[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
Notizie Est #283 - Kosovo
- Subject: Notizie Est #283 - Kosovo
- From: "Est" <est at ecn.org>
- Date: Fri, 26 Nov 1999 18:07:36 +0100
- Posted-date: Fri, 26 Nov 1999 18:19:05 +0100
- Priority: normal
"I Balcani" - http://www.ecn.org/est/balcani ============================= NOTIZIE EST #283 - KOSOVO 26 novembre 1999 ============================= DOSSIER: LE SPECULAZIONI SULLE VITTIME IN KOSOVO / 2 a cura di Andrea Ferrario [Per i link relativi alla documentazione, fare riferimento alla prima parte, pubblicata ieri] COME SI COSTRUISCE LA DISINFORMAZIONE Abbiamo gia' visto nella prima parte di questo servizio alcuni abili espedienti retorici cui ricorrono gli unici due articoli ("El Pais" e "Stratfor") sui quali svariati giornalisti hanno deciso di lanciare una vera e propria campagna di disinformazione. Uno degli elementi fondamentali e' costituito dall'uso strumentale dei numeri, come quando Pujol afferma: "ci avevano detto [...] che ci saremmo dovuti preparare a effettuare piu' di 2.000 autopsie", senza dire chi l'ha detto. A quanto gia' scritto va aggiunto che altre cifre citate da Pujol sono piu' che sospette. Il funzionario spagnolo afferma: "Ho letto i dati dell'ONU. E cominciavano con 44.000 morti. Poi si sono abbassati a 22.000. E ora stanno parlando di 11.000. Aspetto di vedere quale sara' il conteggio finale", lasciando cosi' intendere che i morti sarebbero pochissimi. In realta' a una verifica accurata (mi si perdoni la pedanteria: il sottoscritto ha effettuato ore di ricerca nel sito dell'ONU, che contiene tutti i documenti e i comunicati ufficiali dell'organizzazione, nonche' su tutti i dispacci pubblicati da fine marzo in poi da AFP, Reuters, Associated Press e sugli articoli comparsi nei maggiori quotidiani internazionali e balcanici) non si trova assolutamente traccia di dichiarazioni secondo cui i morti sarebbero stati 44.000 o 22.000 (in realta', queste due cifre compaiono, ma in riferimento ai flussi degli espulsi dal Kosovo in determinate settimane della guerra). Anche in questo caso, Pujol non da' indicazioni precise che consentano una verifica dei suoi dati e le cifre che fornisce sembrano essere frutto della sua fantasia, come le 2.000 autopsie che ignoti gli avrebbero detto di prepararsi a fare. In realta', le uniche cifre riferentisi esplicitamente alle vittime delle repressioni serbe formulate da fonti occidentali, prima della stima delle 10.000 vittime formulata a giugno, parlavano di circa 4.600 vittime stimate di uccisioni collettive, cioe' escludendo le uccisioni singole (secondo dati NATO forniti dal portavoce del Pentagono Bacon, citato da UPI, 7 maggio 1999) e, alcuni giorni dopo, di valutazioni, riportate come "minimaliste", di un numero di 5.000 vittime, sempre solo di uccisioni collettive (Dipartimento di Stato USA, citato da UPI, 18 maggio 1999). Anche la "Stratfor" gioca in maniera molto abile con le cifre, citandone in quantita', a volte senza che esse siano in relazione con il tema dell'articolo, altre volte tacendo fatti fondamentali. Nel mezzo del suo lungo articolo l'agenzia pubblica un capitolo intitolato "Le affermazioni s'ingrandiscono" ("The Claims Grow") che comincia cosi': "In realta', col passare dei mesi, le stime di uccisi da una campagna concertata dai serbi, soprannominata Operazione Ferro di Cavallo, sono lievitate. In precedenza, gli esperti hanno sistematicamente generato delle stime dei morti che sembravano sobrie e prudenti. Per esempio, prima dello scoppio della guerra, esperti indipendenti hanno riportato che circa 2.500 albanesi del Kosovo sono stati uccisi nella campagnia serba di pulizia etnica". Ma cosa c'entrano le cifre precedenti allo scoppio della guerra a fine marzo, che non hanno nulla a che fare con l'operazione Ferro di Cavallo? E perche' quelle relative al periodo precedente dovrebbero essere stime "sobrie e