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Chiama l'Africa News 3/01/04
- Subject: Chiama l'Africa News 3/01/04
- From: <info@chiamafrica.it>
- Date: Sat, 3 Jan 2004 23:20:50 +0100
<http://www.chiamafrica.it>
Chiama l'Africa News 3 gennaio 2004
Martedì 6 gennaio 2004 alle ore 21.00
APPUNTI AFRICANI
Speciale di "C'era una volta" in prima serata.
L'Africa è la sorella sfortunata della famiglia umana? E' vittima del
destino e di avverse condizioni storiche e climatiche? I suoi morti, la
sua disperazione, ci chiedono solo generosa attenzione e tanta pietà? O
forse la tragedia africana è il segno negativo del nostro modello di
vita e di sviluppo che esclude e mette ai margini della vita intere
parti dell'umanità?
Il 6 gennaio 2004, alle 21,00, Rai Tre manda in onda uno speciale di
C'era una volta su questi temi. "Appunti africani", di Silvestro
Montanaro, un documento su cui discutere e riflettere.
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IL REPORTAGE. LA VIA DEI DISPERATI. DAL SAHARA ALL' ITALIA
di Fabrizio Gatti , dal Corriere della Sera del 27/12/03. Le altre
puntate, pubblicate il 24, 29, 31 dicembre e il 2 gennaio, sono
consultabili su www.corriere.it
SUL TRENO PER BAMAKO (Mali) - Il Mistral si infila come un pugno nel
buio della savana. Undici carrozze fradice di sudore. Tremila uomini e
donne, inscatolati a più di quaranta gradi. Bambini nudi intontiti dal
caldo. Sacchi di farina ovunque. Bidoni pieni di pesce e mosche. Un
televisore giapponese ancora imballato. Borse, scatoloni, valigie. E là
davanti i fari della vecchia locomotrice Diesel: nell' aureola luminosa
appare un baobab, e scompare, poi il nulla, un' acacia, di nuovo il
nulla. L' Africa maltratta fin dalla prima notte di viaggio i suoi figli
costretti a partire. Perché questo non è solo il treno degli immigrati.
Questo è il convoglio dei banditi che nel buio assoluto dei villaggi
assaltano gli scompartimenti e arraffano tutto ciò che riescono a
toccare. E' la fila di vagoni ondeggianti che quando scavalcano
sferragliando i fiumi si riempiono di insetti, cimici e zanzare come se
fossero fatti di carta moschicida. E' la ferrovia che unisce l' Oceano
Atlantico al Sahel, la porta del deserto e dei camion carichi di
clandestini che salgono al Mare Mediterraneo. Da Dakar, Senegal, a
Bamako, Mali: 1.420 chilometri, la via più veloce, si fa per dire, tra
le due capitali. Il viaggio sul Mistral dieci anni fa durava trenta ore.
Oggi, quando la linea è bloccata per un deragliamento, come in questi
giorni, se ne impiegano anche sessanta. Mohamed Touray, 31 anni, è
partito da Bijilo, in Gambia. «Voglio andare in Svizzera - racconta -.
Ora vado a cercare lavoro a Bamako. Qualunque cosa. Poi, se avrò soldi,
chiederò il visto per la Svizzera. Se non me lo danno? Troverò qualche
modo». Con i camion del deserto? «Sì, ma solo se non avrò alternative.
