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Re: (Fwd) N.E. Balcani #545 - Serbia/Montenegro (Fwd) Materiali per il 23-4-02 - (2 - sul tribunale dell'Aja)
- Subject: Re: (Fwd) N.E. Balcani #545 - Serbia/Montenegro (Fwd) Materiali per il 23-4-02 - (2 - sul tribunale dell'Aja)
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- Date: Mon, 22 Apr 2002 15:44:12 +0200
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------- Forwarded message follows ------- From: "most za Beograd" <most.za.beograd at libero.it> To: <Undisclosed-Recipient:;> Subject: Materiali per il 23-4-02 - (2 - sul tribunale dell'Aja) [mc 6] Date sent: Mon, 22 Apr 2002 10:14:03 +0200 MOST ZA BEOGRAD, Associazione culturale di solidarietà con la popolazione jugoslava (via Abbrescia 97 - 70121 - BARI - tel. 0805562663 - e-mail: most.za.beograd at libero.it) BARI, MARTEDI' 23 APRILE ORE 16.30 presso l'AULA "ALDO MORO" (FACOLTA' DI GIURISPRUDENZA, PIAZZA C. BATTISTI) conferenza-dibattito sul tema "Guerra, diritto internazionale, nuovo (dis)ordine mondiale ONU, Tribunale dell'Aja, Tribunali speciali americani di Enduring Freedom" Intervengono Vincenzo Starace, professore ordinario di diritto internazionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Bari Aldo Bernardini, professore di diritto internazionale all'Università di Teramo, di ritorno dall'Aja, dove ha assistito a diverse fasi del processo in qualità di membro del "Comitato Internazionale di difesa di Milosevic" Ugo Villani, Professore ordinario di Diritto dell'Unione Europea presso l'Università "La Sapienza" di Roma, e membro del Comitato Scientifico della Scuola di Politica Internazionale, Cooperazione e Sviluppo (SPICeS) promossa da "Volontari nel mondo - FOCSIV" Fulvio Grimaldi, giornalista, membro del "Tribunale Clark per i crimini della NATO in Jugoslavia", autore di numerosi servizi, inchieste e video sulla situazione in Jugoslavia, Iraq, Palestina negli ultimi 10 anni coordina Andrea Catone, associazione Most za Beograd -------------------------------- Materiali per la conferenza-dibattito su guerra, diritto internazionale, nuovo (dis)ordine mondiale - sul tribunale dell'Aja 1. Christopher Black, Edward Herman, Il Tribunale ONU sulla Jugoslavia, un docile strumento in mano alla NATO 2. "Una vendetta, per l'unico vero delitto che l'Occidente non può perdonare, il delitto di aver resistito all'America" Appello di Raniero La Valle, Giovanni Galloni, Antonia Sani, Vittorio Tranquilli, Teresa Lanzetta, Salvatore Lumia, Ettore Zerbino, Paola Mutui, Claudio Tosi, Bemardetta Forcella, Mariarosa Tinaburri 3. Michel Collon, Un tribunale orwelliano 4. Domenico Gallo, Diritto alla sbarra 5. Fulvio Grimaldi, Difendere Milosevic e' difendere la libertà e la sovranità dei popoli 6. Danilo Zolo, Processo a Milosevic: un giudizio universale made in Usa 7. Michael Mandel, I non imputati dell'Aja ***** 1. Christopher Black (uno degli avvocati canadesi che hanno chiesto al Tribunale ONU per la Jugoslavia di accusare i dirigenti della NATO di crimini di guerra) Edward Herman (canadese, autore di saggi sui mezzi di comunicazione di massa). Il Tribunale ONU sulla Jugoslavia: la vergogna internazionale di un organismo che dovrebbe essere imparziale e che invece è un docile strumento in mano alla NATO per colpire i nemici dell'alleanza [Il manifesto, 27 e 28 maggio 2000] Tra i molti paradossi della guerra della Nato contro la Jugoslavia c'è il ruolo del Tribunale Penale Internazionale e della sua ex procuratrice generale, Louise Arbour, elevata dal primo ministro canadese Jean Chretien all'Alta Corte del Canada nel 1999. Come avremo modo di dimostrare, quel premio si giustifica interamente per i servizi politici resi alle potenze della Nato, ma è una monumentale presa in giro se si considera la questione della corretta amministrazione della giustizia. In realtà, poiché la Arbour e il suo Tribunale hanno giocato un ruolo chiave nel favorire crimini di guerra, ci sono eccellenti motivi per sostenere che in un mondo giusto la Arbour si dovrebbe trovare sul banco degli imputati piuttosto che nella veste di giudice. La Arbour corre in aiuto della NATO Il momento della verità per la Arbour e il Tribunale è venuto nel bel mezzo della campagna di bombardamenti della Nato contro la Jugoslavia durata 78 giorni, quando la Arbour è apparsa una prima volta in una conferenza stampa del 20 aprile 1999 insieme al ministro degli esteri britannico Robin Cook per ricevere da lui la documentazione sui crimini di guerra serbi. Successivamente, il 27 maggio, la Arbour annunciava l'incriminazione del presidente serbo Slobodan Milosevic e di quattro suoi collaboratori per crimini di guerra. L'inappropriatezza di questo comportamento da parte di un organo presumibilmente giudicante nel bel mezzo della guerra in Kosovo, e mentre la Germania, la Russia ed altre potenze stavano cercando di trovare una soluzione diplomatica al conflitto, è sconcertante. Presentandosi pubblicamente il 20 aprile 1999 con Cook, la Arbour dichiarò che "sarebbe inconcepibile... che noi di fatto accettassimo di essere guidati dalla volontà politica di gente che può avere propri scopi da perseguire". Ma la sua apparizione con Cook e le incriminazioni che l'hanno seguita corrispondevano perfettamente ai bisogni politici dei dirigenti della Nato. Le critiche ai bombardamenti Nato, sempre più intensi e mirati a colpire le infrastrutture civili, stavano crescendo, e nei media britannici Blair e Cook fustigavano i loro critici per il loro insufficiente entusiasmo per la guerra. L'intervento della Arbour e del Tribunale, che dichiarava la dirigenza serba colpevole di crimini di guerra, era una mossa di relazioni pubbliche per giustificare la politica della Nato e facilitare la continuazione e l'escalation dei bombardamenti. I dirigenti e i propagandisti della Nato l'hanno sottolineato spesso: Madeleine Albright rilevava subito che l'incriminazione "chiarisce al mondo intero e all'opinione pubblica dei nostri paesi che questa [politica della Nato] è giustificata dai crimini commessi, e penso anche che ci consentirà di continuare a portare avanti tutti questi processi [cioè i bombardamenti]" (Cnn, 27 maggio). Il portavoce del Dipartimento di Stato James Rubin dichiarava da parte sua che "questo passo senza precedenti... giustifica nel modo più chiaro possibile quanto abbiamo fatto negli ultimi mesi" (Cnn Morning News, 27 maggio). Benchè il Tribunale fosse insediato sin dal maggio 1993, e le atrocità più gravi nelle guerre jugoslave fossero state commesse nel quadro della disgregazione della vecchia Federazione, tra il giugno 1991 e i colloqui di pace di Dayton alla fine del 1995, non c'era stata nessuna accusa contro Milosevic per nessuna di quelle atrocità. L'incriminazione del 27 maggio si riferisce esclusivamente a 241 morti di cui si avrebbe avuta notizia nei primi mesi del 1999. L'incriminazione appare preparata frettolosamente in risposta a qualche bisogno urgente. Il 20 aprile la Arbour aveva persino dichiarato di avere "fatto visita alla Nato" per "dialogare con potenziali fornitori di informazioni per creare un sostegno senza precedenti, di cui il Tribunale ha bisogno se vuole ottemperare al suo mandato in una cornice temporale che lo renda rilevante per la risoluzione di un conflitto... delle dimensioni di quello attualmente in atto nel Kosovo". Ma la sua azione ha impedito una soluzione negoziata, anche se ha contribuito ad accelerare una soluzione attraverso l'intensificazione dei bombardamenti. La Arbour stessa si diceva "preoccupata dell'impatto che questa incriminazione può avere sul processo di pace", e dichiarava che, benchè le persone incriminate abbiano "diritto alla presunzione di innocenza fino alla condanna, le prove su cui l'incriminazione si fonda sollevano seri dubbi sulla loro adeguatezza ad essere garanti di qualunque intesa, per non parlare di un accordo di pace". (Cnn Live Event, Special, 27 maggio). In questo modo la Arbour non solo ammetteva di essere assolutamente consapevole del significato politico della incriminazione, ma insinuava anche che l'interferenza con eventuali sforzi diplomatici era giustificata perché le persone incriminate, sebbene non ancora dichiarate colpevoli, non sarebbero state adeguate a negoziare. Questo giudizio politico largamente extragiudiziale, insieme al momento scelto per le incriminazioni, indica il ruolo altamente politico della Arbour e del Tribunale. Cosa c'è dietro la politicizzazione del Tribunale Il servizio reso dalla Arbour alla Nato con l'incriminazione di Milosevic è stato il risultato logico del controllo di fatto sul Tribunale e sulle sue finalità. Il Tribunale fu istituito dal Consiglio di Sicurezza all'inizio de gli anni '90 per servire agli scopi della politica balcanica dei suoi membri dominanti, specialmente degli Usa (Cina e Russia li hanno seguiti come partner silenziosi e impotenti, forse in cambio di concessioni economiche). Il finanziamento e la relazione di interdipendenza funzionale con le principali potenze Nato ne hanno fatto uno strumento della Nato. Sebbene, secondo l'art. 32 dello Statuto, le spese del Tribunale debbano essere previste nel bilancio generale dell'Onu, questa clausola viene regolarmente violata. Negli anni 1994-1995 il governo Usa ha elargito al Tribunale 700.000 dollari in contanti e 2,3 milioni di dollari in attrezzature (e ciò mentre si rifiutava di far fronte al suo debito con l'ONU che avrebbe così potuto assicurarne il finanziamento). Il 12 maggio 1999 la giudice Gabrielle Kirk McDonald, presidente del Tribunale, dichiarava che "il governo degli Stati Uniti ha accettato molto generosamente di dare 500.000 dollari [per un progetto "Outreach"] e di incoraggiare altri stati a contribuire". Molti altri enti governativi e non governativi con sede negli Usa hanno fornito risorse al Tribunale. L'articolo 16 dello Statuto del Tribunale stabilisce che il procuratore deve agire in modo indipendente e non deve chiedere o ricevere istruzioni da alcun governo. Anche questa disposizione è stata sistematicamente violata. Le fonti Nato hanno regolarmente avanzato la pretesa di avere autorità sul Tribunale: "Decideremo se le azioni della Jugoslavia contro le persone di etnia albanese costituiscano un genocidio" dichiara un foglio informativo dell'Usia (United States Information Agency), e nella conferenza stampa tenuta insieme alla Arbour il 20 aprile Cook dichiara: "Concentreremo la nostra attenzione sui crimini di guerra che vengono commessi in Kosovo e siamo determinati a consegnare i responsabili alla giustizia", come se lui e la Arbour fossero un organismo che decide collettivamente, e