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A Sud-est di Vienna
- Subject: A Sud-est di Vienna
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- Date: Thu, 10 Feb 2000 06:16:12 +0100
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- A Sud-est di Vienna - Gino Sergi - Liberazione, 6 febbraio 2000 La destra filonazista in Austria preoccupa tutti i paesi dei Balcani, dove dopo la svolta in Croazia ha preso corpo la speranza di un nuovo periodo di pacificazione e collaborazione. - nostro servizio Zagabria La salita al potere della destra filonazista in Austria ha destato serie preoccupazioni a Lubiana, dove si teme per la posizione della minoranza slovena in Carinzia. Contemporaneamente c’è soddisfazione - come del resto in tutta l’Europa - per la svolta democratica avvenuta in Croazia dopo la morte di Tudjman e la vittoria delle forze coalizzate del centro sinistra alle elezioni parlamentari del 3 gennaio. E’ stato bello sentire a Lubiana la promessa fatta dai nuovi governanti di Zagabria che, in occasione della riforma della Costituzione, non soltanto saranno eliminati da essa tutti gli articoli che davano lo strapotere al capo dello stato, ma sarà ripristinato nel novero delle minoranze nazionali protette, anche la slovena e quella musulmana. Per la Croazia, la Slovenia non è un semplice paese confinante attraverso il cui territorio i suoi cittadini raggiungono l’Occidente, Italia ed Austria per cominciare. Per la Slovenia, la Croazia non è soltanto il paese attraverso il quale passano gli scambi commerciali e la collaborazione economica in genere con gli altri Stati dell’ex Jugoslavia; Croazia e Slovenia sono paesi che per diverse centinaia di anni hanno fatto parte di un’unica entità statale, l’impero austro-ungarico, e poi della Jugoslavia, ed i legami storici, religiosi, culturali, economici, e d’ogni genere non si possono cancellare. Insieme Croazia e Slovenia realizzarono per prime l’indipendenza (e non stiamo qui a discutere quell’evento), ma la salita al potere di Tudjman a Zagabria, oltre a gettare i cittadini croati in un decennio buio sotto ogni aspetto, avvelenò anche i rapporti con la Slovenia, e tuttora sono parecchi i problemi rimasti in sospeso fra i due paesi, a cominciare dal futuro della centrale atomica di Krsko costruita in territorio sloveno, sul confine, di proprietà di ambedue i paesi, ma in effetti gestita dalla sola Slovenia, per finire con il confine incerto nel Golfo di Pirano e nella valle istriana del fiume Dragogna. I ministri degli esteri, lo sloveno Dimitrije Rupel e il croato Tonino Pjcula, ambedue di nuova nomina, telefonandosi qualche giorno addietro per congratularsi a vicenda (lo sloveno ha parlato in croato, il croato in sloveno, ma per seconda lingua Pjcula ha l’italiano) hanno subito concordato di incontrarsi entro la fine di questo mese per imprimere una svolta nella collaborazione. «Credo fermamente che i nostri due governi, con la reciproca collaborazione, offriranno ai popoli croato e sloveno un autentico futuro europeo», ha detto Pjcula. Una ventata di libertà La vittoria delle forze democratiche in Croazia non solo ha portato una ventata di libertà nel paese, ma sta già sbloccando le relazioni con tutti i vicini, in primo luogo con gli stati che un tempo formavano la federazione socialista jugoslava. Non a caso sono sparite dalla stampa croata le polemiche sui problemi territoriali con il Montenegro (penisoletta di Prevlaka affacciata alle Bocche di Cattaro) mentre si parla di un’intensificazione del movimento delle persone fra i due paesi, di una liberalizzazione degli scambi commerciali, della collaborazione nella costruzione della futura superstrada adriatica-jonica che collegherà Trieste al Pireo passando per circa 700 chilometri lungo il litorale croato e montenegrino, e di migliori rapporti anche in altri settori. Con l’abbandono del potere da parte dell’Hdz, sono scomparsi anche gli attacchi contro i serbi e la Serbia e pare che si vada verso intese di collaborazione con quel paese - Nato permettendo - nell’industria petrolchimica ed elettrica, nel turismo e in alcuni altri campi. I nuovi governanti croati hanno preannunciato la liberalizzazione della politica del rientro dei profughi serbi in Croazia. Denunciando apertamente la politica di destabilizzazione e, diciamolo pure, di spartizione della Bosnia-Erzegovina che Tudjman e il suo movimento nazionalista Hdz progettavano sin da quando crearono la cosiddetta “Repubblica croata di Erzeg- Bosnia”, le forze democratiche salite al potere