui è stata data la possibilità di votare via email . In palio le cariche dei 920 membri delle assemblee delle 30 municipalità del Kosova, sulla base di un sistema proporzionale. Sono state 68 le entità politiche presentatesi, tra partiti, coalizioni, liste civiche o individuali, di cui ben 38 in rappresentanza della comunità serba. Ogni partito ha presentato una lista bloccata di candidati, eletti a seconda del risultato dell’entità politica, non avendo modo gli elettori di indicare sulla scheda una preferenza, a differenza di quanto successo nel 2000. Le settimane precedenti il voto sono state caratterizzate da una serie di decisioni vincolanti prese dalla CEC (Central Election Commission) presieduta dal francese Pascal Fieschi, alla guida dell’OSCE in Kosova, l’organo a cui è stata data carta bianca nell’infliggere sanzioni che sono andate a volte fino alla eliminazione di partiti o singoli candidati dalle schede elettorali in caso di infrazione delle regole fissate dalla CEC . La partecipazione della comunità serba è stata ancora una volta in dubbio fino all’ultimo momento. Poche settimana prima della consultazione, Steiner ha enunciato un piano in sette punti per il “decentramento”, a partire da Mitrovica, che dovrebbe garantire un maggiore grado di autonomia alle municipalità e che verrebbe incontro agli interessi di quelle a maggioranza serba. I leader serbi hanno accolto con interesse tale proposta, che tra l’altro condizionava la sua attuazione alla partecipazione al voto della comunità serba delle enclaves e delle municipalità settentrionali a schiacciante maggioranza serba. Il tal modo l’UNMIK è riuscita ad ottenere l’appoggio delle principali formazioni politiche serbe alla partecipazione al voto, ad eccezione del Consiglio Nazionale Serbo di Mitrovica e di altri partiti minori . La novità maggiore nel panorama politico albanese, rispetto alle precedenti consultazioni, è stata costituita dalla presenza del PreK (Nuovo Partito del Kosova), nato da pochi mesi e presieduto da Bujar Bukoshi , ex Primo Ministro del Governo del Kosova, l’istituzione parallela in esilio nata ad inizio degli anni ’90 all’epoca del regime di Milosevic. L’unica formazione politica albanese che ha, seppure solo in un secondo momento, invitato al boicottaggio elettorale in segno di protesta con la politica dell’UNMIK, soprattutto per quanto riguarda la questione dell’indipendenza negata, è stato l’LKCK, piccola formazione con radici marxiste-enveriste . Nel campo opposto, alla consultazione si sono presentati per la prima volta anche tutti i principali partiti politici presenti in Serbia. Dal canto loro tutte le altre comunità etniche minoritarie sono state rappresentate, nelle aree in cui gli elettori residenti si sono registrati. La piattaforma politica dei partiti albanesi, pur orientandosi su tematiche locali, ha posto come punto fondamentale la questione dell’indipendenza futura della Kosova ed in ciò i programmi delle principali formazioni politiche non registra differenze. Ancora una volta il risultato del voto è stato determinato dal grado di popolarità dei maggiori leader, tra i quali è sempre esistita una grandissima rivalità sfociata purtroppo, dal termine della guerra, in numerosi incidenti e uccisioni a sfondo politico interni al campo albanese e che hanno coinvolto esponenti di tutti i partiti albanesi. All’avvicinarsi della consultazione gli organi di stampa locali hanno montato una feroce campagna denigratoria contro gli avversari politici , che ha contribuito a radicalizzare le posizioni della popolazione. Le operazioni di voto si sono svolte regolarmente e non si sono registrati incidenti, ma le tensioni interne alla vita politica albanese sono rimaste molto alte, come testimoniano gli scontri di piazza registrati a Kacanik ed in altre città della provincia la notte delle elezioni, dopo la proclamazione dei risultati. L’episodio più grave è stato comunque l’assassinio il giorno dopo il voto, in un villaggio nei pressi di Suhareka, del