prudenti", mentre quelle attuali no? La "Stratfor" non lo dice, ma in compenso riesce a ingenerare confusione e a fare partire cosi' un meccanismo di insinuazioni, che prosegue poco piu' sotto con le dichiarazioni di Kouchner, come abbiamo visto falsificate dall'agenzia in maniera mirata, e continua piu' avanti nel testo con i dati sulle fosse comuni in cui "non e' stato trovato nulla" e in merito alle quali la "Stratfor" volontariamente ignora che erano gia' state accumulate prove di manomissioni (Ljubenic, Izbica) o esistevano testimonianze dettagliatissime con nome, cognome, eta' degli scomparsi e modalita' della loro uccisione (Pusto Selo). Ma la "Stratfor" non si limita a questo: in mezzo all'elenco delle fosse comuni in cui, fino a ora, non sono stati trovati cadaveri, cita il caso di Klina, che non e' una fossa comune, ma solo il luogo in cui secondo numerosi testimoni, 96 albanesi sono stati separati dalle loro famiglie, costrette ad abbandonare il villaggio, e diventati "desaparecidos" ("Los Angeles Times", 8 agosto 1999). Non e' quindi certo strano che non siano stati trovati. Ci sono poi i trucchi puramente retorici. Quando Pujol afferma "i serbi non sono cosi' cattivi come sono stati dipinti" dice qualcosa che nulla ha a che fare con quanto accaduto. Non si tratta qui di "serbi" in generale, ma di uomini ben precisi, appartenenti alla macchina repressiva di Belgrado, che hanno perpetrato dei crimini. Parlando di "serbi", e non di paramilitari, poliziotti e soldati, Pujol sposta ingiustificatamente su un'intera nazione il discorso riguardante crimini precisi commessi da persone in carne e ossa, per poi assolvere cosi' indirettamente i diretti perpetratori delle stragi, o comunque sminuirne le colpe. Se avesse affermato "i paramilitari e le forze speciali serbe non sono cosi' cattivi come sono stati dipinti", avrebbe senz'altro provocato un senso immediato di repulsione nella maggior parte dei lettori delle sue dichiarazioni, mandando a monte l'effetto che evidentemente intendeva ottenere. Pujol "assolve" ulteriormente (ma indirettamente, evitando cosi' sempre accuratamente di assumersi esplicitamente la responsabilita' di quanto dice) i crimini delle forze serbe, quando afferma, parlando di Kosovo, che "nella ex Jugoslavia sono stati commessi crimini, alcuni senza dubbio orribili, ma derivavano dalla guerra", cancellando cosi' con un colpo di spugna la realta' di operazioni sistematiche e prepianificate di espulsione di civili dai loro villaggi e dalle loro citta' (quasi 1 milione "spediti" all'estero in maniera organizzata, altre centinaia di migliaia deportati in altre zone del Kosovo, in poco piu' di un mese), con l'uccisione in ogni luogo di un numero sufficiente di persone per terrorizzare la popolazione e rendere piu' rapide le deportazioni: questa non e' certo guerra e gli scontri in Kosovo tra forze di Belgrado e la scarsissima resistenza armata albanese (ma anche qui il termine "guerra" non e' esatto) si sono limitati a sacche piu' che sporadiche fin dall'inizio. Il pezzo della "Stratfor" e' all'apparenza piu' "neutrale" di Pujol e mira soprattutto alla manipolazione dei numeri, ma non si astiene dall'aderire a una tale linea, come quando chiama le deportazioni "massiccio movimento di profughi albanesi" o come quando si lamenta che "i governi hanno fatto pesantemente affidamento sui resoconti dei profughi che arrivavano in Albania e in Macedonia". Ci si domanda qui chi dovrebbe denunciare crimini, se non le vittime, e ci chiediamo se non saremo costretti un giorno ad assistere alla richiesta, da parte di qualcuno, di valutare equamente le testimonianze di kurdi e timoresi ripuliti dai loro villaggi insieme a quelle dei generali turchi e indonesiani loro carnefici. La macchina di congetture e insinuazioni messa a punto dai funzionari spagnoli e dalla "Stratfor" ha sortito l'aspetto sperato. Il 20 ottobre "L'Unita'", il quotidiano