in collaborazione, chi debba essere accusato dei crimini di guerra, ed ovviamente escludendo se stesso dai potenziali accusati. In precedenza, il 31 marzo, due giorni dopo che Cook le aveva promesso informazioni utili a sostenere le accuse, la Arbour aveva annunciato l'incriminazione di Arkan. I funzionari del Tribunale si sono persino vantati del "forte sostegno da parte dei governi interessati e di singoli individui come la segretaria di stato Albright", citata poi come "madre del Tribunale" (da Gabrielle Kirk McDonald). In una conferenza stampa del settembre 1999 la procuratrice generale succeduta alla Arbour, Carla Del Ponte, ringraziava l'americana Fbi per aver aiutato il Tribunale, ed esprimeva riconoscenza per "l'importante sostegno fornito al Tribunale dal governo degli Stati Uniti". La stessa Arbour aveva informato personalmente Clinton dell'imminente incriminazione di Milosevic due giorni prima del resto del mondo, e nel 1996 la procuratrice si era incontrata con il segretario generale della Nato e il suo comandante supremo per "stabilire contatti e cominciare a discutere le modalità di collaborazione e assistenza". Gli incontri tra il procuratore del tribunale e la Nato, a cui è stata affidata la funzione di polizia, sono stati numerosi. Anche nella raccolta dei dati, il procuratore è stato fortemente dipendente dalla Nato e dai governi Nato, il che ancora una volta rimanda alla relazione simbiotica fra il Tribunale e la Nato. Nel mirino ci sono praticamente solo i serbi Le potenze della Nato hanno concentrato la loro attenzione quasi esclusivamente sulla condotta dei serbi nel quadro della disintegrazione della Jugoslavia, e il Tribunale ha proseguito sulla scia della Nato. La gran parte delle incriminazioni del Tribunale si riferisce a serbi, e quelle, pochissime, dirette contro croati e musulmani hanno dato l'impressione di arrivare al momento giusto per controbattere le accuse di pregiudizio anti-serbo (ad esempio, la prima incriminazione non serba [Ivica Rajic], annunciata durante i colloqui di pace a Ginevra e il bombardamento della Nato nel settembre 1995). La stessa Arbour affermava (20 aprile) che "il vero pericolo è quello di cadervi [di perseguire gli scopi politici di qualcuno] inconsapevolmente, dipendendo interamente da fornitori di informazioni che potrebbero avere loro scopi che noi potremmo non essere in grado di riconoscere". Ma anche un imbecille si sarebbe potuto accorgere che la Nato aveva i propri scopi e che il solo fatto di accettare la marea di documenti offerti da Cook e Albright significava proprio subordinarsi a quegli scopi. Arbour ha persino riconosciuto la sua volontaria e quasi esclusiva "dipendenza... dalla buona volontà degli stati" per fornire informazioni che "guideranno la nostra analisi del contesto criminale". E il suo riferimento del 20 aprile alla "moralità dell'impresa [della Nato]" e le sue osservazioni sulla possibile mancanza di carattere di Milosevic, che lo renderebbe inidoneo a un negoziato, così come la sua prontezza ad aiutare la Nato con un'incriminazione, rimandano a un servigio politico del tutto consapevole. Un drammatico esempio della non imparzialità della Arbour e del Tribunale, viene da un rapporto del Tribunale stesso intitolato "The Indictment Operation Storm: A Prima Facie Case", che descrive i crimini di guerra commessi dalle forze armate croate con l'espulsione di più di 200.000 serbi dalla Krajina nell'agosto 1995, durante la quale "almeno 150 serbi hanno subìto esecuzioni sommarie, e molte centinaia di loro sono scomparsi". Il rapporto, fatto trapelare al New York Times (con costernazione dei funzionari del Tribunale), affermava che gli omicidi e gli altri atti disumani commessi dai croati erano "diffusi e sistematici", e che era disponibile "materiale sufficiente" per chiamare a risponderne in base al diritto internazionale tre generali croati di cui veniva fatto il nome. (Raymond Bonner, "War Crimes Panel Finds Croat Troops 'Cleansed' the Serbs", New York Times, 21 marzo 1999). Ma l'articolo del Times riferisce anche che gli Stati Uniti, che sostenevano la pulizia etnica condotta dai croati contro i serbi in Krajina, non solo hanno difeso i croati presso il Tribunale, ma si sono rifiutati di fornire le foto satellitari delle aree della Krajina attaccate dai croati e altre informazioni che erano state loro richieste. Il risultato è stato che generali croati nominati nel rapporto su "Operation Storm" non sono mai stati incriminati dal Tribunale dell'Aja nel momento in cui le rivelazioni avvenivano, e sebbene il numero dei serbi uccisi e scomparsi in soli quattro giorni in quella pulizia etnica sia stato almeno pari alle 241 vittime dei serbi menzionate nell'incriminazione di Milosevic, nessuna incriminazione parallela del leader croato Tudjman è stata mai emessa dal Tribunale. Ma non si è trattato di una mancata raccolta di elementi di accusa: il fatto è che gli Stati Uniti si sono opposti all'incriminazione dei loro alleati, per questo il Tribunale non li ha accusati. I processi farsa del Tribunale La Arbour ha dichiarato che il Tribunale è "soggetto a regole estremamente severe per le prove rispetto all'ammissibilità e alla credibilità del lavoro che presenteremo alla corte" per cui sarebbe stata cauta rispetto a "accuse non confermate, non verificabili, non provate" (20 aprile). Parole che non rendono affatto la realtà di quella che John Laughland su The Times (Londra) ha descritto come una "corte disonesta con regole truccate" (17 giugno 1999). Il Tribunale vìola virtualmente ogni standard di giusto processo: esso non mantiene separata l'accusa dal giudizio; non accorda il diritto alla libertà provvisoria o a un processo celere; non ha una definizione chiara dell'onere della prova richiesto per una condanna; non ha un organismo indipendente presso cui ricorrere in appello; vìola il principio secondo cui un imputato non può essere processato due volte per lo stesso reato (l'art. 25 dà diritto al procuratore di presentare appello contro l'assoluzione); le persone sospette possono essere trattenute 90 giorni senza processo; secondo la norma 92 le confessioni sono considerate libere e volontarie a meno che il prigioniero non dimostri il contrario; i testimoni possono testimoniare anonimamente e, come ha osservato John Laughland, "le norme contro il 'sentito dire', profondamente radicate nella giurisprudenza, non vengono osservate e l'ufficio del procuratore ha persino proposto di non chiamare i testimoni per produrre le prove, ma soltanto gli investigatori del Tribunale stesso". Come abbiamo già osservato, la Arbour presuppone la colpevolezza prima del processo; il concetto di "innocenza fino alla condanna" viene respinto, e la Arbour può dichiarare che le persone collegate ad Arkan "saranno macchiate dalla loro associazione con un personaggio imputato di crimini di guerra" (31 marzo). Chiaramente la Arbour non crede nelle regole fondamentali della giurisprudenza occidentale, e Laughland cita le sue parole: "La legge, per me, dovrebbe essere creativa e usata per far funzionare le cose". E nel giro di un mese dalla sua elezione alla Suprema Corte canadese, la Arbour faceva parte della maggioranza di giudici che introduceva nella legge canadese la pratica iniqua e pericolosa di consentire nei processi un uso più liberale delle prove per sentito dire. La corruzione del sistema della giustizia canadese, sia per la sua nomina che per il suo operato, rispecchia quella del sistema politico, i cui rappresentanti hanno appoggiato senza problemi la guerra della Nato. I crimini della NATO Bombardando la Jugoslavia dal 24 marzo al giugno 1999, la Nato si è resa colpevole del grave crimine di violazione della disposizione della Carta delle Nazioni Unite che vieta l'uso della forza senza l'approvazione del Consiglio di Sicurezza. La Nato si è anche resa colpevole di un'aggressione criminale attaccando uno stato sovrano che non stava travalicando i propri confini. A propria difesa, la Nato ha sostenuto che preoccupazioni "umanitarie" richiedevano tali azioni e giustificavano violazioni così gravi del diritto. A prescindere dal fatto che questo argomento sancisce la possibilità di violare la legge sulla base di un proprio giudizio, contraddicendo la preminenza del diritto, essa è contraddetta anche dai fatti sul suo stesso terreno. In primo luogo, i bombardamenti Nato hanno "trasformato un problema umanitario interno in un disastro", secondo le parole del canadese Rollie Keith, di ritorno dalla missione Osce per la tutela dei diritti umani in Kosovo. In secondo luogo, è ormai provato, che la Nato si è rifiutata di negoziare un accordo sul Kosovo ed ha insistito per la soluzione violenta e che, per usare le parole di un funzionario del Dipartimento di Stato, la Nato ha deliberatamente "fatto muro" e impedito una soluzione di compromesso perché la Serbia "aveva bisogno di una buona dose di bombardamenti". Questi fatti suggeriscono che la supposta base umanitaria delle violazioni di legge ha fatto da copertura a obiettivi meramente politici e geopolitici. La Nato si è anche resa colpevole di crimini di guerra più tradizionali, inclusi alcuni che il Tribunale aveva ritenuto tali quando commessi dai serbi. Così l'8 marzo 1996, il leader serbo Milan Martic è stato incriminato per aver lanciato nel maggio 1995 un razzo con bombe a grappolo su obiettivi militari a Zagabria, con la motivazione che il missile "non era finalizzato a colpire obiettivi militari ma a terrorizzare i civili di Zagabria". Il rapporto del Tribunale sulla "Operation Storm" croata in Krajina ha fornito anche prove concrete che nell'attacco croato di 48 ore contro la città di Knin "furono lanciate granate soprattutto contro obiettivi civili" (meno di 250 granate su 3.000 hanno colpito obiettivi militari), ma a questa risultanza - come del resto per tutti gli altri attacchi - non ha fatto seguito nessuna incriminazione. Lo stesso caso si è verificato in molti bombardamenti della Nato, in cui sono stati colpiti obiettivi civili, come nel bombardamento di Nis il 7 maggio 1999 in cui un mercato e un ospedale distanti da qualunque obiettivo militare sono stati colpiti separatamente - ma la Nato non ha subìto alcuna incriminazione. Ma la Nato si è resa colpevole del bombardamento di obiettivi non militari anche come politica sistematica. Il 26 marzo 1999, il generale Wesley Clark dichiarava: "Lavoreremo con molta sistematicità e in modo progressivo sulle sue [di Milosevic] forze militari... [per vedere] quanti danni è disposto a subire". Ma questa focalizzazione sulle "forze militari" non ha avuto effetto e così la Nato si è