(Fwd) Chiusa RAI Balcani, Remondino a casa - (Fwd) [JUGOINFO]



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Date sent:      	Wed, 27 Nov 2002 13:28:12 +0100
Subject:        	Chiusa RAI Balcani, Remondino a casa - (Fwd) [JUGOINFO] Visnjica broj 228
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From:           	"Coord. Naz. per la Jugoslavia" 
<jugocoord at libero.it>
Date sent:      	Sun, 24 Nov 2002 13:46:26 +0100 Subject:       
	[JUGOINFO] Visnjica broj 228


CENSURA SUI MEDIA A BELGRADO, MA NON SOLO I TAPINI DI "B-52", 
BENSI' ENNIO REMONDINO

L'ultima impresa Rai: rimosso Ennio Remondino 

Ultima impresa Rai, «chiudere l'ufficio dei Balcani». Lo denuncia, in
un'intervista al sito dell'associazione Articolo 21, il 
corrispondente
Ennio Remondino: «Ho appreso la notizia con due righe burocratiche,
come si comunica che viene cessato un contratto d'affitto». Eppure la
sede dei Balcani, aperta 5 anni fa, nella guerra, riguarda un
territorio che va dalla Turchia all'Ungheria dove «abbiamo più di
10mila uomini dei contingenti militari italiani, e grossi interessi
economici, e crisi ancora aperte», sottolinea Remondino; nonché la
partita dell'«allargamento dell'Europa». E motivo dell'improvvida
iniziativa «non è certo il bilancio: 250 milioni di budget
complessivo... con quella cifra ci paghi la portineria e l'ascensore
della sede di New York». Reagisce il Ds Giulietti, portavoce di
Articolo 21, «speriamo che non sia vero», e chiede alla Rai se si
tratti di una decisione del cda, e se il provvedimento «sia stato
preso ad personam per Ennio Remondino», giacché l'«orrenda lista di
proscrizione» ai danni di giornalisti e dirigenti non graditi alla
maggioranza di governo, induce il «legittimo sospetto» che si voglia
colpire un altro giornalista «scomodo perché libero». Sullo stesso
registro reagiscono i responsabili informazione dei Ds Morri, e del
Prc Bellucci, il verde Boco, membro della Commissione di vigilanza
Rai. La Rai `smentisce' non smentendo: «si deve precisare che non
esiste alcuna decisione in merito a una possibile chiusura di quella
sede», e però «è necessario sottolineare che i direttori di testata,
ai quali spetta la valutazione professionale di queste questioni, in
una riunione del 24 ottobre hanno manifestato uno scarso interesse 
per
l'ufficio di Belgrado nel quadro delle priorità strategiche
internazionali». 

(da "Il Manifesto", 23/11/2002)




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From    : bjones at interfree.it
To      : jugocoord at libero.it
Date    : 24 Nov 2002 04:05:34 -0000
Subject : Monoscopio da Belgrado (ergo: silurate Remondino)