del PDS, pubblicava un articolo di Paolo Soldini con perentorio titolo in prima pagina: "Nelle fosse del Kosovo 200 morti", una vera e propria bugia, visto che a quel momento le decine di rapporti, articoli, testimonianze e documenti pubblicati, parlavano comunque di una cifra gia' ampiamente superiore ai 1.000 cadaveri ricuperati. E si tratta di una bugia doppia e perfino tripla, perche' "L'Unita'" lascia direttamente intendere, con tale titolo, che nelle fosse di TUTTO il Kosovo CI SONO solo 200 morti, e non che IN QUALCHE ZONA isolata sono STATI RITROVATI per ora 200 morti, facendo cosi' un ulteriore salto di qualita' nell'opera di disinformazione rispetto alle affermazioni di Pujol e "Stratfor". Seguono altre falsita', come, per esempio, quando il giornalista scrive "Ora le indagini sono, almeno provvisoriamente, concluse", mentre esse sono solo sospese e per nulla "concluse", nemmeno provvisoriamente. Il resto dell'articolo riprende pari passo le affermazioni di Pujol e della "Stratfor" (senza citare quest'ultima), in particolare quelle sulle "2.000 autopsie" previste, per quanto riguarda il primo, e quelle sulle fosse comuni di Trepca, Ljubenic, Izbica, Pusto Selo e (anche qui senza distinguere, ricalcando pari passo la "Stratfor") i 96 "desaparecidos" di Klina, dall'"Unita'" definiti "presunte vittime". Tra l'altro, come in molti altri casi, i titoli sparano una tesi, mentre nel pezzo il giornalista si tutela dicendo che "(finora)" sono state trovate vittime nell'"ordine delle centinaia" (ma perche' allora un titolo perentorio su "200 morti nelle fosse del Kosovo"?). Nell'articolo dell'"Unita'" le contraddizioni e le inesattezze (dagli obiettivi di "insinuazione" chiari) si susseguono una dopo l'altra. Soldini, infatti, apre l'articolo dicendo che Kouchner e la Nato avevano parlato rispettivamente di 11.000 e 10.000 vittime complessive, ma poi nel capoverso successivo sottolinea "la differenza nell'ordine di grandezza tra qualche centinaio e DIVERSE DECINE DI MIGLIAIA", moltiplicando cosi' a piacere le cifre da egli stesso citate. Il giornalista poi, parlando in termini generali di tutte le sepolture trovate, scrive che le "presunte fosse comuni contenevano in realta' due o tre cadaveri", ma i dati ufficiali parlano di una media di 17 cadaveri ritrovati per fossa ("New York Times", 11 novembre 1999). E cosi' via. Al PDS, il partito di riferimento dell'"Unita'", va cosi' ora un record non invidiabile: e' stato alla guida di un governo che prima della guerra ha riversato centinaia di miliardi nelle casse degli organizzatori della macchina delle repressioni contro i kosovari, che durante la guerra ha ipocritamente fatto da portaerei per una guerra di aggressione avanzando giustificazioni umanitarie come il "difendere" le vittime di tali repressioni, e ora nega (raccontando bugie) la portata degli eccidi e dei crimini commessi in Kosovo! Non e' da meno "Liberazione", organo di Rifondazione Comunista. Nel numero del 21 ottobre 1999, in un corsivo di Nichi Vendola, in sole poche righe si puo' leggere uno stupefacente concentrato di distorsioni e falsita': "Finora non sono arrivati a censire piu' di duecento morti [lo stesso falso dell'"Unita'", con un ambiguissimo "piu'", che fa passare la cifra di duecento morti, tutelandosi pero' da ogni responsabilita' - a.f.], non si sa neppure quanti di questi uccisi dalla vendetta etnica o dalla guerra [vedi insinuazioni di Pujol - a.f.]. E' una notizia enorme: ufficiale [falso - a.f.], vera, verificabile. Le fosse comuni sono sparite [falso - a.f.]. Non si trovano piu' morti [falso - a.f.]. Ma i mass-media, quelli che parlavano con l'elmetto in testa durante il conflitto balcanico, hanno semplicemente cancellato la notizia (ripeto: ufficiale) [ripetiamo anche noi: falsa, cosi' come e' falso che i mass-media hanno cancellato la "notizia", visto che e' stata riportata da moltissime grandi testate (si veda l'elenco parziale nella prima parte) - a.f.]