[asia] PICCOLE VITE SPEZZATE DA GUERRA E POVERTA'



La Repubblica - Mercoledì 7 gennaio 2004 -
LA TESTIMONIANZA
PICCOLE VITE SPEZZATE DA GUERRA E POVERTÀ
ALBERTO CAIRO
KABUL - In Afghanistan ci sono bambini ovunque. Cinque per famiglia in
media. Gli adulti si aspettano da loro cose impensabili in Occidente. Lavori
anche pesanti, pericolosi, in posti malsani, pagati niente. Ma che fare,
tutti devono contribuire al magro bilancio familiare. E così, marmocchi
vengono affidati a sorelline di ben poco più grandi, nonni infermi a
nipotini ancora troppo piccoli. Ad una età in cui dovrebbero solo pensare a
giocare e andare a scuola. Chi questa mano d´opera in erba non ce l´ha in
casa deve affittarla, rivolgendosi a famiglie povere, ben contente di
liberarsi di una bocca da sfamare.
Munès ha sette anni. Da due lavora a tempo pieno. La madre, vedova, fa la
lavandaia per i vicini. Ha tre sorelle piccole. Vivono tutti in una stanza.
Fortunati perché è ampia e luminosa. Dalle sette la mattina fino al
tramonto, Munès accompagna Ziauddìn, cieco. Cosa Ziauddin faccia in giro
tutto il giorno non è chiaro. Visita amici, va per negozi, chiacchiera
facile, discute, litiga. Camminare per le strade di Kabul è diventata
un´impresa, il traffico è caotico, i guidatori indisciplinati. Munès si deve
districare nella confusione, attraversare incroci senza semafori, fare cenno
agli autobus e ai taxi di fermarsi. Sempre a disposizione. Ziauddin è un
brav´uomo, ma è esigente. Chissà quante volte al giorno Munès vorrebbe
andarsene, correre a giocare. Invece resta, ben conscio che il suo magro
stipendio è un tesoro per i suoi.
Qualche settimana fa un fabbricante di tappeti mi ha confidato che gli
affari gli vanno male. «Nessuno compra?» ho chiesto. «No, i tappeti sono
richiesti. È che hanno riaperto le scuole. Ci vanno pure le bambine...»,
risponde scuotendo il capo. E già, non ha più la mano d´opera in passato
disponibile in gran numero: occhi buoni, dita piccole e svelte, che imparano
in fretta. A stipendi da ridere. In genere rifiuto di visitare fabbriche di
tappeti: bambini come polli in batteria, stanze fredde e mal aerate. Una
tristezza.
Ma se per i ragazzini più piccoli la riapertura delle scuole rappresenta una
speranza per il futuro, per molti adolescenti è troppo tardi. Nati e vissuti
nella guerra, hanno perso tempo irrecuperabile. E che dire dei bambini
poliomielitici (ce n´è ancora di nuovi ahimè), che tre gocce di vaccino
avrebbero potuto mettere al riparo da ogni rischio, e di quelli saltati e
che saltano sulle mine? Negli ospedali e nei centri ortopedici della Croce
Rossa Internazionale quanti ne sono passati per ricevere una protesi. Vite
minate. E che rabbia pensare a quei farabutti che chiedevano ai ragazzini di
raccogliere per loro pezzi di metallo tra le macerie delle case colla
promessa di pochi centesimi, sapendo che molti ne sarebbero morti? E come
dimenticare il triste primato dell´Afghanistan che vede venti bambini su
cento non arrivare ai cinque anni?
A Kandahar ieri ne sono stati uccisi parecchi. Li vedo, curiosi e divertiti,
intrufolarsi ovunque, inarrestabili, il rischio nel sangue, gli occhi
vivaci, neri e furbi. Alla notizia, uno dei nostri guardiani si è chiesto
commosso «non è abbastanza quello che i nostri figli hanno pagato?»
( lavora per il Progetto Ortopedico della Croce Rossa Internazionale in
Afghanistan)

PIER LUIGI GIACOMONI