Tutti questi fonemi, krkrkr, tutti questi nomi propri ich-
ich, dice chi presta orecchio al serbocroato senza conoscerlo. 
Lo presagiva anche Danilo Kis, scrittore jugoslavo di talento, 
che ad Ovest rimane indefinitamente misconosciuto: perché l'arto
amputato dell'Europa, quello balcanico, interessa solamente quando
occorre strillare di barbarie secolari e malefatte storiche: da
Gavrilo Pricip alle farse dell'Aja. (Notizia fresca: Carla del Ponte
sa che Mladic è a Belgrado. Complimenti per l'intuito). Di Jugo-
storie
e di Jugo-culture non sappiamo nulla. Passa, sdoganato con 
l'etichetta
frettolosa del consumo, il folklore post-bellico di Kusturica e
passano, sdaziate dalle feste di piazza estive, le sudate fanfare di
Bregovic: nient'altro. Di jugo-letteratura in occidente qualcuno ha
letto Andric, il Nobel, quello del ponte sopra quel certo fiume,
cos'è, mica il Danubio? S'è detto e scritto tutto il possibile e
spesso l’improbabile su Sarajevo, slavine di volumi in perfetto stile
'c'ero anch'io', come conviene al rampante giornalista occidentale,
dall'Amanpour in poi: Sarajevo e il sangue, lo specchio e la memoria,
il dolore e l’odio, Sarajevo oggi, Sarajevo muore, Sarajevo vive,
Sarajevo Sarajevo: ma dove sarà l'accento, si dice Sàrajevo, 
Saràjevo,
Sarajèvo? Forse Srebrenica, in sillabe, aveva una pronuncia troppo
ostica per potersene occupare quanto ci s'è occupati di Sarajevo, e
malamente. Ad ogni modo, a dieci anni dall’assedio ben in pochi ne
conservano memoria: tutto quel krkrkkr, ich-ich, quelle mahale,
kasabe, carsije, dzamije, dzezve, dimije: troppo macchinoso e
levantino, troppo radioattivo l'uranio che avvelena la bella Bosnia
(la bella Serbia non sta meglio, ma è un uranio impoverito 
umanitario,
ed evapora con nonchalance). Interrotto il romanticismo dell'assedio
da narrare, il brivido degli snajper da descrivere con aggettivi
straripanti: i cecchini atroci, gelidi come la morte. Giusto un
menestrello italico è riuscito di recente a piazzare sulle colline
della Bosnia le balalajke, soggettino d'un ritornello sanremese. A
Sarajevo non ci sono balalajke, provare per credere, ma l'occidente
presagisce un oriente slavo mescolato proprio in questo modo:
matrioske, rakija e polveriere, il minestrone dev'essere pronto in
cinque minuti e possibilmente lacrimevole. Balcani solubili,
fast-ex-jugo. Consumare in fretta e niente effetti collaterali.
L'informazione dalla Jugo-Atlantide, ahinoi, non offre di meglio. Il
corrispondente impavido che tenta l'approfondimento (cosa accade 
nella
pace Nato prefabbricata del Kosovo, ad esempio? Qual è lo stato di
salute della democrazia croata? E a Skopje, che succede?) incassa in
genere un commento che è già uno sbuffo: ah, ancora la Jugoslavia? 
Non
vende più, la Jugoslavia, annotava amaramente Jasmina Tesanovic nel
suo diario da Belgrado. E' il solito occidente, bellezza: sappiamo
tutto sul cardio-doppler di Milosevic (il garante- tiranno,
selezionato dall’Alleanza Atlantica per siglare gli accordi di Dayton
prima, e qualche anno più tardi scelto per liquidare le colpe
collettive), ma delle recenti catastrofiche elezioni in Serbia e
Bosnia s'è detto l'essenziale, e l’essenziale è nulla. Forse perché 
il
disastro si rivolge ad occidente, e alle radici della catastrofe
elettorale ci siamo noi. Pochi, i giornalisti che si occupano di
Jugo-Balcani con la serietà dovuta. Uno di questi si chiama Remondino
Ennio, dodici anni di jugo-anzianità, e nei negozi di Belgrado il suo
cognome ha involontariamente battezzato quel certo giubbottino di
renna spelacchiata ('il remondino', appunto) che il nostro indossava
per raccontare dagli schermi Rai, spesso nelle ultime edizioni a
margine (perché le lacrime di Kukes 'tiravano', come si dice in 
gergo,
più di quelle di Pancevo) la guerra del '99. Bravo, Remondino, e
competente: raccontare in diretta la prima guerra umanitaria della
storia era fatica da Don Chisciotte. Eppure c'è riuscito. E c'è
riuscito grazie alle qualità specifiche ed essenziali di ogni bravo
giornalista: pazienza, competenza, molta ironia: per chi l'ha saputa
cogliere fra un krkrkr e un ich-ich, senza orpelli, senza servilismo.
Notizia del giorno, 23 novembre 2002 anno domini, Remondino il
non-allineato rientra nelle spese che il CdA di mamma Rai decide di
tagliare: chiude la redazione di Belgrado. Eppure quel che accade fra
Praga e Istanbul è proprio Remondino a poterlo riferire, e dovrebbe
riguardarci da vicino. Pare che per la Rai non sia così: il 
minestrone
di polvere da sparo e domande restate prive di risposta non interessa
più: alla voce ‘Balcani’, in Rai, solo uno spazio vuoto, un 
monoscopio
‘fine delle trasmissioni’ certo più rassicurante del narrante
Remondino. Brutto momento per l’informazione, nella penisola italica
separata da quella balcanica da un solo braccio di Adriatico: fischia
un vento troppo destro per essere definito solamente sinistro. Aveva
ragione proprio Remondino: "se le stronzate del giornalismo italiano
fossero mine, saremmo una categoria di mutilati".   

Babsi Jones

http://bjones.interfree.it




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