rapidamente dedicata a "demolire... l'apparato economico che sostiene" le forze militari serbe (parole di Clinton), e gli obiettivi della Nato si sono gradualmente estesi a fabbriche di tutti i tipi, centrali elettriche, infrastrutture idriche e fognarie, tutti i trasporti, edifici pubblici, e molte scuole e ospedali. Di fatto, la strategia della Nato è stata di mettere in ginocchio la Serbia con una escalation graduale di attacchi contro la società civile. Questa politica ha palesemente violato il diritto internazionale, di cui un elemento fondamentale è che gli obiettivi civili siano "off limits". Il diritto internazionale proibisce la "distruzione arbitraria di città o villaggi o la devastazione non giustificate da necessità militari" (Sesto principio di Norimberga, formulato nel 1950 da una commissione sul diritto internazionale sotto l'egida delle Nazioni Unite). La "necessità militare" non consente, evidentemente, la distruzione di una società civile al fine di rendere più difficile, per un paese, appoggiare le sue forze armate, non più di quanto non consenta l'uccisione diretta dei civili perché essi pagano le tasse con cui si sostiene la macchina bellica, o perché un giorno potrebbero diventare soldati. Tenere in ostaggio un'intera popolazione è una flagrante violazione del diritto internazionale, e le azioni che mirano a questo obiettivo sono crimini di guerra. Il 29 settembre 1999, in risposta alla domanda se il Tribunale avrebbe investigato sui crimini commessi in Kosovo dopo il 10 giugno, o su quelli commessi dalla Nato in Jugoslavia, la procuratrice Carla Del Ponte dichiarava che "l'ufficio del procuratore deve dedicarsi prioritariamente a indagare e perseguire i cinque leader della Repubblica Federale di Jugoslavia e della Serbia che sono già stati incriminati". Per quale motivo questa "debba" essere la priorità, tanto più considerando la mole delle prove già raccolte nella fase di preparazione delle incriminazioni, non è stato spiegato. Alla fine di dicembre, è stato infine riferito che la Del Ponte, su pressione della Russia e di molte altre "parti interessate", stava prendendo in esame la condotta della Nato ("U.N. Court Examines Nato's Yugoslavia War", New York Times, 29 dicembre 1999). Ma l'articolo stesso indica che l'attenzione è concentrata sulla condotta dei piloti Nato e dei loro comandanti, non sui capi della Nato che hanno operato la scelta decisiva di colpire le infrastrutture civili. L'articolo lascia capire inoltre la natura pubblicitaria delle dichiarazioni destinate a "smentire la convinzione... che il tribunale sia uno strumento usato dai leader occidentali per sfuggire alle proprie responsabilità". L'articolo infine sottolinea la delicata questione che il tribunale "dipende dall'alleanza militare per arrestare e consegnare i sospetti". In esso si citano anche le seguenti parole della Del Ponte: "Non è la mia priorità, perché devo occuparmi di indagini riguardanti un genocidio, e corpi in fosse comuni". Possiamo essere sicuri che da questa indagine non scaturirà nessuna incriminazione. Un tribunale imparziale si sarebbe sforzato di bilanciare la marea di documenti della Nato con ricerche sul posto e accogliendo la documentazione rivale. Ma pur avendo ricevuto denunce sui crimini della Nato, sia dalla Jugoslavia sia da una quantità di gruppi di giuristi occidentali, il Tribunale non se ne è mai occupato fino a questa presa in considerazione tardiva e sicuramente nominale che "non è la mia priorità", poiché il Tribunale "deve" perseguire i cattivi serbi, per ragioni che sono fin troppo chiare. Al di là di Orwell I leader della Nato, frustrati nell'attaccare la macchina militare serba, si sono applicati piuttosto scopertamente a distruggere la società civile della Serbia, un mezzo per ottenere la rapida vittoria auspicata prima dei festeggiamenti per il cinquantesimo anniversario della Nato. Sebbene questo abbia comportato che gli abitanti della Serbia fossero trasformati in ostaggi e attaccati insieme ai loro mezzi di sussistenza - in palese violazione del diritto di guerra - la Arbour e il suo Tribunale non solo non hanno protestato con i leader della Nato e non li hanno perseguiti per crimini di guerra ma, incriminando Milosevic il 27 maggio, hanno fornito alla Nato una copertura morale permettendo crescenti attacchi alla popolazione ostaggio. La Arbour e il Tribunale ci presentano così lo sbalorditivo spettacolo di una istituzione presumibilmente organizzata per limitare, prevenire e perseguire i crimini di guerra, che di fatto li facilita consapevolmente. Come se non bastasse, precise denunce sottoposte al Tribunale durante la permanenza della Arbour avevano chiesto che il Tribunale perseguisse i leader della Nato, compreso il primo ministro canadese Jean Chretien, per crimini di guerra. Se fosse stata procuratrice in Canada, Gran Bretagna o Stati Uniti, la Arbour sarebbe stata soggetta alla radiazione dall'albo professionale per aver preso in considerazione e poi accettato un lavoro da una persona che le era stato chiesto di perseguire. Ma la Arbour è stata eletta alla Suprema Corte del Canada da Chretien senza che questo conflitto di interessi e questa immoralità venissero neanche menzionati. In questo Nuovo Ordine Mondiale post-orwelliano ci viene detto che viviamo in un contesto di diritto ma, come ebbe modo di dire Sant'Agostino, "ci sono leggi giuste e leggi ingiuste, e una legge ingiusta non è affatto una legge". ****** 2. Una vendetta, per l'unico vero delitto che l'Occidente non può perdonare, che è il delitto di aver resistito all'America La decisione di estradare Milosevic perché sia processato dal Tribunale istituito all'Aja sotto l'etichetta dell'Onu mediante una procedura di dubbia legittimità, non è un momento della storia della giustizia, ma è un momento della storia della vendetta e più ancora della storia del meccanismo vittimario che rimette a posto la pace e la buona coscienza di tutti mediante il sacrificio di una vittima, tanto meglio se adatta a farsi mettere in capo i delitti e i peccati di molti. Anche qui, come già avvenne per l'arresto, c'è stato uno scambio tra un atto richiesto dall'estero e una promessa di denaro. Non è il giudicare Milosevic che è in discussione. Nessuno ha mai pensato che nel conflitto jugoslavo, dove tutti hanno compiuto crimini, dai capi delle fazioni armate ai negoziatori di Rambouillet, il presidente jugoslavo fosse l'unico immune da colpe. L'obbligatorietà dell'azione penale, l'indipendenza della magistratura dal potere politico, e la sanzione internazionale dei crimini contro l'umanità, che rivendichiamo quando sono negate in Italia, devono valere per tutti, anche nei Balcani. Ma l'arresto prima, la decisione per l'estradizione di Milosevic poi, sono intervenuti per una volontà esterna, su impulso del Tribunale dell'Aja, quel Tribunale che dovendo giudicare i crimini commessi nei conflitti jugoslavi, non ha giudicato la distruzione del diritto compiuta dalla Nato, che ha violato tutte le norme del diritto internazionale e del diritto umanitario di guerra, perfino ammazzando i giornalisti, con il bombardamento della Televisione jugoslava. Il Tribunale dell'Aja ha in effetti aperto e subito chiuso l'inchiesta sulla Nato, non trovando nulla riguardo a cui procedere. Dunque si tratta della giustizia dei vincitori. Ma prima ancora che dalla responsabile della Procura internazionale dell'Aja, l'arresto era stato reclamato dall'America di Bush, e con un ultimatum che scadeva il 31 marzo, giorno in cui è stato eseguito, in cambio di una elargizione di 50 milioni di dollari, pari a 100 miliardi di lire. Cento miliardi sono una cifra irrisoria, pari alla somma che si dice sia stata spesa da Berlusconi per la sua campagna elettorale per acquistare il potere in Italia. Cento miliardi per comprarsi la Jugoslavia, e per venderla, è una cifra irrisoria; al cambio sono meno di 30 danari. Ed ora l'estradizione è stata concessa dal governo e dal Parlamento serbi sotto il ricatto dei Paesi "donatori", che dovrebbero con un miliardo di dollari aiutare la Jugoslavia a ricostruire ciò che essi stessi con la guerra hanno distrutto. Insomma una taglia su un colpevole. Ma più ancora una vendetta, per l'unico vero delitto che l'Occidente non può perdonare, che è il delitto di aver resistito all'America, e che Milosevic non ha compiuto da solo. Si uò dire che anche noi, che ci siamo opposti alla guerra, ne siamo stati complici. Un delitto che fin troppo a lungo non è stato perdonato al Vietnam, che non è stato perdonato in Salvador a mons. Romero e a quanti si sono opposti al regime voluto dagli Stati Uniti, che non è stato perdonato a Saddam Hussein e all'intero popolo iracheno, che continua a pagarne il prezzo in una guerra che per i vincitori non è mai finita, e in uno strangolamento che ammazza i bambini e si perpetua da una generazione all'altra di iracheni, anche nati dopo i fatti imputati come reato. Dunque si tratta di una giustizia tribale, che pretende la vendetta del sangue senza discernimento dei colpevoli e senza distinzione tra i padri ed i figli. Una giustizia che, così concepita, è una vergogna. Quando dopo una lunga storia di diritti negati e di popoli calpestati la comunità internazionale ha riconosciuto e affermato i diritti umani, quando col patto di Roma si è tentato di istituire un Tribunale penale internazionale permanente che gli Stati Uniti si rifiutano di accettare e impediscono che nasca perché non vogliono sottoporsi ad alcuna giurisdizione, rivendicando l'impunità dei loro poteri imperiali, si pensava a una ben diversa istituzione e sovranità del diritto, si sperava in una ben diversa giustizia, si intendeva un'oggettività e un'imparzialità dei giudizi, senza vendette, senza imputati precostituiti e senza sentenze manipolate dal potere. Nulla di tutto ciò si riscontra nel modo in cui Milos evic, come si dice, viene ora "assicurato" alla giustizia, grazie a un salario di un pugno di dollari e con il mondo intorno a fare il tifo come in uno stadio. E' una brutta pagina per la civiltà del diritto, è un'ulteriore umiliazione per l'Europa; ed è questo che vogliamo esprimere con la nostra protesta. Raniero La Valle, Giovanni Galloni, Antonia Sani, Vittorio Tranquilli, Teresa Lanzetta, Salvatore Lumia, Ettore Zerbino, Paola Mutui, Claudio Tosi, Bemardetta Forcella, Mariarosa Tinaburri. ***** 3. Michel Collon Un tribunale orwelliano [Fonti: "Un Tribunale Imparziale, davvero?" del giurista canadese Christopher Black; "Basi illegali del Tribunale per i Crimini di Guerra", del giurista jugoslavo Kosta Cavoski, in