. LE FOSSE "SCOMPARSE" E IL TRIBUNALE INTERNAZIONALE Nella prima parte di questo dossier sulle manipolazioni relative al numero dei cadaveri ricuperati in Kosovo, abbiamo accennato alla facilita' con cui le forze serbe hanno potuto manomettere, o addirittura cancellare, le prove relative alle loro stragi. Abbiamo anche ricordato che nella guerra del Kosovo, i responsabili della pianificazione delle repressioni di Belgrado hanno sicuramente tenuto conto fin dall'inizio, mentre in Bosnia cio' era avvenuto solo in un secondo tempo, dell'esistenza di un Tribunale Internazionale per l'Ex Jugoslavia e delle future eventuali inchieste. Inoltre, abbiamo sottolineato che il Tribunale Internazionale non e' affatto l'unico soggetto che lavora alla scoperta dei cadaveri e che esso non si pone l'obiettivo di farne un "censimento". Ecco cosa scriveva a proposito di tutti questi aspetti il quotidiano francese "Le Monde", in un articolo di Remy Ourdan pubblicato il 18 settembre scorso (prima dell'articolo di "El Pais"): "Sembrerebbe che per la prima volta, in un conflitto armato nell'ex Jugoslavia, gli assassini abbiano anch'essi tenuto conto dell'esistenza di un Tribunale. A Halac, a Rebar, nella regione di Lipljan, sui siti dei primi massacri scoperti, gli abitanti dei villaggi che sono sopravvissuti alle uccisioni sono categorici: le forze serbe sono tornate dopo i massacri al fine di mascherare i loro crimini, trasferendo all'occorrenza i corpi da una fossa comune in tombe individuali scavate in cimiteri. Operazioni che hanno coinvolto l'esercito o la polizia sono state lanciate unicamente per dare a un massacro l'apparenza di una successione di morti ordinarie. 'Le nostre attivita' in Bosnia, in particolare quelle relative a Srebrenica, hanno messo in allerta i serbi. Sanno ormai che noi possiamo trovare delle prove dei crimini, che le scene di massacri spesso custodiscono delle informazioni compromettenti', riassume Graham Blewitt, procuratore aggiunto del Tribunale dell'Aja. 'In Kosovo ci sono stati chiaramente dei tentativi di bruciare, distruggere e nascondere i corpi dopo le esecuzioni' ". E ancora, piu' avanti: "All'interno del team del Tribunale Internazionale contro i Crimini di Guerra si ammette che il tribunale non puo' rendere pienamente giustizia alle famiglie delle vittime. Non e' il suo mandato e il compito di identificare e perseguire i colpevoli e' gia' gigantesco. 'Non possiamo occuparci degli scomparsi, cosi' come non possiamo lavorare all'identificazione dei corpi', spiega un responsabile. Non e' tuttavia possibile lasciare le famiglie in un buco nero. La giustizia deve essere accompagnata da un lavoro umanitario'. Come in Bosnia-Erzegovina, delle organizzazioni indipendenti, in particolare Physicians for Human Rights, tentano di trovare dei fondi per finanziare dei progetti di riesumazione delle fosse comuni e di identificazione delle vittime, al fine della restituzione delle spoglie alle relative famiglie. [...]. Gli 'esperti legali', procuratori, indagatori o giudici, sono d'accordo nel dire che 'la pubblicazione di un bilancio non puo' necessariamente che fare un servizio agli assassini, e mai alle vittime, perche' e' impossibile trovare tutti i corpi'. Un conteggio avra' un risultato quasi sempre inferiore al numero reale dei morti. [...] Anche se cio' sciocca i parenti dei defunti, alcune fosse comuni vengono trascurate a favore di altre, giudicate piu' atte a fornire una solida base di accusa. Il Tribunale si pone come obiettivo, per il momento, quello di aprire determinate piste: chi, nell'esercito o nella polizia, aveva l'ultima parola sulle operazioni militari? Come e' stata effettuata la coordinazione tra esercito e polizia?". Anche il "Chicago Tribune", in un suo lungo e interessante articolo del 7 settembre 1999 relativo al Tribunale Internazionale (e sempre precedente al