Il deserto è pericoloso», sorride Mohamed Touray e mette la mano in
tasca. «Ecco qua - dice mostrando una tessera con la sua foto -: era la
mia carta d' identità a New York. Ci sono stato nel 1999. Poi il visto è
scaduto». Mohamed non ha bagagli sul treno. Tutta la sua vita è nelle
tasche dei pantaloni, compreso un metro da muratore. Tira fuori un'
altra foto: «Sono sempre io a New York. Facevo il carpentiere». Quando
decidono di affrontare il Sahara per aggrapparsi alle scogliere di
Lampedusa, molti clandestini hanno già una lunga esperienza da
emigranti. Il primo viaggio di solito li porta a Sud, nelle piantagioni
della Costa d' Avorio. Ma anche lì il sogno si è infranto nelle
disastrose conseguenze della guerra civile. Se la situazione non
migliorerà, il Mali, dieci milioni di abitanti, già calcola il rientro
in massa di almeno quattrocentomila connazionali. E la perdita di
sessanta miliardi di franchi in rimesse, 92 milioni di euro all' anno. E'
come se in Italia ritornassero in un colpo due milioni e 240 mila
emigranti. Le stesse preoccupazioni riguardano Senegal, Niger, Nigeria e
Ghana. Un ritorno già cominciato che non si fermerà nei villaggi d'
origine ma, secondo le previsioni dei governi, consumerà i pochi soldi
risparmiati nel viaggio più lungo e avventuroso: il deserto e, là in
fondo, l' Europa. Durante la sua visita in ottobre, Jacques Chirac ne ha
parlato con il presidente del Mali, Amadou Toumani Touré. Il presidente
francese ha chiesto più impegno contro gli emigranti che attraversano il
Sahara. E Touré gli ha risposto con una battuta che ha fatto ridere il
pubblico: «Anche il primo francese entrato nella nostra Timbouctù arrivò
da clandestino: disse di essere musulmano e di chiamarsi Abdallah». Era
il 1828 e l' esploratore Réné Callié non aveva alternative. Due anni
prima il maggiore scozzese Gordon Laing, primo europeo a vedere
Timbouctù, era stato assassinato perché non si era convertito all'
Islam. Ma anche la richiesta francese, quaggiù, è sembrata scherzosa.
Fermare l' emigrazione clandestina significherebbe per il Mali poter
controllare 4.434 chilometri di confine. Una successione di linee
inventate dopo le conquiste coloniali. Tutte in pieno deserto.
IL PRESIDENTE CHIRAC NON SA - Forse il presidente Chirac non sa nulla di
questo avviso appeso a Bamako, nella bacheca del Centro culturale
francese. Dice che uno studente in Francia può vivere con seicento euro
al mese. E poiché qui un falegname o un muratore spendono meno della
metà di uno studente, c' è chi deduce che allora in Europa si possa
vivere con meno di trecento euro al mese. Djimba Diakite, 28 anni, ne è
convinto. Non ha un diploma e nemmeno un compleanno da festeggiare. Sul
suo passaporto il giorno e il mese di nascita sono indicati con xx e xx.
Conosce soltanto l' anno: 1975. E' nato a Deguela, duecento chilometri a
Nord Est di Bamako. E' il più grande di tre fratelli, etnia malinké.
Quattro anni fa è immigrato a Bamako: «Perché - dice - Bamako è sinonimo
di lavoro e arricchimento». Ma è un abbaglio. Nella capitale solo un
quarto dei giovani tra i 15 e i 25 anni ha un lavoro retribuito. Una
percentuale che non è cambiata dagli anni ' 70. Il 73 per cento della
popolazione attiva si mantiene con occupazioni «informali».
UNA VITA DI ESPEDIENTI E BARATTI - Dal baratto degli ortaggi coltivati
sulle aiuole degli incroci, alla vendita sotto gli alberi di scarpe
false «made in China». E così in quattro anni Djimba Diakite non si è
arricchito per niente. Fa l' idraulico per quarantamila franchi al mese,
61 euro e 53 centesimi. «Quindicimila franchi - racconta - se ne vanno
nell' affitto della stanza dove dormo, quindicimila per il sacco di riso
da 50 chili, diecimila in trasporti. A fine mese devo vivere con il
credito. Io so che in Europa potrei guadagnare mille euro al mese». Da
un anno Djimba Diakite sta facendo l' investimento più importante della
sua vita: mettere da parte 400 mila franchi per pagarsi il viaggio da
clandestino. Ha già risparmiato qualche spicciolo. Ma più aspetta, più
il percorso si allunga. A Bamako hanno saputo che l' Unione Europea ha
convinto il Marocco a rimpatriare gli immigrati, prima che arrivino in
Spagna e in Francia. Così, anche da qui, il traffico dei clandestini si
sta spostando a Est. Verso il Niger e la Libia. Quindi verso l' Italia.