http://emperors-clothes.com/articles/cavoski; http://groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/913] Il "Tribunale Internazionale per i Crimini di Guerra" è finanziato dal Governo degli Stati Uniti e dalle Multinazionali USA. E' come se fosse lo stesso governo di Washington a giudicare Milosevic! Il "Tribunale" è interessato a trascinare solo Milosevic in giudizio - non Sharon, né Pinochet, e nemmeno i generali assassini della Turchia: è un Tribunale imparziale? Finanziato dal Governo degli Stati Uniti e dai miliardari Americani, rifiuta i indagare sui crimini di guerra commessi dalla NATO e dai terroristi albanesi: è un Tribunale indipendente? Il suo modus-operandi getta a mare numerosi principi di legge: è un Tribunale legale? A conti fatti, quello che emerge è un "Tribunale" molto strano e molto anomalo. Milosevic dovrebbe sottoporsi al processo all'Aja? Quale che sia la vostra opinione sul precedente Presidente della Jugoslavia (e sul popolo che sarebbe il vero responsabile delle guerre nei Balcani), non dovrebbe questi avere gli stessi diritti, come tutti gli altri uomini, ad essere trattato da un Tribunale imparziale e neutrale, che rispetta la legge? In accordo con l'articolo 16 della raccolta di leggi approvate dal Parlamento su questo famoso Tribunale per i Crimini di Guerra, il Procuratore Generale deve agire indipendentemente e non essere soggetto agli ordini di alcun Governo. In accordo con l'articolo 32, le spese del Tribunale devono avere copertura dal Bilancio delle Nazioni Unite. Questi due principi sono costantemente gettati alle ortiche! Era proprio il Presidente del Tribunale, Gabriella Kirk McDonald, ad informare la Corte Suprema degli Stati Uniti: "Noi beneficiamo del forte appoggio di governi interessati e di singoli fautori, come il Segretario di Stato Albright. Quando era rappresentante permanente alle Nazioni Unite, la Albright ha lavorato con incessante decisione alla costituzione del Tribunale. Infatti, noi spesso facciamo riferimento a lei come la madre del Tribunale" [Discorso al Council for International Relations, New York, 12th May 2000]. Che madre incantevole Madeleine Albright! Proprio lei ha dichiarato su una televisione nazionale che lasciar morire 500.000 bambini iracheni era "giustificato"! Quando il procuratore generale del Tribunale per i Crimini di Guerra, Louise Arbour, ha incriminato Milosevic, indovinate chi ha informato per primo? Bill Clinton - due giorni prima di informare il resto del mondo. Come avviene adesso con il suo successore, Carla Del Ponte, spesso appariva in pubblico con ufficiali USA. Nel 1996 incontrava il Segretario Generale della NATO e il suo Comandante in Capo per l'Europa "per discutere la logistica della cooperazione", prima che venisse sottoscritto il "memorandum di mutua intesa". Allora, chi sta pagando il Pifferaio Magico? Tra il 1994 e il 1995, il Tribunale per i Crimini di Guerra ha ricevuto dal Governo degli Stati Uniti un assegno di $ 700.000 e un valore pari a $ 2,3 milioni di forniture di computer e materiale informatico.Dalla Fondazione Rockfeller ha ricevuto $ 50.000 e dallo speculatore multi-miliardario americano, George Soros, $ 150.000. Contemporaneamente, Soros ha finanziato il più importante giornale separatista albanese in Kosovo. Altri donatori: il gigante Time Warner, Imperatore dei media, (questo significa avere la spiegazione su alcuni silenzi dei media sulle parti oscure del Tribunale per i Crimini di Guerra). E ancora, il tanto decantato e pubblico "Istituto per la Pace", fondato dal Presidente Reagan.. Un folto numero dei giuristi del Tribunale per i Crimini di Guerra provengono dalla Coalition for International Justice, fondata e finanziata da ... sì, avete indovinato: George Soros. Nel maggio 2000, la Presidente del Tribunale, Signora McDonald, ringraziava il Governo degli USA per "aver provveduto generosamente con $ 500.000". E ancora: "L'imperativo morale di mettere fine alla violenza nella regione è condiviso da tutti, incluso il settore produttivo. Perciò, sono molto compiaciuta che una grande Compagnia abbia di recente donato una fornitura di computer del valore di $ 3.000.000". Con sponsor come questi, è facile capire come il Tribunale per i Crimini di Guerra persegua solo i nemici degli Stati Uniti. Questo spiega perché i leader nazionalisti croati e mussulmani rimangono impuniti per i loro crimini di pulizia etnica, compiuti durante le guerre dal 1991 al 1995.Questo vale anche per i leader dell'UCK e della NATO, che sono responsabili per una guerra illegale, per la deliberata distruzione di infrastrutture civili della Jugoslavia, e per aver usato armi proibite, come le bombe a grappolo e all'uranio impoverito. Le ragioni reali per le quali il Tribunale vuole perseguire Milosevic sono: 1) Il tentativo di far ricadere la colpa sul popolo Serbo, nella sua totalità, e quindi di nascondere il fatto che sono stati gli USA e la Germania a provocare e ad incoraggiare le guerre in Jugoslavia. 2) Il desiderio di intimorire un Capo di Stato che resisteva alla globalizzazione. 3) La necessità di riabilitare la guerra criminale della NATO, le cui simulazioni e menzogne mediatiche hanno fatto fallire il progetto. Dieci principi di legge violati dal Tribunale Internazionale per i Crimini di Guerra Il Tribunale, nei fatti, non rispetta diversi principi di legge assolutamente fondamentali: la separazione dei poteri (esecutivo, legislativo e giudiziario), parità fra accusa e difesa, presunzione di innocenza finché non si giunge ad una condanna . 1) Il Tribunale Internazionale per i Crimini di Guerra è stato fondato nel 1993 dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (15 membri dominati dai grandi poteri e dal veto USA), su insistenza del Senatore Albright. Il normale canale per creare un Tribunale come questo, come a suo tempo ha puntualizzato il Segretario Generale delle Nazioni Unite, avrebbe dovuto essere "attraverso un Trattato Internazionale stabilito ed approvato dagli Stati Membri che avrebbero permesso al Tribunale di esercitare in pieno nell'ambito della loro sovranità" [Rapporto No X S/25704, sezione 18]. Tuttavia, Washington ha imposto un'interpretazione arbitraria del Cap.VII della Carta delle Nazioni Unite, che consente al Consiglio di Sicurezza di prendere "misure speciali" per restaurare la pace in sede internazionale. Può essere la creazione di un Tribunale una "misura speciale"? E' arduo pensarlo! Il Tribunale Internazionale per i Crimini di Guerra è esso stesso non legale. 2) Senza precedenti nella storia della legge, il Tribunale ha avuto pieni poteri di costituire le proprie leggi e i regolamenti - regolamenti che nei fatti ha modificato frequentemente. Attraverso una procedura totalmente ridicola, il Presidente può apportare variazioni di sua propria iniziativa o ratificarle via fax ad altri giudici! (regola 6). 3) Vi è un'altra norma creativa. Le leggi del Tribunale Internazionale per i Crimini di Guerra hanno il carattere della retroattività, emanate e confezionate per adattarsi ai fatti, dopo l'evento. 4) Ancora peggio: il Procuratore (l'Accusa) può anche cambiare queste norme (la Difesa non lo può fare). E non esiste un "giudice per le indagini preliminari" che investighi sulle accuse e le contro-accuse.Il Procuratore conduce l'inchiesta nel modo che più gli aggrada. 5) La Corte può ricusare un avvocato della difesa o semplicemente non ascoltarlo, se lo ritiene "aggressivo" (regola 46). 6) Il Procuratore può, con il consenso dei giudici, rifiutare di concedere all'avvocato difensore di consultare libri, documenti, foto e altro materiale probatorio (regola 66). 7) Inoltre, la fonte testimoniale e di informazioni può essere tenuta segreta. Questo significa che agenti CIA possono riempire i dossier del Tribunale con accuse raccolte illegalmente (attraverso intercettazioni foniche, corruzione, furti) senza averle sottoposte ad alcun tipo di verifica o di controllo incrociato. 8) Anche i rappresentanti di altri Stati (partecipanti nel conflitto, ma alleati degli Stati Uniti) possono sottoporre informazioni confidenziali senza alcuna formale richiesta in merito. 9) Un atto di accusa può rimanere segreto "nell'interesse della giustizia" (regola 53), in modo tale che l'accusato non possa difendersi nei modi normali. 10) Un sospetto, cioè qualcuno che non è ancora stato imputato, può essere detenuto per novanta giorni prima di essere accusato, un tempo più che sufficiente per estorcergli forzatamente una confessione. Inoltre, la regola 92 stabilisce che le confessioni saranno ritenute credibili, a meno che l'accusato possa provare il contrario. Mentre, in qualsiasi altra parte del mondo, l'accusato è ritenuto innocente fino a quando non sia provata la sua colpevolezza. Nessun Tribunale nazionale, negli Stati Uniti o in qualsiasi altra parte del mondo potrebbe operare in una tale maniera platealmente illegale o arbitraria. Ma quando questo serve a condannare i nemici degli Stati Uniti d'America, allora i principi della legge non valgono più di tanto. In accordo con i padroni del mondo, il diritto appartiene ai più forti e ai più ricchi. **** 4. DOMENICO GALLO Diritto alla sbarra ["Il Ponte" n. 7/8, 2001, ripreso ne Il manifesto, 05 Settembre 2001] La vicenda dell'arresto e della consegna di Milosevic al Tribunale penale Internazionale per la ex Jugoslavia non può essere letta come una vittoria del diritto o un trionfo della giustizia internazionale, che riesce ad avere ragione - finanche - dei "dittatori", e a portarli alla sbarra, perché rispondano delle gravi ed ingiustificate sofferenze che hanno inflitto ai loro e agli altri popoli. Il processo a Milosevic non rappresenta la giusta sanzione per quelle massicce violazioni dei diritti dell'uomo, che si sono verificate nel teatro dei Balcani - ad opera di molteplici attori - e che il diritto internazionale giustamente bandisce come crimini internazionali, sotto il triplice profilo del genocidio, dei crimini contro l'umanità e della violazione delle leggi ed usi di guerra (crimini di guerra). Per sgombrare il campo dagli equivoci, è bene chiarire che non siamo in presenza di un processo attraverso il quale il diritto internazionale dei diritti umani ed in particolare il diritto bellico, da sempre considerato evanescente, comincia finalmente ad acquistare la solidità che deriva dalla sua effettività e riesce ad espletare la sua efficacia, superando la barriera dei particolarismi e delle sovranità nazionali. In effetti l'Istituzione di un Tribunale penale internazionale, competente per i crimini commessi - da tutti i belligeranti - nel territorio della ex Jugoslavia, se aveva una funzione, era proprio quella di rafforzare l'effettività