pezzo di "El Pais"), che prende spunto dal massacro di Bela Crkva, in Kosovo (si vedano i link pubblicati nella prima parte del dossier), rileva alcune cose essenziali: "Non c'e' giustizia rapida al Tribunale Penale Internazionale per la Ex Jugoslavia. La risoluzione dei casi puo' richiedere anni. [...] Il Tribunale ha competenze limitate, che gli consentono di effettuare indagini solo su quattro tipi di reati compiuti nella ex Jugoslavia a partire dal 1991: violazioni gravi della Convenzione di Ginevra del 1949, violazioni delle leggi o delle consuetudini di guerra, genocidio e crimini contro l'umanita'. Date queste competenze, le procedure del Tribunale funzionano come un imbuto. Le prove di atrocita' si riversano nella parte superiore. La giustizia esce a gocce da quella inferiore. Lentamente. I dettagli crudi di quanto e' accaduto nel villaggio [di Bela Crkva] nel Kosovo occidentale il 25 marzo scorso sono gia' diventati parte delle procedure del Tribunale. Si trovano nella parte superiore dell'imbuto. Ma dovranno compiere un lungo viaggio prima di arrivare a quella inferiore". Inoltre, prosegue il "Chicago Tribune", "Il Tribunale non puo' indagare tutti. Non puo' identificare ogni crimine di guerra o crimine contro l'umanita'. Non puo' arrestare le singole persone che hanno premuto il grilletto o compiuto violenze e chiamarle a rispondere. Il Tribunale ha invece deciso [...] di concentrare le proprie risorse sui vertici piu' alti, nel tentativo di catturare e perseguire i comandanti e i leader politici responsabili. [...] Il Tribunale, inoltre, si e' assunto un importante peso in Kosovo, dove i sopravvissuti erano cosi' ansiosi di ottenere giustizia, che si sono messi a disseppellire i propri morti attendendo che qualcuno potesse venire a raccogliere prove da aggiungere alla causa. Per quanto cio' possa sembrare pungente, dicono i funzionari, il tribunale non ha nessuna intenzione di raccogliere tutte le prove relative a tutti i crimini di guerra e i crimini contro l'umanita'. Male che vada, il Tribunale viene visto come un cerotto molto piccolo messo su una ferita molto grave, una piccola fitta di giustizia, sufficiente a tranquilizzare la coscienza del mondo, ma non a fare impaurire i veri assassini". LE TRE OBIEZIONI Nel dibattito sulle vittime delle operazioni serbe in Kosovo e, piu' in generale, su tutta la guerra, vengono di norma avanzate tre obiezioni fondamentali, che esaminiamo qui sotto. 1) "NON E' GENOCIDIO" In realta', sulla definizione di "genocidio" si potrebbero condurre lunghe discussioni. L'uso primo e piu' diffuso del termine si ha in riferimento alla politica nazista di sterminio della popolazione ebrea e, naturalmente, se si fa un raffronto con tale crimine, le dimensioni e le modalita' della sua esecuzione rientrano in una sfera diversa da quella dei crimini commessi in Kosovo. I responsabili della NATO, e i media loro vicini, hanno del tutto colpevolmente abusato di raffronti con l'Olocausto o con altri crimini di dimensioni a esso comparabili. Per esempio, il giornalista Ian Williams nel suo articolo per "IWPR's Balkan Crisis Report" (12 novembre 1999) condanna il fatto che "Jamie Shea ha descritto Milosevic come 'l'organizzatore della maggiore catastrofe umana dopo il 1945' ", altri si sono spinti fino a definire il presidente jugoslavo "Hitler dei Balcani". E' assolutamente giusto provare un senso di totale repulsione nel sentire pronunciare tali frasi da responsabili politici e militari di paesi che hanno compiuto, direttamente o indirettamente, stragi per milioni di vittime, senza mai mostrare il minimo pentimento. Quando i leader occidentali, o chi ne amplifica la voce nei media, fanno tali affermazioni, sanno tuttavia benissimo, avendo una lunga esperienza politica, che esse costituiscono un'arma che soddisfa contemporaneamente due loro obiettivi: da una parte, serve a coprire o giustificare i loro crimini