Eppure non restano alternative. Al cancello blindato dell' ambasciata
italiana più vicina, a Dakar, nell' ultimo anno si sono rivolti in
ottomila. Soltanto 400 hanno ottenuto il permesso di lavoro, mille il
ricongiungimento familiare e 600 un visto temporaneo per turismo o
affari. Gli altri seimila devono arrangiarsi. Come rivela Fatou Diouf,
24 anni, cameriera in un ristorante per 150 mila franchi al mese: «C' è
un boss del commercio di vestiti che per tre milioni di franchi dichiara
che lavori per lui e ti fa avere il visto italiano. Ma anche con l'
aiuto dei parenti, tre milioni sono proprio tanti». La rotta del deserto
costa molto meno. Se non si muore. Da Dakar a Tripoli, 165 mila franchi,
254 euro. Più gli ottocento-mille euro per la barca, dalla Libia all'
Italia. Il viaggio dal Senegal non sempre comincia in treno. «Oggi non
si parte, è deragliato un merci», dicono in stazione a Dakar. Il Mistral
è bloccato a Kayes, in Mali. Occorrono un giorno e mezzo di strada per
arrivarci e tanti imprevisti. Mohamed Touray e gli altri passeggeri
sbuffano e sudano in nove più l' autista, su una Peugeot da cinque
posti. Il tratto più lento è da Kidira, il confine, a Kayes: 106
chilometri in sei ore e mezzo, una foresta di baobab, un pastore peul
con la radio appesa al collo e il motore che va a pezzi picchiando
contro una pietra. E' buio fitto sulla stazione. Le uniche luci le
muovono i passeggeri, che con le torce elettriche si guidano nella
ressa. Le bancarelle sul piazzale di Kayes offrono pane, uova sode,
pesce e datteri secchi. Il treno degli immigrati è già stracolmo. Mani
sudate sollevano e passano sacchi e bidoni dentro i finestrini. Mohamed,
in fuga dalla Gambia, riesce a sedersi sulla carrozza numero tre, posto
57, tra un commerciante di magliette che va a rifornirsi a Bamako e un
meccanico che torna a trovare i genitori.
NEI VILLAGGI DI PAGLIA E FANGO - Rimbomba la sirena. Due richiami e l'
eco che ritorna. Alle otto di sera le carrozze oscillano, rimbalzano, si
muovono. Aziz vende carne di montone alla griglia. La tiene in una
padella in equilibrio sulla testa. Ogni porzione viene avvolta in una
carta polverosa, strappata da un sacco su cui in francese c' è scritto:
cemento. L' arrivo nei villaggi di paglia e fango risuona di grida.
Anche in piena notte. «Gilimeré, gilimeré», ripetono i bambini bambara
dal marciapiede, porgendo sacchettini pieni d' acqua ai passeggeri
stremati. Davanti ai finestrini danzano cesti di mele, banane, pomodori,
una zucca gigante. Le donne li portano sulla testa, raggiungendo così le
mani dei viaggiatori affacciati. Alla stazione di Bafoulabé il primo
assalto. Una manciata di banditi sale sulle carrozze nel buio assoluto.
Spariscono una valigia, una borsa, qualche sacco di farina. Il viaggio
da Kayes a Bamako dura sedici ore. Dicono che i piloti della Parigi-
Dakar facciano lo stesso percorso in sei ore. Quello che pochi ricordano
è il costo che ogni volta pesa sugli abitanti del Mali: un mese con la
benzina esaurita e il 75 per cento delle vittime della gara, investite
nei villaggi. A mezzogiorno la cappa e l' odore di smog annunciano
Bamako. Il Mistral si fa strada nella folla che si agita in stazione.
Mohamed Touray scende con calma africana. L' Europa è ancora tanto
lontana per lui.
Su segnalazione di Angelica Gagliardi
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redazione a cura di Paola Luzzi