delle norme internazionali che interdicono quei fatti che la coscienza morale dell'umanità aveva ripudiato qualificandoli come crimini internazionali. In tal modo, raffreddando le efferatezze e riducendole ad episodi criminali, il Tribunale avrebbe reso più facile la composizione pacifica dei conflitti, attraverso le strade maestre della politica e della diplomazia. Nel corpo di un conflitto aspro ed intricato, come quello Jugoslavo, caratterizzato dalla presenza di numerose linee di frattura, ideologiche, religiose, culturali e linguistiche, tuttavia, l'intervento coercitivo di un organismo giudiziario sopranazionale, o comunque sovraordinato alle parti in conflitto, avrebbe potuto svolgere una funzione positiva di contenimento ed appassimento del conflitto, soltanto ove fosse stata rigorosamente rispettata la metodologia giudiziaria, per sua natura portatrice di uno spazio istituzionale di terzietà e neutralità rispetto allo scontro diretto fra i portatori degli interessi in conflitto. Il metodo giudiziario, infatti, è quello di depoliticizzare gli avvenimenti, frammentandoli in segmenti, che vengono analizzati nella prospettiva della emersione delle responsabilità meramente individuali. L'accertamento delle responsabilità individuali consente di depoliticizzare il conflitto e di farlo uscire dal circolo vizioso delle responsabilità e vendette collettive che si autoalimentano, nello stesso tempo pone un freno al delirio di onnipotenza che normalmente è alimentato dalla sensazione di impunità. Alla luce di tali osservazioni, già nell'atto istitutivo del Tribunale penale internazionale, vi erano delle premesse sbagliate, in quanto, a fronte della totale discrezionalità dell'azione penale tipica dei sistemi anglosassoni, non veniva posta nessuna cautela procedurale nei confronti dei capi di Stato e di Governo, sebbene in tutti gli ordinamenti, anche i più democratici, esistono cautele procedurali o sostanziali per gli atti compiuti dagli individui-organi posti a vertici delle istituzioni (dalle autorizzazioni a procedere per i parlamentari a talune immunità o privilegi giurisdizionali per i capi di Stato). Ciò comportava il rischio di una precoce "politicizzazione" dell'attività del Tribunale penale Internazionale e della strumentalizzazione della sua attività da parte di Stati terzi. L'esperienza concreta dell'attività del Tribunale nel suo complesso (tenuto conto soprattutto dell'attività del suo organo di impulso, la Procura), dimostra che quelle preoccupazioni non erano infondate, anzi si sono dimostrate talmente consistenti che, dopo la guerra del Kosovo, il Tribunale ha cambiato ruolo e funzione rispetto all'impostazione originaria che lo aveva partorito. Questa pericolosa "politicizzazione" del Tribunale si è verificata già durante la guerra di Bosnia, con l'incriminazione "precoce" del leader Serbo Karadzic, (resa pubblica il 25 luglio 1995), mentre gli altri responsabili politici della tragedia, rimanevano sostanzialmente al riparo dell'iniziativa giudiziaria del Tribunale. In questo modo il Procuratore del TPI delegittimava sostanzialmente una della parti in conflitto, a tutto vantaggio delle altre, finendo persino per intralciare il negoziato di pace, che sarebbe sfociato, poi, negli accordi di Dayton. E' significativa, a questo riguardo, l'intervista rilasciata dal Presidente (all'epoca) del Tribunale penale internazionale Antonio Cassese, il quale sull'Unità del 26 luglio 1995, così si esprimeva: "mi sembra difficile per un ministro degli affari esteri di un paese occidentale sedersi al tavolo negoziale e firmare un trattato con una persona incriminata per azioni contro l'umanità e genocidio. Qualcuno mi chiedeva qualche giorno fa se l'incriminazione di Karadzic non poteva essere un ostacolo ad un accordo di pace. Si, mi chiedo, ma a quale pace? Che senso ha un trattato di pace che non rispetti i diritti dei popoli, che raggiunto con Karadzic significherebbe operare un colpo di spugna su crimini orribili?". Questo tipo di attitudine esponeva il TPI ad una sovraesposizione politica che finiva per contraddire il fine di giustizia sul quale si fondava la funzione stessa del Tribunale. Del resto l'indipendenza politica del Tribunale è stata fortemente limitata, fin dall'origine, dallo stravolgimento dei criteri del finanziamento dell'Istituzione. E' noto, infatti, che lo Statuto del Tribunale, come approvato dal Consiglio di Sicurezza, prevedeva che le spese del suo funzionamento dovevano essere poste a carico del bilancio ordinario della Nazioni Unite. Poiché nel bilancio ordinario non c'erano i quattrini necessari, l'Assemblea Generale ha istituito un fondo separato per le spese del Tribunale, invitando i paesi membri a elargire contributi volontari. In questo modo il Tribunale è stato finanziato da paesi ed istituzioni private che avevano interesse alla sua attività, in pratica quasi esclusivamente dagli Stati Uniti e da Fondazioni private americane. In alcune occasioni pubbliche la Presidente del Tribunale, Gabrielle Kirk McDonald, ha pubblicamente ringraziato il Governo degli Stati Uniti per la sua generosità ed addirittura ha qualificato l'ex segretario di Stato, Madeleine Albright, come la "madre" del Tribunale (cfr. Danilo Zolo, "Chi dice umanità", Einaudi, 2000). I finanziamenti degli Stati Uniti non sono stati del tutto disinteressati, né incondizionati. Basti ricordare che, nel maggio del 1999, mentre l'attacco della Nato contro la Jugoslavia era al suo culmine, il Congresso americano, su proposta del Presidente Clinton, ha stanziato 27 milioni di dollari per assistere il Tribunale, in particolare per la raccolta di testimonianze a carico delle milizie serbe, con l'invio di esperti e personale specializzato ai confini del Kosovo. Date queste premesse di ambiguità, il cambiamento del ruolo e della funzione del Tribunale internazionale si è completamente realizzato a seguito dell'intervento armato della Nato contro la Jugoslavia di Milosevic per le note vicende del Kosovo. Con il ricorso ai bombardamenti contro uno dei soggetti politici della vicenda dei Balcani, la Nato, da ambiguo custode della legalità internazionale in Bosnia, su mandato dell'Onu, si è trasformata in una delle parti in conflitto, è diventato un belligerante a tutti gli effetti, operante nel teatro dei Balcani. Come tutti gli altri belligeranti, anche la Nato si è trovata - astrattamente - sottoposta alla competenza giurisdizionale del TPI. Malgrado ciò, e malgrado il grave illecito internazionale commesso dalla Nato, con il ricorso all'aggressione militare contro la Jugoslavia, il Procuratore (dell'epoca) del Tribunale, la canadese Louise Arbour, non ha trovato alcuna difficoltà ad avvalersi, durante la guerra, dei servigi della Nato, utilizzandola come "polizia giudiziaria" del TPI. Così, in piena guerra, il 27 maggio del 1999 la Procuratrice ha annunziato di aver spiccato un mandato di cattura contro Milosevic ed altre quattro persone, ai vertici politico-militari della Federazione Jugoslava, avendo acquisito concreti elementi di colpevolezza, a carico di costoro, a seguito delle indagini effettuate con la collaborazione della Nato. Nell'occasione Louise Arbour, ha dichiarato di essere consapevole della possibile interferenza dell'azione penale con il negoziato per il raggiungimento della pace e, sia pure con parole più caute di Cassese, ha dichiarato che: "le incriminazioni avanzate sollevano il problema se gli accusati siano credibili come garanti di un qualsiasi accordo di pace." Attraverso l'incriminazione "precoce" di Milosevic ed il silenzio sui crimini commessi dalla Nato, il più grave dei quali (il bombardamento della tv serba) era stato commesso il 23 aprile, l'Organo titolare dell'azione penale, ha schierato il Tribunale Penale Internazionale contro la Jugoslavia, proprio nel momento in cui questo paese era sottoposto agli attacchi più duri da parte della Nato. In questo modo il Tribunale è stato - obiettivamente - trasformato in uno strumento funzionale alla guerra in corso, attraverso la delegittimazione totale del nemico dell'Occidente. Non a caso, il Presidente degli Stati Uniti, Clinton, appena appresa la notizia dell'incriminazione di Milosevic ha dichiarato: "l'incriminazione conferma che la nostra guerra è giusta". Il sodalizio fra l'azione bellica degli Stati Uniti e l'iniziativa giudiziaria del Tribunale penale è stato ulteriormente confermato dalla "taglia" di 5.000.000 di dollari che Madaleine Albright ha promesso a coloro che avessero collaborato alla cattura di Milosevic ed alla sua consegna al Tribunale penale internazionale. In questo modo è stato creato un nesso strettissimo fra l'uso della forza (da parte della Nato) ed il ricorso all'azione giudiziaria (del TPI), di modo che il Tribunale è diventato uno strumento per proseguire la guerra con altri mezzi. Il diritto, quindi, è stato strumentalizzato e messo al servizio della forza. La prova del nove della mancanza di imparzialità della Procura del TPI, l'ha fornita, invece, il successore di Louise Arbour, la svizzera Carla Del Ponte, la quale avendo deciso di non procedere in ordine ai crimini commessi dalla Nato, ha annunziato al Consiglio di Sicurezza, il 2 giugno 2000, di essere "molto soddisfatta" (very satisfied) di procedere all'archiviazione delle denunzie contro la Nato. Attraverso la consegna di Milosevic al TPI, questo processo di asservimento del diritto alla forza giunge al suo atto finale, come giunge a compimento il rovesciamento della funzione originaria del TPI, da Tribunale internazionale, imparziale presidio del diritto per conto della Comunità internazionale, a Tribunale dei vincitori, utile per legittimare la c.d. azione umanitaria della Nato e per portarne a compimento gli effetti. Questo non vuol dire che Milosevic sia innocente o non possa essere processato. Il diritto di processare Milosevic (ovvero di consegnarlo al TPI) spettava al popolo Jugoslavo. La consegna illegale di Milosevic, al Tribunale internazionale, attraverso il colpo di mano compiuto dal governo Dijndijc, priva il popolo serbo della possibilità di fare i conti con la sua storia ed apre la strada alla creazione di nuovi miti nazionalistici, seminando i germi per i conflitti del futuro. ***** 5. Fulvio Grimaldi DIFENDERE MILOSEVIC E' DIFENDERE LA LIBERTA' E LA SOVRANITA' DEI POPOLI Il 24 marzo scorso, anniversario dell'aggressione Nato alla Jugoslavia, si è svolto a Belgrado un convegno internazionale, organizzato dalle sinistre serbe, su cause e conseguenze dell'aggressione imperialista. L'ex-presidente Slobodan Milosevic, che era stato sconfitto nelle elezioni presidenziali da una