in corso o passati, dall'altra, sono spropositi di entita' tale da consentire facilmente, in un secondo tempo, il lancio di campagne di diverso segno quando si vogliono mettere in atto altre manovre. A parere di chi scrive, attualmente ci troviamo in una tale seconda fase, che non a caso vede coinvolti mezzi di informazioni vicini alla NATO (dal "Times" all'"Unita'"). A essere rigorosi, pero', non si puo' asserire univocamente che quanto avvenuto in Kosovo non abbia nulla a che fare con una politica genocida. Qualcuno ha fatto notare che il termine viene spesso usato (e non del tutto a torto) per altre situazioni simili, da molti antimperialisti che ne negano l'esistenza in Kosovo. Per fare solo un esempio, sono state denunciate come "genocide" le politiche di devastazione economica dell'Europa Orientale condotte dai paesi occidentali. In un lucido articolo scritto da John Green per "Communist Voice" (15 agosto 1999), si scrive che riguardo al Kosovo "si suppone che, se non vengono uccisi tutti, non si tratta di genocidio. In altri contesti, invece, una politica mirata a distrutggere un popolo viene comunemente chiamata genocida, anche se non vengono uccise tutte le persone. Cosi', appena prima della guerra Serbia-NATO, la Commission for Historical Clarification in Guatemala ha reso pubblico un documento che descriveva la politica antinsurrezionale del governo come genocida e razzista e notava che i massacri, le operazioni di terra bruciata, le persone fatte scomparire e le esecuzioni di autorita', leader e guide spirituali maya, non erano solo un tentativo di distruggere la base sociale dei guerriglieri, ma soprattutto, di distruggere i valori culturali che garantivano la coesione e l'azione collettiva delle comunita' Maya' (Peter Canby, 'The Truth About Rigoberta Menchu', The New York Review of Books, 8 aprile 1999). [...] La Convenzione ONU del 1948 sul Genocidio definisce il genocidio come una serie di atti compiuti con 'l'intento di distruggere, per intero o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso in quanto tale'. Secondo questa definizione, il governo guatemalteco ha in effetti compiuti atti genocidi contro i maya, cosi' come i serbi lo hanno fatto contro i kosovari". A conferma di quanto scrive Green, il Vocabolario della lingua italiana della Treccani definisce il genocidio come un crimine compiuto da singoli o da organismi statali "consistente nella metodica distruzione di un gruppo etnico, razziale o religioso, compiuta attraverso lo sterminio degli individui, la dissociazione e dispersione dei gruppi famigliari, l'imposizione della sterilizzazione e della prevenzione delle nascite, lo scardinamento di tutte le istituzioni sociali, politiche, religiose, culturali, la distruzione di monumenti storici e di documenti d'archivio ecc." e il caso del Kosovo rientra in piu' di una di queste categorie di atti. In realta', a parere di chi scrive, la questione "genocidio" o "non genocidio" non e' discriminante in un giudizio sulla sostanza di quanto accaduto e, comunque, chi nega l'esistenza di un genocidio si fonda su basi poco solide. Per gli strateghi della NATO, e per chi si pone nella loro prospettiva, essa potrebbe invece avere una certa rilevanza politica, ma su questo torneremo al punto 3. 2) "AL MASSIMO, SONO 'SOLO' 10.000 VITTIME" Si', e' vero, come hanno cinicamente notato in molti, anche se non e' ancora noto il numero esatto delle cifre, le stime piu' fondate fanno pensare a un numero intorno alle 10.000 vittime, o "poco" di piu'. Un numero basso, se raffrontato ad altri conflitti: in Bosnia le vittime stimate sono circa 200.000, e in Kurdistan le cifre sono largamente superiori a quelle del Kosovo, per fare solo due esempi a noi vicini. A parte la limitata estensione geografica e demografica del Kosovo (che distingue ques'ultimo dai due casi sopra citati), la prima osservazione che viene da fare e' che il numero