sindaco uscente, esponente dell’LDK di Rugova . Se prendiamo invece in considerazione i partiti e le coalizioni serbe che si sono presentate, i temi di maggiore rilievo dei programmi sono stati sicuramente la sicurezza, la libertà di movimento, la necessità di accelerare il programma di rientro dei profughi, la determinazione a rimanere sotto il controllo politico di Belgrado, la rivendicazione del “Kosmet (Kosovo e Methoija) ” come una componente essenziale della Madre Serbia e territorio culla della cultura, dell’identità nazionale e dell’ortodossia serba. L’AFFLUENZA Il dato che ha connotazioni più positive è quello relativo alla percentuale di donne elette nei consigli municipali, in una società ancora tradizionalista come quella kosovara: il 28,5% degli eletti, corrispondente a 262 consiglieri. Ciò è stato possibile grazie anche al sistema delle liste bloccate ed alle linee guida della CEC, che ha imposto un certo numero di esponenti femminili ai primi posti della lista di candidati di ogni partito. Per quanto riguarda l’affluenza alle urne, i dati sono invece tutt’altro che entusiasmanti. Come ampiamente previsto, c’è stato un vistoso calo rispetto agli anni precedenti e ciò dipende solo in parte dalla terza consultazione in tre anni che i cittadini kosovari sono stati chiamati a sostenere. Il dato complessivo (Kosova e seggi in Serbia ed in Montenegro) registra un’affluenza del 53,86%. Se si tiene in considerazione i voti dei residenti in Kosova, escludendo coloro che hanno votato in Serbia ed in Montenegro, la percentuale arriva al 58%. Il fenomeno della minore affluenza alle urne è piuttosto generalizzato ed è andato a colpire l’elettorato albanese così come quello serbo. Per quanto riguarda i cittadini serbi, si nota in particolar modo l’alto astensionismo registrato nella parte settentrionale della Kosova, a stragrande maggioranza serba, come scelta politica e segno di protesta nei confronti dell’amministrazione internazionale. La comunità serba si è mobilitata invece nelle municipalità della Kosova dove i serbi costituiscono la maggioranza: a Shterpce/Strepce, nel sud del Kosova, ha votato il 69%; a Novo Brdo l’80%. Insieme ai tre comuni settentrionali (Leposavic, Zvecan e Zubin Potok), i serbi si sono garantiti il diritto di amministrare anche Shterpce/Strepce e Novo Brdo per i prossimi quattro anni, dove i partiti albanesi saranno all’opposizione. Nel Kosova a maggioranza albanese l’affluenza è risultata piuttosto scarsa e non ha superato il 50% nelle municipalità con minoranza serba o bosgnacca : Fush Kosoves/Kosovo Polje, Obiliq/Obilic, Kamenice/Kamenica, Viti/Vitina, Mitrovica, Dragash Ciò è da considerarsi frutto non solo della scelta politica di parte della comunità serba ma anche del minore grado di entusiasmo nelle fila dell’elettorato della maggioranza albanese, che avrebbe dovuto essere maggiormente stimolata dalla competizione politica “interetnica”, con in gioco l’amministrazione della propria municipalità. I partiti albanesi si sono comunque assicurati una maggioranza schiacciante in consiglio comunale in tali municipalità. L’affluenza alle urne nelle aree abitate quasi esclusivamente da albanesi si è mantenuta tra il 52% ed il 67% (a Shtime/Stimlje). L’affluenza registrata nelle maggiori città del Kosova è particolarmente indicativa: a Prishtine/Pristina ha votato il 51,81%, a Gjilan il 54,14%, a Mitrovica il 48%, a Peja/Pec il 57,3%, a Prizren il 55,3% a Gjakove/Dakovica il 54,2%. IL VOTO DEGLI ALBANESI Confrontando i risultati elettorali con quelli di un anno prima, il dato più significativo è il seguente: la LDK ha perso quasi 39.000 elettori, mentre il PDK ne ha guadagnati 5000 e l’AAK è rimasto stabile. Tali risultati indicano due tendenze ben precise: l’astensionismo che ha colpito gli elettori del partito di Ibrahim Rugova e lo spostamento di consensi dalla LDK verso il PDK di Hashim Thaqi e l’AAK di Ramush Haradinaj. Un fenomeno che è in corso dalle municipali del 2000: la LDK aveva perso circa 