coalizione di forze finanziate e istruite dagli USA e da altri paesi Nato, al termine di una campagna segnata da minacce militari e ricatti economici di ogni genere, rischiava l'arresto e l'estradizione al tribunale dell'Aja, un tribunale-farsa, voluto e finanziato dagli USA, creato dall'ONU in violazione del suo stesso statuto, specializzato in montature contro dirigenti serbi. Si costituì quindi il Comitato Internazionale di Difesa di Slobodan Milosevic (ICDSM), formato da 80 tra giuristi, esponenti della cultura, politici, giornalisti di 30 paesi. Ne sono presidenti l'ex-ministro della giustizia statunitense e leader dei diritti civili e del movimento antimperialista, Ramsey Clark, e il parlamentare bulgaro prof. Velko Valkanov, presidente dell'Unione Antifascista Bulgara. Chi scrive ne è vicepresidente e referente per l'Italia. Nel nostro paese l'ICDSM opera in stretta collaborazione con il Tribunale Ramsey Clark per i crimini di guerra della Nato. In poche settimane l'ICDSM ha raccolto milioni di firme in tutto il mondo contro l'arresto di Milosevic, nel frattempo attuato in forme totalmente illegali e su ricatto finanziario USA e contro la sua illegale detenzione. L'ICDSM ha fornito al collegio di difesa di Milosevic, nel corso dei tre mesi di detenzione a Belgrado, un costante monitoraggio giuridico della legalità internazionale e si è adoperato per pubblicizzare tutte le illegalità che caratterizzavano il trattamento di Milosevic da parte delle autorità serbe, installate dopo il pogrom filo-Nato dell'ottobre 2000. In particolare, è stato denunciato come la detenzione di Milosevic, prorogata illegalmente per tre volte in totale assenza di prove a suo carico fornite dalle centinaia di testimoni ascoltati per l'imputazione di abuso d'ufficio e abuso di poteri, violasse i principi fondamentali degli ordinamenti giuridici nazionale ed internazionale. L'ICDSM ha poi seguito la vicenda di Milosevic, in particolare con l'avvocato Christopher Black e altri legali del prestigioso studio canadese Mandel, dalla consegna dell'ex-presidente agli USA e poi al Tribunale della Nato all'Aja, avvenuta su ennesimo ricatto finanziario USA e deciso in solitudine, contro le decisioni del Parlamento e della Corte Suprema e in violazione delle Costituzioni jugoslava e serba, dal quisling serbo Zoran Djindjic, un losco personaggio, già al soldo dei servizi segreti tedeschi, fuggito in Germania all'inizio dell'aggressione dove ha aiutato la Nato a colpire obiettivi civili in Jugoslavia. Va ricordato che negli ultimi giorni lo stesso presidente Kostunica si è dissociato politicamente da Djindjic, ritirando il suo partito dalla coalizione DOS al governo, e ha accusato il gruppo del primo ministro di essere espressione della malavita organizzata, un fatto noto da tempo a tutti gli osservatori internazionali. dapest. Anche le costanti violazioni di diritto e i soprusi consentiti dai regolamenti del sedicente Tribunale dell'Aja e inflitti a Milosevic (come il prolungato rifiuto degli incontri con i famigliari, l'isolamento, le perquisizioni addirittura di nipoti di pochi anni, l'arrogante e scorretta interruzione audio delle dichiarazioni di Milosevic in aula) sono documentate e denunciate dall'ICDSM che, in aggiunta, continua a monitorare le condizioni di salute dell'ex-presidente. Fu l'ICDSM a denunciare come i diritti sanitari del detenuto fossero sistematicamente ignorati e violati, anche nel corso di un infarto che lo colpì a metà maggio. Accanto alla stretta sorveglianza giuridica e alla denuncia dei costanti abusi compiuti dai suoi carcerieri, l'ICDSM si propone anche di controbattere alla micidiale opera di disinformazione e intossicazione attuata dai media ai danni della Jugoslavia, della Serbia e, soprattutto, di Slobodan Milosevic, che costituisce in sé un crimine contro l'umanità. Riteniamo che Milosevic sia il personaggio storico più diffamato dai tempi di Giuliano l'Apostata, un imperatore illuminato che ebbe il coraggio di opporsi al dilagante controllo della Chiesa Cristiana sui beni pubblici e sui cittadini dell'Impero. La sua figura e opera sono state aggredite da una macchina da guerra di menzogne e mistificazioni, poi risultate tutte fondate sull'invenzione di specializzate agenzie USA di disinformazione, cui quasi tutti i media sono obbedienti fin dai tempi dell'aggressione all'Iraq nella Guerra del Golfo. Nel frattempo il tempo è stato galantuomo e si sono dissolte le diffamazioni circa la pulizia etnica ai danni degli albanesi (inventata, contrariamente a quella effettuata dagli albanesi, sotto l'egida Nato, ai danni di centinaia di migliaia di serbi), le fosse comuni, le stragi attribuite ai serbi a Racak, in Kosovo, o a Sarajevo e Sebrenica in Bosnia, il presunto nazionalismo di un presidente che ha dovuto costantemente difendersi dalle strategie divisorie dell'imperialismo e dei nazionalismi etnici e che si è invece adoperato fino all'ultimo per la pacifica convivenza di tutte le etnie, culture, religioni, anche accogliendo un milione di profughi tra i quali Rom, ebrei, goranci, bulgari, ungheresi, cacciati dall'UCK e da Tudjman, fino all'accusa da sinistra di una resa alla globalizzazione liberista, allorché fu invece proprio Milosevic a porre un freno alle privatizzazioni imposte dai ricatti FMI e a salvaguardare uno stato sociale che vantava, ultimo in Europa, servizi sociali come sanità e scuola pubblici gratuiti (ora in corso di privatizzazione), che escludeva la cessione di settori strategici a maggioranze straniere, che garantiva alle maestranze il 60% delle imprese privatizzate, che aveva ricostruito la Zastava, ora in vendita al migliore offerente. Mi ha detto Slobo nell'ultimo colloquio che ha avuto, nella sua residenza, con un giornalista straniero: «Cercano il mio cosiddetto "tesoro". Lo hanno cercato in Svizzera e le autorità svizzere hanno cercato e risposto che non c'era nulla. Hanno additato Cipro, dove stavano le bare refrigerate per i caduti segreti USA, e il governo di Cipro ha negato con indignazione. Sa dove si trova il "tesoro di Milosevic"? Sta nei ponti jugoslavi ricostruiti, sta nel cibo e nelle medicine con cui abbiamo potuto salvaguardare l'esistenza del mio popolo sotto embargo, sta nella Zastava ricostruita in un anno al 70%». Il resto, su questa figura coraggiosa ed integra, profondamente antimperialista e patriottica, lo può imparare chiunque si sia dato cura di ascoltarne le dignitose e ferme parole al Tribunale dell'Aja, prima che un presidente asservito agli USA gli tagliasse il microfono. Lo stanno apprendendo anche i serbi, già ingannati dalle bugie e false promesse dell'imperialismo, che di giorno in giorno vanno rafforzando, con manifestazioni di decine di migliaia di persone, il Partito Socialista Serbo, unica opposizione, repressa e perseguitata dal regime "democratico" installatosi col colpo di stato del 5 ottobre, che ha reso più disperata che mai la situazione economica del paese, lo ha affidato alla mafia e ne ha svenduto dignità, sovranità e indipendenza. L'ICDSM, in collaborazione con il Tribunale Clark (tribunaleclark at mclink.it), prepara ora un convegno nazionale sulla natura del Tribunale dell'Aja e sulle violazioni del diritto internazionale di cui è protagonista. Analoghi convegni si svolgeranno in altri paesi, fino a culminare, a ottobre, con una grande assemblea-manifestazione all'Aja, contro il tribunale-farsa, contro la Nato, per la Jugoslavia e la liberazione di Milosevic. **** 6. Danilo Zolo, Processo a Milosevic: un giudizio universale made in Usa (Il Manifesto del 08/9/2001) 1. In tempi di globalizzazione il processo contro Slobodan Milosevic può sembrare un evento del tutto naturale. La giustizia penale ha cessato di essere un affare "privato" dei singoli Stati nazionali e si è internazionalizzata. Sembra naturale e giusto che un capo di Stato, ritenuto il massimo responsabile delle tragedie balcaniche dell'ultimo decennio, risponda dei suoi crimini di fronte ad un tribunale internazionale, com'è il Tribunale dell'Aja. Si tratta di un Tribunale istituito dalle Nazioni Unite e che presenta dunque tutti i crismi formali della legalità internazionale. I suoi giudici, grazie al loro prestigio e alla loro austera imparzialità, rappresentano i valori di una giustizia universale. Si può pensare, insomma, che il Tribunale dell'Aja giudichi e condanni in nome e per conto dell'umanità intera. Può sembrare naturale e giusto, ma si tratta comunque di un evento senza precedenti. Non era mai capitato, nella storia dell'umanità, che un capo di Stato venisse incriminato, imprigionato e processato da una corte internazionale. E, si badi bene, tutto ciò non per le sue responsabilità politiche in quanto capo di Stato, ma per crimini che è accusato di aver personalmente commesso nel corso della guerra. Se si volesse proprio trovare un precedente, occorrerebbe risalire all'incriminazione, alla fine della prima guerra mondiale, del Kaiser Guglielmo II di Hohenzollern, accusato dai vincitori di "oltraggio supremo alla morale internazionale e alla santità dei trattati". Ma, come è noto, il processo a Guglielmo II non fu mai celebrato perché l'Olanda, dove il Kaiser si era rifugiato, non concesse l'estradizione. E la Germania non riconobbe la legalità del tribunale internazionale che le potenze dell'Intesa intendevano istituire. Nel caso di Milosevic è invece accaduto - e anche questo è un evento senza precedenti - che un ex-capo di Stato sia stato direttamente consegnato dalle autorità politiche del suo paese a un tribunale "straniero". 2. Può sembrare naturale e giusto, ma Slobodan Milosevic si rifiuta di ammetterlo. Contesta clamorosamente la legalità internazionale del Tribunale che lo tiene recluso e che lo sta processando. E per questo, con spavalda coerenza, ne respinge le procedure, al punto di non voler nominare dei propri avvocati di fiducia e di ricusare il difensore d'ufficio. Non solo: Milosevic accusa le attuali autorità del suo paese di averlo illegalmente "venduto" a un Tribunale che, sotto le apparenze della giustizia internazionale, in realtà è al servizio della Nato e in particolare degli Stati Uniti. Il Tribunale dell'Aja, sostiene Milosevic, è un'assise giudiziaria modellata secondo le convenienze strategiche delle potenze occidentali e che manca quindi di qualsiasi imparzialità e autonomia politica. La verità, grida Milosevic in una tragica, allucinata solitudine, è dalla sua parte e prevarrà sulle menzogne delle potenze che lo hanno militarmente sconfitto e che ora intendono umiliarlo e degradarlo anche sul piano morale. Essere sconfitti in guerra è normale, ma essere processati dal nemico è una sconfitta totale e irreparabile, che non può essere subita se non accettando di essere banditi dall'umanità, disumanizzati. E' questa l'estrema trincea sulla quale combatte l'ex Presidente della Repubblica Federale Jugoslava. 3. La verità è dalla parte di Milosevic? Sarebbe sicuramente azzardato sostenerlo, almeno nel senso che sul leader serbo gravano pesanti responsabilità politiche, che egli non ha mai inteso riconoscere. Il suo nazionalismo estremo è stata una delle concause - certo non la sola, e forse neppure la più rilevante - che hanno portato prima alla guerra di Bosnia (e alle atrocità dell'epurazione etnica) e poi alla guerra del Kosovo. E molto probabilmente anche le accuse di corruzione che i magistrati jugoslavi avevano formulato contro di lui non erano infondate. Il suo regime era solo apparentemente democratico: nella sostanza si reggeva su una struttura di potere corrotta e dispotica. Per queste ragioni egli meritava sia l'allontanamento dalla vita politica jugoslava, sia, probabilmente, una severa condanna penale. Ma, detto questo, le brucianti accuse che Milosevic rivolge contro il Tribunale dell'Aja sono totalmente infondate? Sono le farneticazioni di un ex-comunista e nazionalista balcanico, che non riesce a prendere atto dei nuovi equilibri politici del mondo? Sono espressione volgare e arrogante, come è stato sostenuto da una larga parte della stampa europea, della mentalità dispotica di un uomo abituato a comandare e a eliminare fisicamente i suoi avversari? Sono un delirio di onnipotenza? 4. Milosevic ha torto, sul piano giuridico, quando sostiene l'illegalità internazionale del Tribunale dell'Aja perché, a suo parere, quel Tribunale avrebbe dovuto essere istituito dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite e non dal Consiglio di Sicurezza. Milosevic sbaglia perché l'Assemblea Generale non ha certamente il potere di dar vita a Tribunali penali internazionali, non disponendo, come è noto, di alcun potere deliberativo. Da questo punto di vista Milosevic è un pessimo difensore di se stesso. Ciò non toglie che l'illegalità internazionale del Tribunale dell'Aja sia stata sostenuta - e sia sostenibile - con rigorosi argomenti giuridici, come ha autorevolemte fatto, ad esempio, Gaetano Arangio Ruiz. Soltanto in base ad una contestatissima teoria dei "poteri impliciti" del Consiglio di Sicurezza si è tentato di suffragare l'atto di arbitrio che il Consiglio di Sicurezza, fortemente stimolato dagli Stati Uniti, ha commesso. Nessuna norma del diritto internazionale generale, né, tanto meno, la Carta delle Nazioni Unite autorizzava il Consiglio di Sicurezza a creare ex nihilo un organismo giudiziario: un organismo che non è altro che un Tribunale speciale, con poteri retroattivi e con una giurisdizione non chiaramente definita. Si è trattato di una palese violazione di qualsiasi principio del rule of law internazionale e della stessa dottrina dei diritti dell'uomo. Dunque, Milosevic non ha torto nel sostenere che la legalità internazionale del Tribunale dell'Aja non è affatto sicura. 5. Milosevic sostiene che il Tribunale dell'Aja è alle dipendenze della Nato e in particolare degli Stati Uniti, che non offre perciò alcuna garanzia di imparzialità, che non è, propriamente, neppure una istituzione giudiziaria. Sembra difficile dargli torto. E' sufficiente tener conto che gli Stati Uniti sono in pratica gli esclusivi finanziatori del Tribunale - miliardi di erogazioni in denaro, in materiale elettronico, nella fornitura di servizi e di personale specializzato - in palese violazione dell'art. 32 dello Statuto del Tribunale, che mette le sue spese a carico del bilancio ordinario delle Nazioni Unite. E basta considerare che la Procura del Tribunale - rappresentata prima dalla canadese Louise Arbour e poi dalla svizzera Carla del Ponte - ha stabilito, in violazione dell'art. 16 dello Statuto, rapporti di sistematica collaborazione con le autorità politiche e militari della Nato. E questo è accaduto sia prima che dopo la "guerra umanitaria" della Nato contro la Repubblica Jugoslava. In pratica la Nato opera come forza di polizia giudiziaria a favore della Procura del Tribunale, ricevendone segretamente gli atti di incriminazione e provvedendo ad applicarli manu militari. Anche l'incriminazione e l'estradizione di Milosevic sarebbe stata impossibile senza la collaborazione militare della Nato, oltre che di Scotland Yard e dell'Fbi. Infine, non può essere sottaciuto che, in cambio della sua preziosa collaborazione, la Nato ha ottenuto dal Procuratore Carla del Ponte l'archiviazione delle denunce formalmente presentate a suo carico da autorevoli giuristi occidentali. E si è trattato di una archiviazione del tutto irrituale, che non solo Harold Pinter, ma persino un ex presidente del Tribunale dell'Aja come Antonio Cassese, ha severamente criticato. Questa decisione, del tutto scontata sul piano politico, rappresenta tuttavia la prova del carattere politico, appunto, e non giudiziario dell'attività svolta dal Procuratore Carla del Ponte. Questo singolare magistrato opera e si esprime apertamente come una sorta di "commissario politico" della Nato e degli Stati Uniti. Non perde occasione per riferirsi al Dipartimento di Stato come al proprio committente, al punto che, il giorno successivo all'estradizione di Milosevic, ha comunicato con orgoglio ai giornalisti di aver ricevuto le congratulazioni di Madeleine Albright, da lei affettuosamente chiamata ancora una volta, come è consuetudine fra il personale del Tribunale, the mother of the Tribunal. 6. Milosevic, nonostante le sue violente proteste, verrà condannato a una pena molto severa e passerà il resto della sua vita in carcere perché così vogliono "i vincitori": gli Stati Uniti e le altre potenze occidentali. Il ruolo che gli è stato assegnato è quello del capro espiatorio. Il sacrificio collettivo di una vittima, ci ha insegnato Réné Girard, ha sempre un effetto redentivo, diffonde sentimenti di sicurezza e circonda i vincitori di una aureola di trascendente innocenza. Tutto questo, naturalmente, dovrebbe avere poco a che fare con le funzioni di un ordinamento giuridico moderno, nazionale o internazionale. E non ha nulla in comune con una politica di pacificazione e di riscatto dei paesi balcanici. Ma ciò che conta assai più, dal punto di vista dei committenti del sacrificio, sono gli esiti strategici dell'intera vicenda. La cattura, la degradazione morale e la condanna di Milosevic contribuiranno a rafforzare anche in questo caso la strategia imperiale che le potenze occidentali hanno sempre perseguito con i loro interventi politici e militari nei Balcani, dal Congresso di Berlino, nel 1878, a Rambuillet, nel 1999. Il loro obiettivo è sempre stata la frammentazione territoriale della regione balcanica e la sua subordinazione politica ed economica. **** 7. Michael Mandel, I non imputati dell'Aja [Il manifesto - 22 Luglio 2001] [docente di diritto presso la Osgoode hall Law School all'Università di York, Toronto, Canada. Ha guidato un team internazionale di avvocati e professori che si è battuto e si batte perché i leader della Nato vengano accusati di crimini di guerra per la campagna di bombardamenti contro la Jugoslavia del 1999]. "Esperti legali" citati ieri dalla stampa hanno liquidato la denuncia-condanna del tribunale dell'Aja da parte di Slobodan Milosevic nelle prima udienza davanti ai giudici, definendola "non utile alla sua difesa" e sostenendo che "è improbabile che essa possa contribuire al suo proscioglimento". E' davvero spassoso. Le probabilità che ha Milosevic di ottenere un processo equo da questa corte sono tante quante ne aveva di sconfiggere la Nato in un conflitto aereo. In realtà c'è molto da dire a favore della tesi di Milosevic, secondo cui il tribunale è un "falso tribunale, e le imputazioni false imputazioni" (grammatica a parte). E quando ha detto "lo scopo di questo tribunale è produrre false giustificazioni per i crimini di guerra della Nato commessi in Jugoslavia", egli in realtà stava semplicemente citando l'uomo che ha scritto lo statuto del tribunale per Madeleine Albright: "Il tribunale è stato largamente percepito all'interno del governo come poco più di uno stratagemma di pubbliche relazioni e uno strumento politico potenzialmente utile... Le incriminazioni sarebbero servite anche a isolare dal punto di vista diplomatico i leader che avessero trasgredito, a rafforzare i loro rivali interni e a fortificare la volontà politica internazionale di impiegare sanzioni economiche o usare la forza" ha scritto proprio Michael Scharf su The Washington Post il 3 ottobre 1999). Trattare il tribunale come un mero strumento di propaganda della Nato è, in realtà, il solo modo di spiegarne le violazioni dei più fondamentali principi di imparzialità giudiziaria, da un piccolo dettaglio come l'utile link alla Nato sul sito web del Tribunale (eliminato solo molto di recente), fino all'incriminazione dello stesso Milosevic il 22 maggio 1999, nello stesso momento in cui i "danni collaterali" dei bombardamenti Nato stavano disgustando il mondo. Quasi tutte le accuse in quella incriminazione concernevano azioni che sarebbero avvenute dopo l'inizio dei bombardamenti, sulla base di prove non rivelate fornite dalla stessa Nato. In altre parole, una incriminazione per eventi che erano avvenuti, in alcuni casi, soltanto sei settimane prima nel mezzo di quella che era ancora una zona di guerra. Una accusa imparziale avrebbe considerato queste prove molto sospette e inaffidabili, forse la base per una indagine da compiere dopo la fine dei bombardamenti, ma che dire di una incriminazione durante la guerra? Quale poteva essere lo scopo se non, per usare le parole di Milosevic, "produrre false giustificazioni per i crimini di guerra della Nato commessi in Jugoslavia"? E questo è l'altro punto, in realtà il punto fondamentale. Perché se all'Aja ci fosse un tribunale onesto, Milosevic sarebbe soltanto uno delle circa due dozzine di capi di governo e di stato, passati e presenti, da Aznar, Blair, Chrétien e Clinton e così via, in ordine alfabetico. Per non parlare dei loro ministri degli esteri, della difesa, dei generali e dei loro portavoce. Essi hanno commesso ciascuno dei crimini di guerra compiuti da Milosevic, e anche di più. Per "di più" intendo il "crimine contro la pace" della guerra di aggressione, ciò che la sentenza di Norimberga chiamava "il supremo crimine internazionale, che differisce dagli altri crimini di guerra solo per il fatto che contiene in se stesso i mali di quelli messi insieme". "Qualunque tipo di guerra" Ecco che cosa disse il giudice Robert