delle vittime in Kosovo si riferisce a un'operazione durata poco piu' di due mesi, e condotta in massima parte dal 20 marzo ai primi di maggio, mentre negli altri casi si e' trattato di conflitti durati anni. Si tratta di una differenza fondamentale, come le altre citate, ma si puo' osservare che, per l'appunto, da parte dei suoi perpetratori l'operazione criminale era stata quasi portata a termine. Le bombe della NATO, infatti, non hanno affatto "salvato" i kosovari dai massacri e dalle deportazioni in corso, sono state solo la micidiale (e criminale) arma usata dall'Occidente nelle sue manovre "diplomatiche", conclusesi quando Belgrado aveva gia' da tempo apertamente dichiarato di avere portato a termine i suoi piani e sul campo rimanevano solo alcune isolatissime sacche di resistenza. Che poi l'inefficiente leadership di Belgrado abbia perso a tavolino quasi per intero le posizioni guadagnate, come gia' avvenuto in altre guerre balcaniche, e' un'altra cosa - rimane il fatto che l'operazione era quasi conclusa e aveva messo in conto un livello di vittime sicuramente non lontano da quello stimato. Ma il numero delle vittime non descrive quanto di spaventoso ha comportato l'operazione del regime di Milosevic: almeno i 2/3 della popolazione albanese kosovara ridotta alla condizione di profugo, in condizioni inumane nei campi in Albania, Macedonia e Montenegro, o all'addiaccio e senza cibo all'interno del Kosovo, distruzione o danneggiamento tali da rendere inabitabile una quota comparabile di abitazioni, distruzione dei documenti di identita' e asportazione o distruzione degli archivi e delle anagrafi, uccisione selezionata dei membri piu' importanti delle comunita' locali e uccisioni a caso per terrorizzare la popolazione, e altro ancora. Si tratta di un'opera di distruzione sistematica di una comunita' etnica che trova negli ultimi decenni pochi eguali in termini di contemporanea concertazione pianificata, rapidita' e vastita'. A proposito dei crimini commessi in Kosovo, un'ultima osservazione: dovrebbe fare riflettere anche il fatto che a parlare di "crimini che sono conseguenza dalla guerra" e "vendette etniche" sono solo i disinformatori sopra citati o chi ha accettato di amplificare le loro falsita' e/o distorsioni: per i vertici politici e militari di Belgrado, cioe' coloro direttamente interessati a un'assoluzione, vale ancora oggi la spiegazione grottesca di quanto avvenuto come di una normale operazione di polizia contro i "terroristi", come fanno tutti i regimi del loro tipo e in sinistra analogia con le giustificazioni "poliziesche" della NATO per le proprie aggressioni. Di fronte a quanto accaduto, parlare di "sole 10.000 vittime" e' un modo cinico per dire, in buona o in cattiva fede, qualcosa che rimanda ad altro, al succo cioe' di quanto dicono i vari Pujol o "Stratfor", vale a dire che e' stata "soltanto una guerra" e che le forze di Belgrado "non erano poi cosi' cattive". 3) "I DISCORSI SUI MASSACRI IN REALTA' GIUSTIFICANO LA NATO" E' la tesi sostenuta dalla "Stratfor", un soggetto informativo che, va precisato, si pone, sia istituzionalmente che a livello ideologico, all'interno del discorso imperialista e che ne riflette le contraddizioni. Non si puo' tuttavia negare che in tali tesi, sbagliate nel loro complesso, vi sia un elemento reale. Indirettamente, l'esistenza di un genocidio in atto autorizzerebbe, secondo la Carta dell'ONU, un intervento esterno per fermarlo. Quindi, sostengono i propugnatori di tale tesi, il riconoscere che vi sono stati massacri e deportazioni sistematiche consentirebbe alla NATO di "legittimare"a posteriori la propria guerra come intervento per salvare un popolo. Si perdono qui di vista alcuni fatti. Il primo, e' che la NATO non ha mai avuto, ne' in passato ne' ora, problemi a legittimare quello che ha bisogno di legittimare quando e come vuole, indipendentemente dall'esistenza o meno di