38.000 voti nel novembre 2001 rispetto al trionfo registrato un anno prima e come abbiamo visto altrettanti nel corso degli ultimi 12 mesi. Il calo di consensi nei confronti dell’LDK registra quindi un andamento continuo da due anni a questa parte. Al contrario, il PDK è in crescita: +15.000 nel 2001 rispetto ad un anno prima, mentre alle ultime consultazioni è riuscito a registrare un aumento dei votanti nonostante il maggiore astensionismo. Lo stesso discorso vale più o meno per l’AAK, che pur rimanendo a debita distanza dai due principali partiti, si è riconfermata la terza forza politica nel panorama albanese, registrando più o meno lo stesso numero di votanti rispetto ad un anno fa (dopo un incremento di 8500 voti nel 2001 rispetto ad un anno prima). Tali dati possono essere interpretati come il risultato di due cause principali: la LDK, che ha amministrato la maggior parte delle municipalità in questi due anni, paga lo scotto dei fallimenti e del non mantenimento delle promesse da parte sia della comunità internazionale sia dei funzionari di partito locali. I grossi problemi sociali ed economici e la disoccupazione dilagante hanno fatto in modo che l’elettorato abbia punito le classi dirigenti elette negli anni precedenti. In questo contesto hanno avuto buon gioco partiti come il PDK, che ha saputo raccogliere, almeno in parte, i frutti di questo malcontento ed i vantaggi derivanti dallo stazionare all’opposizione nella maggior parte dei consigli municipali. L’altra principale spiegazione dell’andamento del voto risiede nella maggior radicalizzazione dell’elettorato albanese, fenomeno che come abbiamo visto ha portato ad una perdita di voti dell’LDK a favore di partiti considerati più “radicali” o comunque guidati da personalità considerati nell’immaginario collettivo meno disposti a compromessi, come gli ex leader guerriglieri Thaqi e Haradinaj. Entrambi questi fenomeni sono diretta conseguenza della problematica situazione attuale della Kosova e dell’aumentare, col passare degli anni, della disillusione e della frustrazione dell’elettorato per il mancato raggiungimento degli obiettivi promessi dai leader politici locali, primo tra tutti quello dell’indipendenza. Astensionismo e radicalizzazione dell’elettorato hanno evidentemente la stessa matrice. Pur avendo ridotto le distanze dagli acerrimi rivali, il PDK rimane ancora lontano dal partito del Presidente del Kosova, che rimane la formazione politica principale. Delle 25 municipalità a maggioranza albanese, la LDK ne amministrerà 19, mentre il PDK ne ha conquistate 6. Il divario continua a diminuire nelle grandi città: a Pristina 54.4- 25 (rispetto al 57.8-20.4 di un anno fa), a Prizren 37.8-28.1 (42.3- 26.3 nel 2001), a Mitrovica 53.4-34.2 (56.4-28 nel 2001), a Ferizaj/Urosevac 59.1-29 (62.8-27.4); la LDK ha tenuto invece a Gijlane, dove i rapporti di forza sono 51.1-28.9, stabili rispetto ad un anno fa. Il vantaggio di cui dispone la LDK, pur diminuito, è comunque ancora elevato: Dragash 36.5-28.9 , Istog/Istok 59.4-18.1, Klina 39.9-32.2, Fush Kosove/Kosovo Polje 50.5-23.3, Kamenice 45.2-27.3, Obiliq/Obilic 52.7-28.1, Rahovec/Orahovac 48.8-32, Podujevo 59.3-27.5, Suhareke/Suvareka 59.8-24.3, Viti 52.2-28.5, Vushtri/Vucitrn 57.1- 31.5. Anche nelle tre municipalità in cui la LDK ha avuto come principale rivale l’AAK, il divario è diminuito: a Gjakove/Dakovica 39.9-23.2 (49.9-24.1 nel 2001), a Peja/Pec 45.8-30.3 (55.4-22.9), a Decani è quasi sparito (48.6-45.8). Per quanto riguarda le 6 municipalità conquistate dal PDK, oltre al confermato dominio in Drenica (a Skenderaj/Srbica 81.6-12.3 a favore del partito di Thaqi, a Gllogovc 82.2-11.4) il Partito Democratico si è confermato a Malishevo (51.8-42.2), a Shtime/Stimlje (52.7-43.3) e a Kacanik (48.4-44.4), mentre a Lipjan/Lipljan è avvenuto il sorpasso (43.5 PDK- 41.9 LDK). La piana del Dukagijn, la parte occidentale del Kosova, si è confermato il serbatoio di voti principale per l’AAK di Ramush Haradinaj, che ha di gran lunga superato il PDK (che non arriva al 10%) e si è accreditato come un rivale temibile per il partito di Rugova, ottenendo un successo considerevole a Peja/Pec e a Decani. Buoni risultati l’Alleanza per il Futuro del Kosova ha ottenuto anche a Istog/Istok (9.6), Klina (11.3), Kamenice (11.2), Rahovec/Orahovac (9.1) e a Pristina (6.9). Le altre formazioni politiche del campo albanese hanno raccolto scarsi risultati, raccogliendo un basso numero di seggi . IL VOTO DEI SERBI Il voto si presenta invece piuttosto frammentato se si passa all’analisi nel campo serbo, dove si è registrato un buon successo di alcuni dei partiti “belgradesi”, che si sono presentati per la prima volta in Kosova e che hanno dato filo da torcere alla Coalizione Povratak (Ritorno), unica formazione politica serba alle parlamentari del 2001. A Shterpce/Strepce il partito più votato è risultato il SSZ (Socialisti della vallata di Sirina) con il 18.42, seguito dall’SDP (Movimento Democratico Serbo con il 14.14); il DSS (Partito Democratico di Serbia) del presidente Kostunica ha ottenuto l’11.68, la coalizione Povratak il 9.2, il PKM (Movimento per il Kosovo e Metohija di Momcilo Trajkovic) l’8.38, la SPO di Vuk Draskovic il 6.76. Nella piccola municipalità mista di Novo Brdo, Povratak ha ottenuto il 25.16, il DSS il 9.41, la lista DZZ (Vivere Insieme) il 15.98. I partiti serbi hanno ottenuto una lieve maggioranza rispetto alla somma dei voti dei partiti albanesi ed hanno i numeri per amministrare la città per la prima volta. Per quanto riguarda le municipalità settentrionali, a Leposavic buoni risultati per il DSS (25), la lista civica socialista (19.3) e per l’SNV di Milan Ivanovic (18.07); Povratak è al 13.3, la SPO al 7.86. Il DSS di Kostunica è risultato il maggiore partito anche a Zubin Potok (45.8), mentre a Zvecan la prevalso l’SNV (34.5 contro il 30 del DSS) . Infine il voto nelle “enclaves” serbe ha visto predominare Povratak , con buoni risultati anche per il DSS . La scelta dei partiti che hanno maggior seguito in Kosova tra i cittadini di etnia serba, l’SPS (Partito Socialista Serbo) e soprattutto il Partito Radicale Serbo (SRS) di Seselj, è stata quella di non registrarsi invece per queste elezioni, non riconoscendo l’autorità dell’UNMIK sul “sacro suolo del Kosmet”. Ciò ha contribuito inevitabilmente alla bassa scarsa affluenza degli elettori serbi, che si è attestata intorno al 50%. Da segnalare a Prizren la consistente minoranza turca, che ha raggiunto il 9.8, con 4 consiglieri eletti nella municipalità. Gli amministratori eletti il 26 ottobre scorso avranno quattro anni per affrontare le sfide e i problemi irrisolti del Kosova e chiederanno all ’amministrazione internazionale maggiore autonomia e decentralizzazione. Nel frattempo i partiti sono già proiettati verso la scadenza fondamentale delle elezioni parlamentari del 2004. Gli obiettivi che hanno di fronte i leader politici eletti sono più che stimolanti: l’emancipazione dalla tutela internazionale e l’autodeterminazione, la piena tutela, il rispetto e la sicurezza per le minoranze, la costruzione di istituzioni locali dotate di reale potere decisionale, la trasparenza e la correttezza al livello pubblico ed amministrativo, l’avvio di investimenti, la riapertura delle fabbriche, l’aumento dell’occupazione, l’avvio di attività economiche e produttive autonome e non assistite, la creazione di un sistema giudiziario gestito in ultima istanza dai locali, una reale giustizia rispetto ai crimini di guerra… L’impressione è che il Kosova abbia ancora molta strada da percorrere; per questo è necessaria la definizione del suo status e della sua propria identità. Tuttavia ciò che i cittadini kosovari possono aspettarsi in questo senso dalla comunità internazionale e probabilmente anche dalla loro leadership politica non corrisponde alle loro aspettative; per l’UNMIK i tempi difficili potrebbero ancora arrivare. ------- End of forwarded message -------
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