Jackson sull'argomento a Norimberga: "Qualunque ricorso alla guerra - qualunque tipo di guerra - è un ricorso a mezzi di per sé criminali. La guerra inevitabilmente è un susseguirsi di uccisioni, attentati, privazioni della libertà e distruzione di beni. Una guerra onestamente difensiva è, naturalmente, legale e salva dalla criminalità coloro che la conducono in modo legittimo. Ma atti di per sé criminali non possono essere difesi mostrando che coloro che li hanno commessi erano impegnati in una guerra, quando la guerra stessa è illegale. La conseguenza davvero minima dei trattati che considerano illegale la guerra d'aggressione è spogliare coloro che incitano alla guerra, o che ne intraprendono una, di qualunque appiglio la legge abbia mai fornito, e lasciare che i signori della guerra siano sottoposti al giudizio in base ai principi solitamente accettati della legge penale". La guerra della Nato è stata una violazione consapevole del diritto internazionale e della Carta delle Nazioni Unite. Nessuno ha mai seriamente dubitato della sua illegalità. Un "intervento umanitario"? Da quando in qua gli Stati Uniti, nei loro interventi militari, hanno agito per motivi umanitari? Gli Usa hanno una storia di aggressioni dovute unicamente ai loro interessi nel mondo, e nessun rispetto per le vite dei civili: dalle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, all'uso del napalm in Vietnam e i bombardamenti a tappeto della Cambogia, fino alla distruzione dell'Iraq e la morte di centinaia di migliaia di bambini iracheni attraverso un brutale regime di sanzioni. Questo è il paese che ha impedito al Consiglio di sicurezza dell'Onu di intervenire in Ruanda perché non era disposto ad aiutare e non voleva fare brutta figura. Questo è il paese che ha sostenuto regimi repressivi da Somoza, a Pinochet, a Suharto. E non dimentichiamo che gli Stati Uniti sono un paese che notoriamente vìola i diritti umani dei suoi stessi cittadini: un paese fatto di segregazione razziale, di povertà in mezzo a ricchezze favolose, di brutalità da parte della polizia, di prigioni che scoppiano, di pena di morte. E non dimentichiamo l'enorme responsabilità morale dei paesi Nato per la violenza in Jugoslavia - dalle politiche economiche aggressive che per prime hanno precipitato la Jugoslavia nella depressione e nella guerra civile, alla sponsorizzazione sulla base dei confini etnici delle repubbliche balcaniche, che hanno lasciato ampie minoranze al loro interno in attesa solo di subire la "pulizia etnica" da parte delle maggioranze, all'appoggio fornito all'esercito di liberazione del Kosovo [UCK], la distruzione di qualunque chance di pace, dagli accordi Vance-Owen in Bosnia alla farsa di Rambouillet, e la stessa campagna di bombardamenti. Il nuovo ruolo della Nato L'esigenza di inventare un ruolo nuovo per la Nato dopo la Guerra fredda, l'instancabile campagna degli Usa per minare le Nazioni Unite, l'industria delle armi, il desiderio di testare le armi, una guerra dimostrativa "pour découragér les autres" (come Saddam) che pensano di potersi opporre alla volontà degli americani, una guerra contro un nemico debole che potesse essere combattuta senza perdere una sola vita americana in combattimento, lucrosi contratti di ricostruzione, un sicuro oleodotto sul Mar Caspio, persino Monica Lewinsky - tutto ciò spiega questa guerra meglio dei motivi umanitari. Perciò mettiamo questa guerra nella categoria della classica guerra d'aggressione illegale, classicamente travestita come le altre da guerra umanitaria. Ora, lo Statuto del tribunale dell'Aja non contempla la "guerra d'aggressione" come un crimine. Gli Usa non lo hanno voluto, così come non lo hanno voluto nello statuto di Roma del 1998 (che gli Usa non hanno ancora ratificato), un fatto che di per sé mina la legittimità della corte. Ma la legge contempla i "crimini contro l'umanità", includendo in ciò "l'omicidio" e "altri atti inumani". L'omicidio è definito universalmente come il causare la morte, intenzionalmente (il che include consapevolmente) senza giustificazioni legali. E le vittime civili dei bombardamenti? I leader della Nato hanno pianificato e messo in atto una campagna di bombardamenti, sapendo che essa era contraria ai principi più fondamentali del diritto internazionale e che avrebbe causato la morte e l'invalidità di migliaia di civili: bambini, donne e uomini. Lo hanno ammesso ripetutamente dicendo "ci dispiace, ma questo è ciò che succede in una guerra", e hanno continuato a bombardare. Già solo per questo, ossia l'uccisione consapevole di centinaia e centinaia di civili - tra cui molti bambini - al di fuori della legge, questi leader sono colpevoli di omicidio di massa. Milosevic è stato incriminato per l'omicidio di 385 vittime, poi più recentemente nuovamente incriminato per un totale di 671. Bene! I leader della Nato hanno ucciso almeno 500 persone (secondo Human Right Watch e Amnesty Internationa), ma forse più di 1.500 secondo le nuove autorità di Belgrado. E poi ci sono le Convenzioni di Ginevra e le "leggi e costumi di guerra" per le quali è un crimine, anche in una guerra legale, uccidere e ferire civili intenzionalmente o per incuria, ossia non curarsi di colpire solo target militari. Tuttavia, secondo ammissioni rese in pubblico per tutta la durata della guerra (ricordate Jamie Shea con gli occhiali da sole e il suo sciocco sorrisetto?), secondo resoconti di testimoni oculari e secondo precise prove circostanziali mostrate sugli schermi televisivi del pianeta durante i bombardamenti - prove sufficienti per una condanna in qualunque tribunale del mondo - questi leader della Nato hanno deliberatamente e illegalmente preso di mira luoghi e cose di interesse militare scarso o nullo: ponti cittadini, fabbriche, ospedali, mercati, quartieri in centro o residenziali, studi televisivi. Con le cluster bomb a frammentazione che hanno minato il territorio, i target ambientali con la distruzione di interi complessi chimici e l'uso massiccio di uranio impoverito. Le stesse prove mostrano che, così facendo, i leader della Nato miravano a demoralizzare la popolazione e spezzarne la volontà, non a sconfiggere il suo esercito. (Michael Dobbs, biografo di Madeleine Albright, il 26 luglio '99 ha scritto sul Washington Post che "è evidente, per chiunque abbia visitato la Serbia durante la guerra, che fiaccare il morale dei civili costituiva una parte essenziale della strategia perseguita dall'alleanza per vincere".) Dunque la sola differenza giuridica tra Milosevic e i leader della Nato è che Milosevic è un criminale di guerra imputato, mentre loro sono criminali di guerra non imputati. Leggete il rapporto di Amnesty Ma naturalmente i leader della Nato non saranno mai imputati. Un anno fa Carla Del Ponte ha prodotto un rapporto in cui, pur ammettendo l'evidenza delle uccisioni di civili, dichiarava di assolvere i leader della Nato dai loro crimini senza neanche aprire un'indagine. Dovreste leggere questo rapporto, se volete sapere quanto sensate fossero le parole pronunciate da Milosevic all'Aja. Dovreste anche leggere il rapporto di Amnesty International che era uscito contemporaneamente. Difficile non concludere che quello della Del Ponte non sia una truffa. Mentre il rapporto di Amnesty, in modo attento e prudente, elenca dettagliatamente una quantità di crimini di guerra contro i civili, quello di Carla Del Ponte sembra piuttosto la sciatta memoria di un avvocato della Nato. E in effetti esso è stato scritto da un ex avvocato della Nato, un certo William J. Fenrick, un ex capitano di fregata delle forze armate canadesi che, dal suo incarico di "Director of Law for Operations and Training" presso il Dipartimento della Difesa canadese, è passato direttamente al tanto "oggettivo" Tribunale dell'Aja. D'altro canto, il rapporto spesso oltrepassa persino il documento di un avvocato e diventa quanto di più simile a un vero e proprio comunicato stampa della Nato che avrebbe potuto essere diffuso da Jamie Shea o James Rubin. Il meglio viene alla fine del rapporto, quando esso dichiara che la sua tecnica operativa di indagine è consistita nella lettura dei comunicati stampa della Nato e nel prenderli per buoni: "90. Il comitato ha condotto il suo esame basandosi essenzialmente su documenti pubblici che includono affermazioni fatte dalla Nato e dai paesi Nato in conferenze stampa e documenti pubblici prodotti dalla Repubblica Federale di Jugoslavia. Esso è partito dal presupposto che le affermazioni della Nato e dei paesi Nato siano generalmente attendibili e che le spiegazioni siano state fornite in buona fede". Riuscite a immaginare che tipo di applicazione della legge avrebbe un paese se la polizia prendesse per buone le spiegazioni dei presunti colpevoli? Riuscite a immaginare quante incriminazioni sarebbero state prodotte contro la leadership serba se il rappresentante dell'accusa si fosse fermato ai comunicati stampa della Repubblica Federale di Jugoslavia? Le conclusioni? Il Tribunale ha dichiarato che non avrebbe neanche "aperto un'indagine", dopo aver ricevuto per un anno prove schiaccianti, di dominio pubblico, dei crimini dei leader della Nato che, secondo le stime più prudenti, avrebbero causato la morte di molti più civili di quelli per cui è stata incriminata la leadership serba. Questo dato va comparato, naturalmente, con l'episodio di Racak del 15 gennaio 1999 (l'altro importante capo d'imputazione contro Milosevic), quando Louise Arbour si prese un giorno per volare in Kosovo (con le telecamere della Cnn al seguito) e melodrammaticamente "aprire un'indagine" su segnalazione di un diplomatico americano. Per dichiararlo un crimine di guerra le sono bastate due settimane di consultazioni con la Nato. Milosevic può essere o no colpevole dei crimini che gli sono stati contestati da Arbour e Del Ponte, ma all'Aja non otterrà mai un processo equo. E anche se fosse colpevole di tutto ciò di cui è accusato, il fatto di non avere perseguito i crimini della Nato rende questo tribunale peggiore che nessun tribunale. Esso, semplicemente, rassicura gli Stati Uniti e tutti i loro amici e clienti (se Pinochet trema, non è per paura della giustizia internazionale e ormai nemmeno di quella nazionale) che se vogliono violare il diritto internazionale e uccidere dei civili, possono contare sul fatto che qualche tribunale si girerà dall'altra parte, per poi fare una retata e punire i soliti sospetti. ------- End ----- Giorgio Ellero <glr.y at iol.it> - <glry at libero.it> http://digilander.iol.it/glry http://digilander.iol.it/zastavatrieste http://www.tuttinlotta.org -----
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