in Croazia dopo la morte di Tudjman hanno detto chiaro e tondo che opereranno, come forze di governo, per favorire il rientro dei profughi dalla ed in Bosnia, dalla ed in Croazia, qualunque sia la nazionalità delle vittime della pulizia etnica compiuta nella scorsa guerra. Esse si stanno già adoperando, inoltre, per il rafforzamento dell’unità politica e territoriale della Bosnia- Erzegovina, tagliando viveri e finanziamenti ai vertici supernazionalisti dell’Hdz erzegovesi, alle loro mafie economico-criminali, e alle loro forze paramilitari. Nazionalismo indeboliti Tale posizione non potrà non rafforzare le forze democratiche bosniaco-erzegovesi e indebolire i nazionalismi sia croato che musulmano e serbo ancora forti in quel paese. Lo stesso leader dei musulmani bosniaci, Alija Izetbegovic, in un articolo scritto per il quotidiano filogovernativo “Dnevni Avaz” di Sarajevo, si è espresso in termini incoraggianti, dicendo che bisogna aprire “una nuova pagina nei rapporti” fra i due paesi: «Migliorare i rapporti con la Croazia non è certamente l’unica, ma rimane la più importante priorità della Bosnia-Erzegovina», eliminando tutti gli ostacoli accumulatisi in questi anni. Izetbegovic è convinto che la svolta democratica in Croazia «avvicinerà all’Europa anche la Bosnia-Erzegovina» dove quasi certamente... funzioneranno meglio gli organi comuni (croato-musulmani) del potere e si avrà un miglioramento della situazione nel campo dei diritti umani. La rivoluzione democratica avviata in Croazia (dove, intanto, un generale col prurito di congiura è stato cacciato dall’esercito, un ministro accadizetino è finito in galera lo stesso giorno in cui ha lasciato il Ministero le cui casse erano state alleggerite di qualche centinaio di milioni di lire finite in tasche private, mentre il tycoon croato più ricco del paese, ex amico di Tudjman, è finito pure dietro le sbarre per aver succhiato fiumi di denaro da aziende pubbliche) avrà certamente dei riflessi nelle altre regioni della Jugoslavia, cominciando dalla Bosnia. C’è speranza anche per la Serbia, se però l’opposizione democratica di quel paese riuscisse a compiere il piccolo miracolo realizzato dai sei partiti croati del centrosinistra coalizzandosi su un programma contro le destre e mettendo a tacere interessi parziali e ambizioni leaderistiche. Certo, uno che conosce la ex Jugoslavia da oltre mezzo secolo come il sottoscritto, sa bene che la Serbia “è un’altra cosa”, è sempre stata diversa, anche nell’ex Jugoslavia. I miti nazionalistici e le ambizioni egemoniche insite nei programmi di alcuni partiti non certo minori, come il radicale cetnico di Seselj e il nazional-monarchico di Vuk Draskovic continueranno ad avvelenare a lungo l’atmosfera politica in Serbia con riflessi sulla Macedonia e sul Montenegro; non si può perciò sperare in una soluzione rapida e indolore dei contrasti con Podgorica sul modello di federazione nel rispetto delle autonomie, né dei rapporti con le minoranze nazionali nella regione ex autonoma di Vojvodina, né delle frustrazioni derivanti dall’occupazione Nato del Kosovo. La Nato, pietra al collo dei Balcani La Nato sarà la principale pietra al collo dei Balcani fino a quando le sue truppe saranno uno strumento della politica unilaterale dell’imperialismo americano. Se la sua presenza nel Kosovo dovesse servire ad approfondire le ingiustizie che si pretendeva di eliminare con l’intervento, realizzando la pulizia etnica a danno dei serbi, montenegrini, turchi, rom e delle altre popolazioni minoritarie non albanesi nella regione; se faciliterà l’occupazione dei poteri economico, politico e criminale da parte della mafia di Tirana (si calcola che almeno 100mila dei circa due milioni di albanesi presenti oggi nel Kosovo siano arrivati dall’Albania negli ultimi sette-otto mesi); se dovesse ulteriormente incoraggiare la prepotenza e la violenza dei nazionalisti e delle mafie, allora si sentirebbero incoraggiati anche i secessionisti schipetari della Macedonia occidentale, e l’esistenza stessa della Repubblica che ha per capitale Skopje sarebbe messa in pericolo. Così come sarà in pericolo la democrazia in Serbia fino a quando resteranno in vigore quelle sanzioni economiche che - imposte a Belgrado col pretesto di provocare la caduta e l’allontanamento del potere di Milosevic - finora non hanno fatto che rafforzare il “vozd” e gettato nella sofferenza e nella miseria il nobile popolo serbo, umiliandolo nel suo legittimo orgoglio nazionale.
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