massacri o genocidi. Il secondo, e' che in realta' e' facile dimostrare che la NATO nei fatti non ha fatto nulla per fermare i massacri e le deportazioni e che, prima dei bombardamenti, non ha mai fatto niente per prevenirli e, anzi, a livello politico, diplomatico ed economico, ha contribuito fortemente a crearne le condizioni. Il terzo, e piu' importante, e' che con questa tesi ci si pone direttamente in un discorso tutto interno alla NATO. Se si guarda a come e' stata lanciata la campagna di disinformazione, la cosa risulta evidente. Il perito Pujol e il poliziotto Palafox, che hanno dato il via a tale campagna, non sono due soggetti indipendenti. Sono uomini che hanno lavorato per l'amministrazione di un paese NATO (la Spagna) e che ora sono stati prescelti da tale paese NATO (dal quale ricevono lo stipendio) per lavorare all'interno di una zona occupata dal contingente spagnolo della KFOR. La Stratfor, come abbiamo gia' ricordato, ha come propri committenti (e quindi finanziatori) aziende del settore difesa degli USA e grandi multinazionali. E non a caso le loro affermazioni sono state riprese alla lettera, senza critiche, dai piu' grandi organi di stampa interventisti e tradizionalmente portavoce delle politiche nazionali dei paesi NATO: da "El Pais", al "Times" di Londra, al "New York Times", al giornale del maggiore partito di governo italiano, l'"Unita'". Non e' nemmeno un caso che queste testate abbiano ripreso pari passo le dichiarazioni degli spagnoli, senza assolutamente preoccuparsi di sentire a riguardo le voci dei diretti interessati (i parenti delle vittime), che probabilmente avevano cose piu' interessanti e dettagliate da dire. Il fatto e' che "i diretti interessati" per la NATO, e per chi la sostiene, non hanno mai avuto alcuna importanza, mentre gli operatori e le agenzie "atlantiche" del tipo di Pujol o della "Stratfor" sono affidabili, perche' rientrano comunque nel proprio discorso imperialista. Ci troviamo qui nuovamente di fronte a un quadro simile a quello dei giorni successivi al massacro di Racak, quando dopo una contraddittoria riunione dei vertici NATO erano state fatte circolare in ambito francese delle "veline" anonime e prive di ogni sostanza (scavalcando anche in questo caso nell'interpretazione cospirativa il governo serbo, che ancora oggi definisce Racak una "normale operazione di polizia"), dando vita a un'analoga "teoria" che circola ancora oggi dall'estrema destra all'estrema sinistra. Chi si pone come obiettivo la lotta, o fosse anche solo la critica, alla NATO e la solidarieta' ai popoli oppressi non puo' mettersi all'interno di un tale discorso, riamplificandolo acriticamente. Nell'ultimo capitolo tenteremo di abbozzare qualche interpretazione "in tempo reale" del perche', proprio in questo momento, vi e' stata una campagna di disinformazione che trova la propria origine in ambiti NATO o a essa contigui. [CORREZIONE PRIMA PARTE: nella prima parte di questo dossier, al terzo capoverso, compare la frase: "e' perfettamente logico che le forze regolari e i paramilitari serbi si siano premurati di cancellarne le tracce (e infatti in alcuni di essi, come a Izbica e Ljubenic, sono state rilevate chiare tracce di manomissione)". Si tratta di un evidente contraddizione, dovuta a un lapsus. In realta' il testo va letto: "si siano premurati di **occultarne le prove** ecc.] __________________________________________________________ "Notizie Est" e' una mailing list di notizie sui Balcani e l'Europa Orientale, pubblicata dal sito web "I Balcani" e archiviata su web all'indirizzo: http://www.ecn.org/est/balcani Se desiderate abbonarvi (gratuitamente) o essere rimossi da questa lista e' sufficiente che lo comunichiate a: est at ecn.org
- Prev by Date: Notizie Est #282 - Kosovo
- Next by Date: richiesta urgente d'aiuto
- Previous by thread: Notizie Est #282 - Kosovo
- Next by thread: richiesta urgente d'aiuto
- Indice: